Svegliarsi una mattina e scoprire che il tuo bel mondo non sta più in piedi. Sembra proprio questa la situazione del’Unione Europea subito dopo l’ennesimo annuncio di Donal Trump, secondo cui – dopo aver parlato al telefono con Vladimir Putin – i colloqui con il leader russo per porre fine alla guerra in Ucraina inizieranno “immediatamente” e saranno ovviamente coronati da un grande successo.
Le reazioni europee, dicevamo, sono state isteriche e guerrafondaie esattamente come prima (quando c’era Biden), denotando non solo un comprensibile sconcerto – tre anni di guerra, soldi e armi buttate in un calderone acceso da Washington non sono sono il massimo come investimento politico – ma soprattutto una rabbia impotente.
Andiamo con ordine, altrimenti è facile perdersi.
La telefonata stavolta c’è stata, ma abbiamo soltanto il resoconto di Trump, leggibile qui di fianco. E’ presumibile che, secondo il suo stile inconfondibile, i risultati siano stati un tantinello “gonfiati” per accreditare ancora una vola la sua molto presunta capacità risolutiva, da mr. Wolf (chiedere a Quentin Tarantino).
Ma anche prima di fare la tara alla solita autocelebrazione, leggendo bene, bisogna constatare che il dossier ucraino ha rappresentato all’incirca un terzo della chiacchierata tra i due presidenti. Riferisce infatti di aver amabilmente chiacchierato di Medio Oriente, energia, intelligenza artificiale e varie altre cose. Ricordando en passant la grande storia delle due nazioni, la comune vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, nonché la grande “forza” (nucleare ma non solo) dei due paesi.
Dopo di che avrebbe dato disposizioni ai suoi uomini per portare avanti quanto serve ad avviare discussioni più concrete, raccogliendo nel frattempo un primo scambio di prigionieri (l’americano Marc Fogel contro il russo Alexander Vinnik).
Che qualcosa tra i due paesi stia cambiando rispetto all’era Biden appare possibile, che questo qualcosa sia da considerare un “presto fatto” è un po’ più incerto. Lo stesso Trump, parlando poi con i giornalisti, ha limitato la portata dell’”accordo” con Putin alla comune volontà di “porre fine alle uccisioni“. Ossia qualcosa che si può dire in qualsiasi momento…
Molto più concreto e dettagliato è stato invece il nuovo ministro della difesa Usa, anche se fa un po’ ridere pensare a Pete Hegseth in questo ruolo (ex militare della “guardia nazionale” e conduttore televisivo, senza alcuna esperienza “strategica”).
Parlando all’Ukraine Defense Contact Group di Bruxelles, Hegseth ha demolito completamente sia la strategia fin qui seguita dall’”Occidente collettivo”, sia – e soprattutto – le attese per poter considerare l’esito del conflitto come una “vittoria”.
Sinteticamente: a) bisogna fare “una valutazione realistica del campo di battaglia. Vogliamo, come voi, un’Ucraina sovrana e prospera, ma dobbiamo partire dal riconoscere che tornare alle frontiere ucraine di prima del 2014 è un obiettivo irrealistico“. In pratica, il territorio perso (tra autodetrminazione del Donbass e referendum in Crimea, oltre che per effetto della guerra) va considerato perso. Non c’è nulla che Kiev possa “riconquistare”.
b) “Gli Stati Uniti non credono che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO sia una risultato realistico dopo un accordo negoziato”, addio quindi anche al principale obiettivo di Zelenskij, fatto proprio sia dall’ex segretario generale Stoltenberg che dall’attuale, Rutte.
c) “Ogni garanzia di sicurezza [per l’Ucraina futura, ndr] deve essere sostenuta da truppe capaci, europee e non europee. Se queste truppe saranno schierate come peacekeepers in Ucraina, dovranno esservi schierate come parte di una missione non-NATO e non dovranno essere coperte dall’Articolo 5. Ci dovrà essere una robusta sorveglianza internazionale della linea di contatto e, per essere chiari, non ci saranno truppe USA schierate in Ucraina come parte di qualsiasi garanzia di sicurezza“. Cazzi europei, insomma, senza se e senza ma. Come del resto ribadito subito dopo: la sicurezza in Europa “deve essere un imperativo dei membri europei della NATO. Per parte sua, l’Europa deve provvedere alla parte preponderante [“overwhelming”] dell’aiuto letale e non letale all’Ucraina“, cioè armi e finanziamenti non saranno più a carico degli Usa.
