Il 6 settembre è stata un’altra importante giornata di mobilitazione nel Regno Unito, annunciata già da tempo e svoltasi, nonostante gli atti repressivi che l’hanno preceduta. Al centro, come da settimane a questa parte, non solo la solidarietà col popolo palestinese, ma anche con Palestine Action, rete di attivisti inserita tra le organizzazioni terroristiche.
La polizia britannica ha effettuato centinaia di arresti in diverse manifestazioni tra agosto e inizio settembre, mentre l’antiterrorismo ha da poco fatto irruzione persino nelle case di esponenti di Defend Our Juries (DOJ), associazione per la difesa della libertà di parola che ha chiamato la manifestazione dello scorso sabato.
È stato durante questa protesta che le forze dell’ordine hanno raggiunto un nuovo record negativo di ben 890 arresti. DOJ ha reso noto che oltre 1.500 persone erano presenti davanti al Parlamento, sedute e tenendo semplicemente dei cartelli su cui c’era scritto: “mi oppongo al genocidio, sostengo Palestine Action“.
Quasi due terzi della piazza è stata fermata per una protesta pacifica, contro la complicità del proprio paese in un genocidio conclamato e perché, in pratica, considerata connivente col terrorismo. 857 persone sono state prese in custodia ai sensi del Terrorism Act, secondo il quale anche la semplice solidarietà a parole con un’organizzazione annoverata nella lista di quelle terroristiche può comportare l’arresto.
È il caso, appunto, di Palestine Action. Ricordiamo che questa rete di solidali con la Palestina è stata messa al bando per un’azione con la quale è stata lanciata della vernice su degli aerei militari diretti verso il Medio Oriente. Nessuna violenza verso i civili, solo all’apparato militare che continua a sostenere e a commerciare con uno stato genocida.
Tanto è bastato per generare una reazione che, da più parti e organizzazioni internazionali, è stata definita chiaramente sproporzionata. Di fatto, Palestine Action è stata equiparata all’ISIS, e chi ne fa parte o la difende può vedersi comminare dai 6 mesi fino a 14 anni di carcere. È evidente la mancanza di scala tra un’imbrattamento e una delle ondate repressive più dure e durature della storia britannica.
Dall’entrata in vigore della messa al bando, lo scorso luglio, erano già state oltre 800 le persone arrestate e 138 quelle incriminate per sostegno o incitamento al sostegno di un’organizzazione terroristica. Dopo sabato sono raddoppiate. Molti di loro, se non la maggior parte, sono di età avanzata. Sabato è stato tratto in arresto per la seconda volta anche un anziano in sedia a rotelle e cieco, Mike Higgins.
Nel frattempo, il primo ministro Keir Starmer si rifiuta di rispondere alle domande che vorrebbero la protezione di Downing Street per gli attivisti britannici imbarcati sulle navi della Global Sumud Flotilla.
Intanto, l’International Centre of Justice for Palestinians (ICJP) ha contattato il Metropolitan Police’s Counter Terrorism Command di Londra per richiedere che il presidente israeliano Isaac Herzog, in visita nel Regno Unito la prossima settimana, venga posto sotto indagine per le sue responsabilità in possibili crimini di guerra. Secondo la ICJP, l’immunità diplomatica non impedisce di agire secondo gli obblighi imposti dal diritto domestico e internazionale.
È facile immaginare, dunque, che anche nei giorni a venire le proteste in solidarietà con la causa palestinese continueranno, e che allo stesso modo continuerà anche quest’ondata assurda di arresti, che rappresentano lo stato evidente di putrescenza di quella che le cancellerie occidentali si ostinano a chiamare ‘democrazia’.
Mentre è ormai una democratura intenta a reprimere ogni dissenso, perfettamente in linea con la natura dello stato genocida di Israele. Non a caso, durante gli arresti dei passanti gridavano ai poliziotti: “scegliete da che parte stare, giustizia o genocidio“.
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