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Record di spese militari nella UE, Kallas inaugura “l’era della difesa europea”

L’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) ha pubblicato il proprio rapporto annuale sui dati relativi alle spese militari dei 27 membri UE nel biennio 2024-2025. Lo scorso anno i paesi europei hanno raggiunto il record di ben 343 miliardi di euro collocati nella difesa, con un incremento di ben il 19% rispetto al 2023.

La spesa in percentuale del PIL sfiora il 2% che, fino a giugno scorso, era il target previsto dalla NATO, mentre per l’anno in corso viene previsto un ulteriore aumento (le stime parlano di 381 miliardi). Secondo l’EDA, i numeri riflettono “la determinazione degli Stati membri a rafforzare le capacità militari dell’Europa in risposta all’evoluzione del contesto di sicurezza“.

L’aumento della spesa è dovuto innanzitutto dal livello record di acquisti di attrezzature militari e dagli investimenti in ricerca e sviluppo (13 miliardi). Gli investimenti in generale, nel comparto militare, hanno superato quota 100 miliardi (106, per l’esattezza), e rappresentano ormai quasi un terzo delle spese totali.

È il livello più alto dall’inizio della raccolta dei dati da parte dell’EDA, ma non è ancora abbastanza per stare al passo di una superpotenza come gli Stati Uniti. Soprattutto, rimangono le problematiche di un complesso militare-industriale frammentato: per l’EDA serve “una maggiore collaborazione per massimizzare l’efficienza e garantire l’interoperabilità tra le forze armate dell’UE“.

L’Alto rappresentante per gli Affari Esteri di Bruxelles, Kaja Kallas, che in tale veste è anche a capo dell’EDA, lo ha detto chiaro e tondo: “l’Unione europea sta utilizzando tutti gli strumenti finanziari e politici a sua disposizione per sostenere gli Stati membri e le aziende europee in questo sforzo. La difesa oggi non è un optional, ma è fondamentale per la protezione dei nostri cittadini. Questa deve essere l’era della difesa europea“.

Non l’era della lotta alla povertà o l’era della tutela dell’ambiente, è l’era delle imprese belliche. Del resto, è questa la via che le cancellerie europee hanno deciso di imboccare per cercare di dare un po’ di ossigeno all’asfittica industria del Vecchio Continente, ora che il modello export-oriented è fallito (ma non possono dirlo, dopo aver imposto decenni di austerità).

Austerità che si farà ancora più stringente, per destinare ancora più risorse proprio verso questo approccio da keynesismo militare. Il direttore esecutivo dell’EDA, André Denk, ha dichiarato: “il raggiungimento del nuovo obiettivo della NATO del 3,5% del PIL richiederà uno sforzo ancora maggiore, con una spesa totale di oltre 630 miliardi di euro all’anno. Tuttavia, dobbiamo anche cooperare strettamente, trovare economie di scala e aumentare l’interoperabilità“.

La mole di risorse pubbliche da destinare al complesso militare-industriale, e il salto di qualità per ciò che riguarda una vera e propria difesa europea sono i nodi che Bruxelles deve sciogliere per poter mostrare i muscoli, come millanta di voler fare.

Millanta, perché la velleità di presentarsi come un attore autonomo della competizione globale si è schiantata di fronte al ‘fuoco amico’ di Washington e all’incapacità delle classi dirigenti europee di saper imprimere le necessarie trasformazioni al progetto comunitario nei passaggi storici degli ultimi decenni.

Nell’impossibilità di ammettere il proprio fallimento, la spinta è quella di invischiarsi sempre di più in questo braccio di ferro militare, sperando di recuperare terreno a suon di armi. Del resto, il presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, l’ha scritto in un post su X, un paio di giorni fa: “il ‘soft power’ da solo non è sufficiente in un mondo dove il ‘hard power’ prevale troppo spesso“.

Una corsa verso il disastro, però armati fino ai denti.

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