Rocco Di Michele
Cgil, si accende lo scontro
La segretaria alla riunione dei delegati Fiom vicini alla sua linea. Rinaldini: non ci fanno esprimere. Landini: quell’intesa resta sbagliata
CONTRATTI Camusso difende l’accordo del 28 giugno. La minoranza: «Ci censurano»
Tempi duri, per chi dissente. O promettenti, se riesce a farsi capire dalla propria gente e fa crescere intorno a sé consapevolezza e consenso. Senza giri di parole, parliamo di quanto sta accadendo nella Cgil, il più grande sindacato italiano, pezzo chiave del radicamento sociale di quel che si usa chiamare ecumenicamente «sinistra». L’accordo del 28 giugno, siglato con Confindustria insieme a Cisl e Uil, sta scavando distanze serie tra aree congressuali che già un anno fa – Rimini – avevano mostrato idee abbastanza diverse di cosa voglia dire fare sindacato oggi.
Ora, nel bel mezzo dei primi effetti di una manovra finanziaria che secondo molti economisti (si veda Halevi, nei giorni scorsi su questo giornale) produrrà «impoverimento delle famiglie» e «ulteriore riduzione del Pil», sembra che si stia cercando di «rimuovere la contraddizione». Da La Cgil che vogliamo – area di minoranza coordinata da Gianni Rinaldini, ex segretario della Fiom – arrivano segnalazioni preoccupate: «Siamo all’inverosimile di una consultazione in corso nella quale non vengono presentate le diverse posizioni espresse nel Direttivo della Cgil Nazionale, ma solo quelle di maggioranza; e, adesso, viene perfino negata la stessa possibilità di esercitare pubblicamente il dissenso utilizzando risorse che sono di tutta l’organizzazione, maggioranza e minoranza» (ovvero stampare e distribuire volantini e comunicati). «Il gruppo dirigente della Cgil e la segretaria generale si stanno assumendo per intero la grave responsabilità di negare la democrazia nella vita interna dell’organizzazione con una consultazione che si svolge senza alcuna regola e forma di controllo concordata, dove tutto viene deciso e gestito da una parte, seppure maggioritaria».
Situazione opposta all’interno della Fiom, dove la minoranza fedele alla linea confederale ha organizzato ieri, nella sede centrale di Corso Italia, un’assemblea nazionale dei delegati «favorevoli all’accordo». Il coordinatore dell’area, Fausto Durante, ha criticato le recenti (e vincenti) iniziative della sua categoria, perché «la via giudiziaria non sostituisce l’azione sindacale, ossia la contrattazione». Si è quindi detto «pronto a sostenere la creazione di Comitati per il sì» all’interno dei luoghi di lavoro per «contrastare la campagna vergognosa di travisamento e denigrazione rispetto a vari contenuti dell’accordo». Toni non proprio concilianti, insomma.
La segretaria generale Cgil Susanna Camusso, intervenendo a questa assemblea, ha cercato per un verso di smentire che sia in preparazione una «purga» d’altri tempi all’interno dei metalmeccanici: «Chi cerca o invoca sanzioni disciplinari o espulsioni sbaglia strada; per noi gli iscritti alla Fiom sono iscritti alla Cgil». Ma, al tempo stesso, «c’è la Cgil e ci sono le sue articolazioni organizzative, cioè le categorie. Ci può essere un dissenso strutturale? È questo il nodo da sciogliere». Per ricordare infine che «per noi varrà solo il voto degli iscritti e non fa bene a nessuno contrapporre il voto dei lavoratori a quello degli iscritti».
Un modo per far prevalere ragioni e vincoli «d’organizzazione» rispetto a quelli «di classe», si sarebbe detto in tempi non lontani. E la risposta del segretario generale Fiom, Maurizio Landini, a Genova per il decennale del 2001, dove i meccanici furono parte importante, non si è fatta attendere. Intanto un invito: «Mi attendo che il segretario generale Cgil sarà presente all’assemblea nazionale dei delegati del 22 e 23 settembre, dove si discuterà sia della consultazione che sulla piattaforma per il rinnovo del contratto; troverei del resto singolare che partecipi solo a quelle di area».