Davanti a questa raffica di disimpegni, suona decisamente stonata e vacua la serie di patetiche dichiarazioni – in senso stretto: parole al vento – seminate da mezza UE. Consideriamo solo quelle di Kaja Kallas (“ministro degli esteri”, teoricamente) perché paradigmatiche dell’irrazionalità assoluta con cui è stata messa su questa compagine: “l’Europa deve essere presente al tavolo dei negoziati perché l’esito ci influenzerà molto“.
Che “l’esito” sia decisivo per la UE è certo, ma non dipende neanche per un grammo da quel che la UE ha fatto o farà. Si è schierata come un alleato decerebrato qualsiasi, assumendo una postura bellicista che – in proprio – non si poteva neanche permettere, per debolezza militare e autonomia decisionale. E Kaja Kallas rappresenta emblematicamente questa irrilevanza strategica mescolata con una aggressività verbale: ex primo ministro di un piccolissimo paese con la metà degli abitanti di Roma, ex sovietico ma storicamente ricco di collaborazionisti con i nazisti (compreso il nonno della Kallas), da anni leader della russofobia europea che spinge per la guerra contro Mosca, ma fatta dall’intera Nato.
Ora si ritrovano – sia la UE che la Kallas – con un “progetto” malpensato da bruciare immediatamente perché il padrone Usa ha cambiato idea strategica, anche se pure prima (con Biden) era esclusa l’ipotesi che soldati americani potessero mettere booths on the ground. Con oltretutto la certezza che anche provocando lo scontro in prima persona – ci sono pazzi su questa linea, per esempio in Polonia, Lettonia, Lituania – gli Usa non applicheranno l’art. 5 della Nato (quello che in teoria vincola ad entrare in guerra per difendere uno dei paesi membri).
Gli analisti più scafati, per valutare quanto l’annuncio trumpiano corrisponda o no alla realtà, guardano però anche alla Russia, com’è del resto doveroso fare. E anche qui le sorprese – rispetto alla narrazione tossica “liberal-democratica” – non mancano.
In primo luogo l’intervento russo in Ucraina è arrivato dopo numerosi “tradimenti” occidentali (“nemmeno un pollice verso est”, gli “accordi di Misk” mai attuati, ecc) e dunque non avrebbe senso un “accordo” che si limita a congelare la situazione militare sul terreno. Resterebbero aperte tutte le questioni fondamentali, a cominciare dal possibile posizionamento di truppe Nato (europee o “miste”) sui confini.
Soprattutto non serve un accordo “non strategico”, che potrebbe essere annullato dal prossimo presidente Usa. Tanto più che numerosi parlamentari statunitensi dell’area “neocon” (sia “democratici” che “repubblicani”) insistono anche ora sulla necessità di non fare accordi strategici con Mosca (e neanche con Pechino, peraltro), seminando così ancora più dubbi sulla credibilità statunitense sul medio periodo.
Resta sullo sfondo l’Ucraina. Si sa che Zelenskij non viene più riconosciuto da Mosca come controparte legittimata dal voto popolare (il suo mandato è scaduto a maggio 2024), ma contemporaneamente esiste anche una legge – voluta proprio dall’attore prestato alla presidenza – che vieta trattative con Putin.
