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Via al-Sharaa, dentro antifa e narcotraffico. La ridefinizione trumpiana di terrorismo

Appena una settimana fa l’ex qaedista al-Sharaa veniva accolto alla Casa Bianca, prima volta di un presidente siriano dal 1946. Non è si è dovuto aspettare nemmeno un quarto di secolo per passare dalla guerra al terrorismo islamico dal riceverne un leader in quello che è il simbolo del potere della prima potenza al mondo: la “guerra mondiale a pezzi” crea strane amicizie.

In contemporanea alla cancellazione del leader di Damasco dalla lista dei terroristi ricercati con una taglia sulla testa, l’amministrazione Trump ha annunciato una sostanziale espansione delle entità iscritte in questo famigerato elenco, inserendovi, dopo varie organizzazioni del narcotraffico, anche dei gruppi politici antifascisti europei.

Sul sito del Dipartimento di Stato USA si legge che “Antifa Ost, Informal Anarchist Federation/International Revolutionary Front, Armed Proletarian Justice e Revolutionary Class Self-Defense” sono designate come “Organizzazioni Terroristiche Straniere (FTO), a partire dal 20 novembre 2025“. È lo stesso organo stelle-e-strisce a fare un’identikit delle organizzazioni citate.

Antifa Ost sono un gruppo di militanti antifascisti tedeschi, accusati di aver commesso atti anche a Budapest nel 2023, gli stessi in cui è stata coinvolta anche Ilaria Salis. Il 26 settembre 2025, l’Ungheria ha dichiarato Antifa Ost un’organizzazione terroristica, aggiungendola alla propria lista nazionale antiterrorismo.

L’Armed Proletarian Justice e il Revolutionary Class Self-Defense sono invece due formazioni greche. L’Informal Anarchist Federation è la Federazione Anarchica Informale italiana, “con affiliati storici autoproclamatisi in Europa, Sud America e Asia“, dice il Dipartimento di Stato.

Bisogna ricordare che a settembre il presidente statunitense aveva deciso di etichettare gli “Antifa” come “gruppo terroristico interno“. Una formula che però in molti esperti hanno criticato in quando infondata anche dal punto di vista legale: è stata la stessa FBI a evidenziare che “Antifa” è un’ideologia più che un’organizzazione, e non può perciò rientrare nelle liste in questione.

C’è però da analizzare quali siano i risvolti della decisione di inserire 4 gruppi europei nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Anche se prima è necessario ribadire un tema: “terrorista”, nella propaganda occidentale, è sempre e solo il nemico. Sul nostro giornale ne abbiamo scritto tempo fa, e rimandiamo a quell’articolo per ulteriori approfondimenti.

Detto questo, partiamo con dei numeri. Comprese le quattro realtà sopra citate, quest’anno sono state aggiunte 23 organizzazioni alla lista delle formazioni terroristiche. È il numero più alto dai tempi della stessa formazione di questo elenco, nel 1997. Fino ad oggi, per lo più si è trattato di reti legate all’estremismo islamico.

Il Washington Post scrive: “i soggetti presi di mira questa settimana non minacciano direttamente gli Stati Uniti né hanno precedenti per attacchi mortali. Alcuni esperti di antiterrorismo hanno affermato che la mossa potrebbe esporre i cittadini statunitensi ritenuti aventi legami con l’Antifa a indagini penali“.

Oltre al rischio di sanzioni che potrebbero colpire chiunque venga ritenuto in rapporto con queste formazioni, la realtà è che designando questi gruppi stranieri quali “terroristi” le autorità statunitensi si garantiscono una sgangherata “copertura legale” – che prima mancava – per perseguire allo stesso modo il dissenso all’interno degli States, anche semplicemente millantando rapporti con le realtà europee.

E questo è il risvolto interno della decisione di Trump: ampliare gli strumenti repressivi interni in un paese che è attraversato da pesanti conflittualità, al limitare di una guerra civile, che la Casa Bianca e il movimento “Maga” stanno provocando con forza, così come ha fatto con l’ICE e guardia nazionale nei confronti dei migranti.

Sul piano della politica estera, invece, bisogna osservare come, da al-Sharaa, la casacca di ‘terrorista’ è passata alle organizzazioni che sono considerate alla guida del narcotraffico internazionale. E soprattutto, bisogna osservare come le principali di queste vengano tutte situate in America Latina: cartello messicano di Sinaloa, il Tren de Aragua del Venezuela  e La Mara Salvatrucha (MS-13) di El Salvador.

Anche questa scelta appare evidentemente dettata dal cambio di indirizzo strategico deciso dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Gli USA vogliono rivolgere maggiormente la propria attenzione a quello che considerano il proprio “cortile di casa”, e l’aver accolto tra i terroristi varie realtà operanti nelle Americhe aiuta a farlo.

Il Dipartimento di Stato ha annunciato anche che vuole designare come FTO il Cartel de los Soles (di cui non si fornisce però alcuna prova di esistenza), sostenendo che inoltre ne sarebbe a capo lo stesso Maduro. Ma Trump ha anche affermato che potrebbe parlarne col presidente venezuelano, contraddicendo quanto appena detto.

Almeno sul piano propagandistico, l’attribuzione dell’etichetta di “terrorista” sta consentendo all’amministrazione statunitense di portare avanti significative operazioni militari millantando una qualche legittimità. È quello che sta succedendo nelle acque intorno al Venezuela e alla Colombia.

“Terrorista” è sempre il nemico, e oggi per gli USA il vero nemico è la frattura insanabile della propria società, al proprio interno, e le concrete esperienze di alternativa a due passi dalle proprie coste (come lo è da decenni anche Cuba).

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