Ma sui contenuti dell’accordo, Landini mantiene tutte le critiche: «Si apre a che i contratti aziendali possano modificare quelli nazionali, che in azienda si possano decidere a maggioranza “tregue sindacali” che impediscono ad altre sigle l’esercizio del diritto costituzionale di sciopero, non si affronta il problema di come evitare accordi separati quando c’è dissenso tra i sindacati perché non si prevede in modo certo di ricorrere al voto dei lavoratori». Per questo, promette Landini, «in coerenza con il nostro statuto, faremo votare sull’accordo tutti i lavoratori che lo chiedono, iscritti o no alla Fiom; e certificheremo tutto, sia come avranno votato gli iscritti, sia tutti gli altri». Perché la partita, va ricordato, è come si difende il lavoro in tempi di crisi, non come si elimina il dissenso.
Ora, nel bel mezzo dei primi effetti di una manovra finanziaria che secondo molti economisti (si veda Halevi, nei giorni scorsi su questo giornale) produrrà «impoverimento delle famiglie» e «ulteriore riduzione del Pil», sembra che si stia cercando di «rimuovere la contraddizione». Da La Cgil che vogliamo – area di minoranza coordinata da Gianni Rinaldini, ex segretario della Fiom – arrivano segnalazioni preoccupate: «Siamo all’inverosimile di una consultazione in corso nella quale non vengono presentate le diverse posizioni espresse nel Direttivo della Cgil Nazionale, ma solo quelle di maggioranza; e, adesso, viene perfino negata la stessa possibilità di esercitare pubblicamente il dissenso utilizzando risorse che sono di tutta l’organizzazione, maggioranza e minoranza» (ovvero stampare e distribuire volantini e comunicati). «Il gruppo dirigente della Cgil e la segretaria generale si stanno assumendo per intero la grave responsabilità di negare la democrazia nella vita interna dell’organizzazione con una consultazione che si svolge senza alcuna regola e forma di controllo concordata, dove tutto viene deciso e gestito da una parte, seppure maggioritaria».
Situazione opposta all’interno della Fiom, dove la minoranza fedele alla linea confederale ha organizzato ieri, nella sede centrale di Corso Italia, un’assemblea nazionale dei delegati «favorevoli all’accordo». Il coordinatore dell’area, Fausto Durante, ha criticato le recenti (e vincenti) iniziative della sua categoria, perché «la via giudiziaria non sostituisce l’azione sindacale, ossia la contrattazione». Si è quindi detto «pronto a sostenere la creazione di Comitati per il sì» all’interno dei luoghi di lavoro per «contrastare la campagna vergognosa di travisamento e denigrazione rispetto a vari contenuti dell’accordo». Toni non proprio concilianti, insomma.
La segretaria generale Cgil Susanna Camusso, intervenendo a questa assemblea, ha cercato per un verso di smentire che sia in preparazione una «purga» d’altri tempi all’interno dei metalmeccanici: «Chi cerca o invoca sanzioni disciplinari o espulsioni sbaglia strada; per noi gli iscritti alla Fiom sono iscritti alla Cgil». Ma, al tempo stesso, «c’è la Cgil e ci sono le sue articolazioni organizzative, cioè le categorie. Ci può essere un dissenso strutturale? È questo il nodo da sciogliere». Per ricordare infine che «per noi varrà solo il voto degli iscritti e non fa bene a nessuno contrapporre il voto dei lavoratori a quello degli iscritti».
Un modo per far prevalere ragioni e vincoli «d’organizzazione» rispetto a quelli «di classe», si sarebbe detto in tempi non lontani. E la risposta del segretario generale Fiom, Maurizio Landini, a Genova per il decennale del 2001, dove i meccanici furono parte importante, non si è fatta attendere. Intanto un invito: «Mi attendo che il segretario generale Cgil sarà presente all’assemblea nazionale dei delegati del 22 e 23 settembre, dove si discuterà sia della consultazione che sulla piattaforma per il rinnovo del contratto; troverei del resto singolare che partecipi solo a quelle di area».