La sua rimozione appare insomma necessaria per arrivare a qualsiasi tipo di pace. Nel frattempo cerca di fare buon viso a pessimo gioco. Ha “intuito”, diciamo, che a Trump l’Ucraina interessa solo per le terre rare che possiede e da cui vorrebbe tirar fuori quei 500 miliardi che – sostiene – l’America avrebbe investito su Kiev. Si mostra disponibile a parlarne, ma questo contemporaneamente semina lo sconcerto tra le truppe al fronte: una cosa è combattere e morire “per difendere la patria”, tutt’altra è farsi massacrare per garantire a Washington il possesso di future miniere in Ucraina…
I nodi stanno arrivando tutti insieme al pettine. E quindi una cosa appare davvero chiara: anche stavolta Trump ha “venduto” la pelle di un orso ben lontano dall’essere catturato. Ma intanto ha seminato il panico tra “alleati” troppo stupidi per fare altro che seguire borbottando…
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Sergio Binazzi
pare che l’Europa a forza di fare tutto il possibile e l’impossibile per rendersi sempre più copioni e più servi del padrone americano siano diventati anche più stronzi degli usa. come si diceva : a volte l’allievo supera il maestro. già a suo tempo d’alema per farsi bello davanti al padrone americano fu in prima fila per bombardare la serbia. è capitato in passato anche a me quando lavoravo ( non ovunque fortunatamente) di trovarmi con dei crumiri più aggressivi del padrone.una volta si decantata tanto l’Europa come culla della cultura e del benessere e poi guarda come ci siamo ridotti : dei veri pezzenti. film con l’antonelli ” mio dio come sono caduta in basso ” c’è da piangere altro che ridere.
Mara
Chi lo garantisce che qualora venisse accettata la proposta di schierare truppe europee di pace a difesa dell’Ucraina, ma non credo che Putin faccia passare questa proposta, queste truppe di pace europee di cui si favoleggia, non vengano armate non solo dall’Europa ma anche dagli Usa, in modo che gli Usa continuino a manipolare a distanza la situazione Ucraina.
Ta
Una guerra americana, iniziata dagli americani, per interessi americani, che ora gli americani si apprestano a chiudere salvando il salvabile.
Una guerra che gli americani hanno sostanzialmente perso in termini strategici (volevano creare un mega-Kossovo a stelle e strisce sulla frontiera russa, e invece si ritrovano con un’Ucraina devastata, spopolata e tagliata fuori dalla NATO), ma che sul piano economico gli ha già fruttato parecchio (grazie al suicidio energetico dell’Europa, che ora dipende dagli USA anche in questo campo) e potrebbe fruttargli ancora di più (terre rare ed eventuale business della «ricostruzione»).
Quanto all’ebete classe dirigente europea (di «centrodestra» e di «centrosinistra»), che in questa guerra ci si è buttata alla cieca, bruciandoci miliardi, suicidandosi economicamente, militarizzando ottusamente ciò che restava del dibattito politico, e senza avere per giunta alcuna speranza realistica di ricavarci qualcosa (non dimentichiamo che il golpe del Majdan fu organizzato all’insegna del «Fuck EU» della Nuland), dubito che possa sopravvivere a una catastrofe del genere.
Peccato che a spazzarla via sarà il pattume fascista che alla catastrofe ha collaborato attivamente…
moreno stievano
un aspetto positivo in questa tragedia c’è, è caduta la maschera sorridente dello zio Sam che con l’inganno dava l’impressione agli stolti europei di essere alleati e non servi. Trump è quello che è, si sente dominatore del mondo e lo fa vedere apertamente, considera l’Europa dei servi e lo pretende sfacciatamente. Una consapevolezza alla quale non eravamo abituati, quello che sembrava un ruggito guerrafondaio è diventato il belare di una pecora smarrita. basterà questa consapevolezza per risvegliare le coscienze e dare nuovamente dignità al vecchio continente?
Andrea
penso che la cricca politica UE non sia Ebete ma sia al soldo degli Anglosassoni
Giovanni Scavazza
Solo la penna di Shakespere potrebbe raccontare la tragedia ucraina…
Biden e Hillary Clinton avevano visto giusto:
Lo sterminio degli ucraini e’ il loro piu’ grande successo strategico, perche’ ha messo in ginocchio l’Europa, che non si riprendera’ mai da questo disastro.
Buona notte.
Maurizio
Non sono ancora convinto della buona fede del Mr. Wolf di Pulp Fiction.
Trump è un imprenditore con forte talento nel comprare e vendere al quale interessano le entrate “forti” più di ogni altra cosa.
Per quanto riguarda Zel, ha già rispedito al mittente la proposta di scambiare le terre rare per i $500 miliardi , probabilmente, come scrive il buon Barontini, preoccupato dalla reazione dei suoi militari che si rimutano di morire per una causa commerciale.
Saluti.