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Gaza è un lager in diretta social

Gaza è un immenso campo di concentramento. Tutti coloro che negano questa realtà ampiamente documentata, assolutamente inconfutabile, sono, oggettivamente, complici di questo orrore che si sta consumando, da due anni, ai danni della popolazione civile palestinese della Striscia. Tutte le dispute terminologiche, capziose o meno, non intaccano questo nucleo centrale di verità.

Il genocidio in diretta social e il fallimento della propaganda israeliana

Prima che i grandi media mainstream si “accorgessero” degli orrori di Gaza, costretti da un’opinione pubblica (certamente tardiva in Italia ma, ora, debordante), una quantità infinita di immagini, di video e di testimonianze dirette era apparsa, ininterrottamente, per quasi due anni, su diversi social media nonostante la sistematica censura applicata da quelli più diffusi controllati da Meta.

Una gigantesca quantità di prove non alterabili dei massacri quotidiani della gente di Gaza ha invaso i nostri dispositivi documentando i bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile, sugli ospedali, sulle tendopoli degli sfollati, sulle ambulanze, sulle scuole trasformate in rifugi per gli scampati alle bombe israeliane.

Sui social media sono stati resi di pubblico dominio i rapporti dei medici e persino i referti che hanno certificato la prassi abituale dei cecchini dell’esercito israeliano di mirare, con chirurgica precisione, alla testa ed al cuore dei bambini e delle bambine palestinesi.

I corpi orribilmente straziati, mutilati, carbonizzati, di decine di migliaia di civili hanno colonizzato il nostro immaginario levandoci la pace ed il sonno. L’impatto emotivo di quelle immagini è stato devastante per milioni di persone in tutto il mondo. Le stesse che, poi, hanno invaso spontaneamente, come un fiume in piena, le strade e le piazze di ogni angolo del globo contro Israele e contro l’inerzia complice degli Stati occidentali fino alle manifestazioni oceaniche di questi ultimi giorni, finalmente, anche in Italia.

E non sono bastati tutti i tentativi di censura né una frenetica e costosissima attività di infiltrazione, condizionamento e manipolazione dei contenuti social messi in campo da Israele e dalle lobbies sioniste statunitensi.

Gli Investimenti di Israele in hasbara [1] per la pubblicità sui social media, dal 7 ottobre in poi, sono cresciuti in modo esponenziale così come gli sforzi di diplomazia pubblica di Israele che hanno registrato un’enorme espansione del budget nel 2025 quando il Ministero degli Esteri israeliano ha stanziato ulteriori 200 milioni di dollari proprio per le operazioni di hasbara: un aumento di 20 volte superiore rispetto alla baseline del 2023.

Un finanziamento di proporzioni enormi mirato a supportare  alcuni influencer  sui  social media, annunci pubblicitari a pagamento, bot e messaggi personalizzati per un pubblico globale.

E tuttavia, tutti quei soldi non sono bastati a nascondere le immagini terribili del genocidio del popolo palestinese iniziato subito dopo il 7 ottobre 2023. Nonostante la sistematica parzialità pro-Israele dei media occidentali, i giornalisti palestinesi, isolati e uccisi in gran numero, sono comunque stati in grado di comunicare i dettagli del Genocidio al resto del mondo, rendendo impossibile per Israele nascondere i propri crimini.

C’è anche il fatto che tanti soldati israeliani hanno pubblicato sui social media video e foto di sé stessi proprio mentre commettevano crimini di guerra.

In definitiva, il fallimento del tentativo israeliano di nascondere il genocidio del popolo palestinese di Gaza è stato assoluto se, ormai, anche la maggioranza degli ebrei americani disapprovano fortemente la condotta di Israele nella guerra a Gaza.

Secondo un sondaggio del Washington Post, il 61% afferma che Israele ha commesso crimini di guerra e circa 4 su 10 ritengono il Paese colpevole di genocidio nei confronti dei palestinesi. Un risultato del tutto inatteso per Israele, dato il fortissimo storico legame di tra la comunità ebraica statunitense e Israele: una frattura senza precedenti. Un crescente divario tra ebrei americani e Israele potrebbe avere inedite e sorprendenti conseguenze anche sulla stessa politica statunitense.

La fame come tortura e come arma di sterminio

A maggio scorso, Israele ha deciso di escludere l’ONU dalla gestione degli aiuti a Gaza, assegnando l’intero controllo della distribuzione umanitaria alla famigerata Gaza Humanitarian Foundation (GHF) che, da allora, è diventato l’unico canale autorizzato per l’ingresso di cibo e medicine nella Striscia.