Ma sui contenuti dell’accordo, Landini mantiene tutte le critiche: «Si apre a che i contratti aziendali possano modificare quelli nazionali, che in azienda si possano decidere a maggioranza “tregue sindacali” che impediscono ad altre sigle l’esercizio del diritto costituzionale di sciopero, non si affronta il problema di come evitare accordi separati quando c’è dissenso tra i sindacati perché non si prevede in modo certo di ricorrere al voto dei lavoratori». Per questo, promette Landini, «in coerenza con il nostro statuto, faremo votare sull’accordo tutti i lavoratori che lo chiedono, iscritti o no alla Fiom; e certificheremo tutto, sia come avranno votato gli iscritti, sia tutti gli altri». Perché la partita, va ricordato, è come si difende il lavoro in tempi di crisi, non come si elimina il dissenso.
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Pier Luigi Panici *
La sentenza Fiat è una vittoria per la Fiom
Pier Luigi Panici*
Nessuna particolare sorpresa per il coro quasi unanime dei giornali e dei commentatori sull’esito della vicenda giudiziaria Fiat, all’indomani della senten za di Torino: non hanno capito o non hanno voluto capire. Parlare di «pareggio» o addirittura di «vittoria 2 a 1» per il Lingotto, come fa il prof. sen. Ichino, è una grossolana stupidaggine indotta solo dall’odio pregiudiziale verso la Fiom. Ichino, che afferma lo scarso rilievo della condanna per comportamento antisindacale, che comporterebbe per la Fiat «25 giorni» di semplice consultazione sindacale, (ai sensi dell’art. 47 l. 428/90), fa semplicemente ridere: il Tribunale di Torino «ordina a Fabbrica italia Pomigliano di riconoscere, in favore di Fiom Cgil, la disciplina giuridica come regolata dal Titolo Terzo (Dell’attività sindacale), artt. Da 19 a 27 della legge 20 maggio n. 300 (Statuto dei Lavoratori)». L’art. 47 l. 428/90, dunque, non c’entra.
Mi ha sorpreso, invece, il commento problematico de il manifesto, sapendovi intelligenti e in grado di capire la portata della sentenza. Avendo partecipato alla stesura del ricorso e alle fasi del giudizio, sintetizzo la «domanda» della Fiom, e cosa è stato accolto dal Giudice.
La Fiom ha chiesto di essere reintegrata a Pomigliano nella titolarità di tutti i diritti spettanti al sindacato ai sensi dello Statuto dei lavoratori: costituzione di Rsa, diritto di chiedere assemblee, indire referendum, raccogliere contributi, fruire di permessi retribuiti e non per i suoi dirigenti, di affissione e avere a disposizione locali all’interno dell’unità produttiva, etc.
E ciò pur non avendo firmato – e ancora rifiutandosi di farlo – i contratti collettivi imposti dalla Fiat per lo stabilimento napoletano (estesi via via agli altri). Quanto alle ragioni del domandare Fiom ne ha avanzate diverse, essenzialmente due: 1) il comportamento illecito, perché antisindacale, delle tre società Fiat, Fiat Group Automobiles, Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) anche in ipotesi di legittimità degli atti negoziali e dei contratti; 2) l’elusione dell’art. 2112 c.c. in quanto Fip ha provveduto a «nuove assunzioni» invece che dar corso alla prosecuzione del rapporto di lavoro con i dipendenti.
Il Tribunale ha accolto la domanda dichiarando «antisindacale la condotta posta in essere da Fiat spa, Fiat Group Automobiles spa, Fabbrica Italia Pomigliano spa, perché determina, quale effetto conseguente, l’estromissione di Fiom Cgil dal sito produttivo di Pomigliano».
Vi assicuro che questi pareggi, o sconfitte come dice il prof. Ichino, qualunque avvocato li vorrebbe subire tutti i giorni!
