L’ultima proposta di Trump di dividere l’Ucraina in tre zone occupate appare ispirarsi alla situazione, profondamente diversa, della Germania, Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale.
Il respiro della strategia trumpiana è come sempre corto e la prospettiva alquanto confusionaria. Ma la proposta non manca di una sua razionalità, per quanto perversa. Agli occhi di Trump e dei suoi accoliti, tale proposta ha lo scopo di congelare il conflitto, mantenendo anzi approfondendo il fossato tra Russia e resto dell’Europa, che costituisce il vero obiettivo strategico dello scatenamento del conflitto, che ovviamente Trump condivide fino in fondo.
Al tempo stesso la proposta ha il “pregio” di solleticare le vanagloriose aspirazioni guerrafondaie dei vari leaderini europei, ansiosi di mettere gli stivali sul suolo ucraino.
Ben diversa la visione della Russia, la quale, consapevole della sua supremazia sul campo, non accetta finte soluzioni di stampo esclusivamente tattico ma chiede siano chiarite le premesse di fondo della pace, in primo luogo la neutralità permanente dell’Ucraina e l’autodeterminazione dei territori contesi, alla quale va inevitabilmente aggiunta la liquidazione del regime di Zelensky e l’adozione di una forma dello Stato che garantisca diritti e democrazia per tutti i settori della popolazione.
Il governo russo non è certamente formato da cretini e capisce perfettamente che una “soluzione” del tipo di quella proposta da Witkoff costituisce solo un fragile espediente momentaneo volto a consentire al regime ucraino e all’Occidente che lo sostiene di riprendere fiato per tornare, non appena possibile, a riprendere la guerra.
Un avallo alla condizione di guerra permanente ricercata con accanimento scarsamente terapeutico dalle élites europee, che in essa ripongono ogni speranza, nell’illusione di allontanare in tal modo il declino definitivo di se stesse e della classe dominante occidentale della quale fanno parte, sia pure in modo sempre più subalterno.
Al tempo stesso la proposta Trump/Witkoff rappresenta la consacrazione dello status subalterno dell’Ucraina, che verrebbe di fatto a divenire un protettorato delle Potenze occidentale, una sorta di “marca di frontiera” destinata a fornire in modo permanente il materiale umano “vile” da sacrificare nella guerra contro i “nuovi barbari totalitari orientali”, per usare le categorie ormai abitualmente proprie della pessima stampa padronale italiana.
Si tratterebbe quindi dell’ennesima violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, perpetrata dall’Occidente per salvaguardare i propri interessi tattici e strategici.
L’esistenza di un’Ucraina sovrana, indipendente ed unita costituisce invece un requisito basilare della giusta pace da raggiungere e del necessario equilibrio multilaterale da realizzare nel contesto del nuovo mondo multipolare che sta sorgendo.
Si tratta di un punto di importanza fondamentale, costantemente sottolineato dalla Cina nei suoi ricorrenti e tenaci tentativi di risolvere il conflitto ucraino per via negoziale.
Occorre considerare al riguardo come NATO ed Occidente abbiano dolosamente boicottato la soluzione costituita dagli Accordi di Minsk uno e due che avrebbe consentito di affermare al tempo stesso l’unità nazionale ucraina e l’ampia autonomia delle regioni russofone dell’Est.
Dato tale sabotaggio la conseguente inevitabile secessione del Donbass, con le due repubbliche di Donetsk e Lugansk si è configurata come secessione rimediale, pienamente lecita alla stregua di giustificata reazione contro uno Stato che non si comporta in modo adeguato a rappresentare il popolo nel suo insieme, come dimostrato dagli avvenimenti conseguenti al vero e proprio colpo di Stato perpetrato a Maidan e dintorni nel febbraio 2014, cui sono seguiti dieci anni di dura repressione e violazione dei diritti umani fondamentali del popolo del Donbass.
Tale prospettiva va oggi per quanto possibile recuperata, ma il necessario esercizio del diritto di autodeterminazione va oggi esteso all’insieme del popolo ucraino, che oggi va messo in grado di effettuare democraticamente la propria scelta democratica, liberandosi di un governo corrotto e totalmente subordinato allo straniero, che ha mandato alla guerra e alla morte i propri giovani e vorrebbe continuare a farlo come gli viene richiesto oggi dai governi europei.
Questi ultimi non hanno nessun diritto di mettere i propri scarponi chiodati sul suolo ucraino e devono anzi smettere di fomentare la guerra con l’invio di armamenti e in altro modo. Questo deve essere l’impegno prioritario per chiunque in Europa, e siamo sicuramente la maggioranza, ha davvero a cuore i destini della pace e della democrazia internazionale.
*Cred (Centro Ricerche ed Elaborazione per la Democrazia)
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ugo
Per prima cosa faccio una critica al vostro giornalismo: la mappa che mostrate è una mappa dei dialetti ucraini e non ha nulla a che fare con l’articolo; scusate, ma non saremmo comunisti se non fossimo incontentabili. Poi volevo fare un’osservazione sulle ripercussioni nella UE: questa smania per riarmo e il confronto con la Russia ci porta inesorabilmente sotto l’ombrello atomico francese e inglese. Diventiamo loro clienti, nell’UE faranno il bello e il cattivo tempo e l’Inghilterra, che ne è uscita, avrà tutti i diritti e nessuno dei doveri. Spero che se ne rendano conto da noi, spero che in Germania capiscano che questo è il modo più sicuro per diventare un paese di serie B; per noi italiani, se proprio va bene, c’è la retrocessione nei dilettanti.
Leonardo
Marcelli sbaglia l’interpretazione della contingenza: questa (con mappa inappropriata, è vero) NON è la proposta di Trump-Witkoff ma molto più modestamente, quella del generale Kellogg che, oltretutto, ha corretto pure il tiro. Vecchio arnese da guerra fredda, costui, lo ricorderete, era stato nominato inviato speciale per l’Ucraina e subito silurato (già nei primi colloqui a Rihad) in favorte del più solido e affidabile Witkoff. E’ stato ‘retrocesso’ a inviato con gli europei per equilibrare un po’ il tiro in senso russofobo. Non a caso ieri è stato il primo (e l’unico) a straparlare sui fatti di Sumy.
Una mezza calzetta (relativamente parlando, certo), insomma, non proprio il ‘100-pounds-gorilla’ dell’Amministrazione USA che con i Russi, con ogni probabilità, sta parlando di tutt’altro.