La decisione del governo Netanyahu, sostenuta dall’amministrazione Trump, ha cancellato il sistema che includeva le agenzie ONU, in particolare l’Unrwa [2]che da decenni gestiva gli aiuti nei territori palestinesi insieme a decine di organizzazioni non governative.

Da quel momento migliaia di civili palestinesi sono stati uccisi o feriti mentre cercavano di raggiungere le provviste. Pochissime scorte totalmente inadeguate rispetto a una popolazione di 2,1 milioni di palestinesi ridotti, ormai, alla fame oltre che a bere acqua putrida e contaminata da virus e batteri.

Troppo pochi anche i centri di distribuzione, principalmente concentrati nel Sud della Striscia. Le Nazioni Unite ed altre organizzazioni umanitarie hanno respinto il nuovo sistema, affermando che Israele sta usando il cibo come arma per controllare la popolazione.

Con l’avvento della GHF, i punti di distribuzione del cibo da centinaia che erano, sparsi su tutto il territorio della Striscia, si sono ridotti a quattro, di cui tre a ridosso della zona di Rafah sotto lo stretto controllo militare israeliano. Una scelta che tradisce il piano del governo dello Stato Ebraico, di spostare con la forza le persone dal Nord al Sud della Striscia. Un piano che usa la fame come arma di guerra, di tortura e di sterminio: un crimine di guerra.

Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame, la fame vivente”, così scriveva Primo Levi. La fame nei lager descritta da Primo Levi in “Se questo è un uomo” [3] e in altre sue opere, è una condizione estrema di privazione fisica e psicologica, un’esperienza di “fame vivente” che degrada l’uomo, trasformandolo in un essere dominato dalla necessità di sopravvivenza e privato della sua dignità.

Levi sottolineava come la fame non è solo mancanza di cibo, ma un elemento centrale della logica di violenza del Lager, che spinge gli internati nei campi di concentramento al limite della loro umanità, a competere per le scarse risorse, a rompere le relazioni sociali.

La disumanizzazione dei Palestinesi

Scrive ancora Primo Levi: «Nella pratica quotidiana dei campi di sterminio trovano la loro realizzazione l’odio e il disprezzo diffusi dalla propaganda nazista. Qui non c’era solo la morte, ma una folla di dettagli maniaci e simbolici, tutti tesi a dimostrare e confermare che gli ebrei, e gli zingari, e gli slavi, sono bestiame, strame, immondezza”.

E’ il meccanismo della disumanizzazione, della riduzione del nemico a cosa, a  sub-umano, ad untermensch. E cosa ha fatto di diverso la propaganda sionista negli ultimi due anni mentre bombardava a tappeto la Striscia di Gaza e sterminava i suoi abitanti?

Ce lo ha spiegato in modo estremamente chiaro un ebreo-israeliano, l’editorialista del quotidiano israeliano Haaretz Gideon Levy, da sempre voce radicalmente critica di Israele e per ciò stesso fatto oggetto di minacce, anche di morte, da parte dei sionisti.

Per Levy, Israele ha cancellato l’umanità dal volto dei palestinesi. Esattamente come fecero i nazisti con gli ebrei, per gli israeliani, i palestinesi, sono diventati “animali” da eliminare e Gaza un “nido di vipere” da “bonificare”.

L’excapo dell’esercito israeliano, Yoav Gallant, ora ricercato con mandato di cattura della Corte Penale internazionale, aveva affermato già all’inizio dell’offensiva: «Combattiamo contro animali umani». La disumanizzazione mira a spegnere la compassione e a procedere con lo sterminio.

Questo basterebbe a sgombrare il campo dai tentativi di segnare una differenziazione tra i partiti attualmente al governo dello Stato Ebraico e sostenere la tesi del governo israeliano ostaggio degli estremisti del Partito Sionista Religioso dei due ministri Smotrich e Ben Givr.

Secondo Levy c’è un secondo meccanismo che viene usato per “spegnere” la capacità di vedere I palestinesi come esseri umani: la riduzione dei palestinesi a semplici oggetti, eliminabili, dunque, senza dover provare rimorso. 

Sempre secondo Gideon Levy, dopo il 7 ottobre 2023 è successa una cosa nuova che ha modificato la percezione degli israeliani: il processo di disumanizzazione è stato trasmesso in diretta. Le immagini sono diventate routine: corpi dilaniati sulle strade, bambini estratti dalle macerie, intere famiglie sterminate, donne e bambini barbaramente uccisi dall’esercito mentre erano in fila per l’acqua e per il cibo. 

E tuttavia, la reiterazione quotidiana di queste scene, da un certo punto in poi, non  non genera più empatia, indignazione, rabbia, compassione. Il processo di disumanizzazione è compiuto: lo spettatore israeliano è indifferente. I palestinesi non sono più esseri umani, ma “scudi umani” usati da Hamas. Non sono civili che muoiono, ma “effetti collaterali” inevitabili nella guerra senza quartiere ai ” terroristi”. 

I bambini e le bambine sono soltanto “futuri terroristi” da eliminare preventivamente. La cancellazione del nemico è un atto necessario ed inevitabile. 

Per Levy «Questo non è per niente nuovo. Ed è un mezzo necessario perché, se i nostri avversari sono esseri umani, noi abbiamo un problema. Un problema morale, un problema di diritti fondamentali, un problema di coscienza. Se non sono veramente esseri umani, tutto è più facile. Se tutta Gaza è Hamas, se tutti sono terroristi, e se nessuno viene visto come essere umano, questo è il primo passo per spegnere la coscienza: disumanizzare l’altro, e tutto è più semplice». 

Levy individua una precisa “matematica della disumanizzazione”. La “risposta israeliana al 7 ottobre” ha rivelato anche come la sproporzione non sia affatto un effetto collaterale, ma faccia parte integrante del meccanismo di disumanizzazione. Per ogni israeliano ucciso, decine di palestinesi devono morire. Non per necessità militare, ma per ribadire una gerarchia di valore delle vite umane. La matematica della disumanizzazione funziona così: alcune vite contano più di altre, alcune morti sono più importanti di altre.[4]

Ma c’è di più ed è quel che fa di Gaza un campo di concentramento in cui si pratica l’annientamento totale di un popolo: non basta uccidere, bisogna rendere impossibile la vita stessa, distruggendo ospedali, scuole, pozzi d’acqua. E’ quel che si sta compiendo a Gaza ed è ciò che ha certificato un’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite arrivata alla conclusione che nella Striscia di Gaza è in corso un «genocidio» dall’ottobre del 2023.

Israele si è mossa con «l’intento di distruggere i palestinesi» presenti nel territorio, denuncia un rapporto di 72 pagine pubblicato 3 settimane fa dalla Commissione internazionale indipendente d’inchiesta dell’Onu sui territori palestinesi occupati.

L’accusa di genocidio, spiega il rapporto ONU, scaturisce da «basi ragionevoli»: l’analisi  si riferisce «esclusivamente alla determinazione del genocidio secondo la Convenzione sul Genocidio», il trattato ONU del 1948 adottato in seguito all’omicidio di massa degli ebrei da parte della Germania nazista che definisce il genocidio come crimini commessi «con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale». 

La Commissione ha concluso che le autorità e le forze armate israeliane, dall’ottobre 2023, hanno commesso «quattro dei cinque atti genocidari» elencati in questo trattato:

-uccisione di membri del gruppo;

-causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;

-infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte;

– imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo.

Al lager non si sopravvive. Per questo Gaza deve essere liberata, subito.


[1] Hasbara è la macchina israeliana della propaganda che scatta in automatico, durante ogni conflitto, utilizzando i principali canali mediatici occidentali per dipingere i palestinesi in una luce negativa e per presentare Israele come la vittima perpetua in uno stato permanente di autodifesa e come unico difensore della civiltà occidentale. Una campagna che mira ad ad abbellire Israele nell’intrattenimento popolare, dai film di Hollywood alle commedie televisive e alle copertine delle riviste e a condizionare pesantemente i politici, giornalisti, intellettuali ed opinionisti

[2]  L’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente) è un’agenzia dell’ONU fondata nel 1949 per fornire aiuti umanitari, servizi educativi e sanitari ai rifugiati palestinesi nei territori occupati e nei campi profughi anche dei paesi vicini.

[3] “Se questo è un uomo“, Primo Levi, scritto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947.

[4]  “In Gaza, Israel’s Dehumanization of the Palestinians Has Reached a New Height”, di Gideon Levy, su Hareetz , Aug 14, 2024

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