La migliore riprova del reale esito della controversia è fornita dalla rabbiosa e scomposta reazione di Fiat («congelo gli investimenti») e dalle dichiarazioni dei dirigenti di Cisl, Uil, Ugl ecc., in evidente stato confusionale dopo aver incassato – anche loro formalmente – la prima cocente sconfitta nella storia dei conflitti sindacali nel mondo (sicuramente in Europa), per «comportamento antisindacale»: questi sindacati, infatti, imprudentemente (ma anche impudentemente) sono intervenuti nel giudizio a sostegno della Fiat, poi condannata per comportamento antisindacale, per chiedere il rigetto del ricorso della Fiom.
La sentenza è stata emessa ai sensi dell’art. 28 Statuto dei lavoratori che contiene anche la importante previsione di condanna penale, ai sensi dell’art. 650 c.p., per il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza.
Per l’accoglimento della domanda basta la fondatezza di una sola delle varie ragioni poste a suo fondamento: poiché l’elusione dell’art. 2112 c.c. riguarda prevalentemente i diritti dei singoli lavoratori, gli stessi faranno valere nella cause individuali le loro ragioni. Insomma, Fiat (e chi l’ha sostenuta anche nel giudizio) si proponeva di estromettere la Fiom dai suoi stabilimenti e questo suo obiettivo è fallito.
Nessuna particolare sorpresa per il coro quasi unanime dei giornali e dei commentatori sull’esito della vicenda giudiziaria Fiat, all’indomani della senten za di Torino: non hanno capito o non hanno voluto capire. Parlare di «pareggio» o addirittura di «vittoria 2 a 1» per il Lingotto, come fa il prof. sen. Ichino, è una grossolana stupidaggine indotta solo dall’odio pregiudiziale verso la Fiom. Ichino, che afferma lo scarso rilievo della condanna per comportamento antisindacale, che comporterebbe per la Fiat «25 giorni» di semplice consultazione sindacale, (ai sensi dell’art. 47 l. 428/90), fa semplicemente ridere: il Tribunale di Torino «ordina a Fabbrica italia Pomigliano di riconoscere, in favore di Fiom Cgil, la disciplina giuridica come regolata dal Titolo Terzo (Dell’attività sindacale), artt. Da 19 a 27 della legge 20 maggio n. 300 (Statuto dei Lavoratori)». L’art. 47 l. 428/90, dunque, non c’entra.
Mi ha sorpreso, invece, il commento problematico de il manifesto, sapendovi intelligenti e in grado di capire la portata della sentenza. Avendo partecipato alla stesura del ricorso e alle fasi del giudizio, sintetizzo la «domanda» della Fiom, e cosa è stato accolto dal Giudice.
La Fiom ha chiesto di essere reintegrata a Pomigliano nella titolarità di tutti i diritti spettanti al sindacato ai sensi dello Statuto dei lavoratori: costituzione di Rsa, diritto di chiedere assemblee, indire referendum, raccogliere contributi, fruire di permessi retribuiti e non per i suoi dirigenti, di affissione e avere a disposizione locali all’interno dell’unità produttiva, etc.
E ciò pur non avendo firmato – e ancora rifiutandosi di farlo – i contratti collettivi imposti dalla Fiat per lo stabilimento napoletano (estesi via via agli altri). Quanto alle ragioni del domandare Fiom ne ha avanzate diverse, essenzialmente due: 1) il comportamento illecito, perché antisindacale, delle tre società Fiat, Fiat Group Automobiles, Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) anche in ipotesi di legittimità degli atti negoziali e dei contratti; 2) l’elusione dell’art. 2112 c.c. in quanto Fip ha provveduto a «nuove assunzioni» invece che dar corso alla prosecuzione del rapporto di lavoro con i dipendenti.
Il Tribunale ha accolto la domanda dichiarando «antisindacale la condotta posta in essere da Fiat spa, Fiat Group Automobiles spa, Fabbrica Italia Pomigliano spa, perché determina, quale effetto conseguente, l’estromissione di Fiom Cgil dal sito produttivo di Pomigliano».
Vi assicuro che questi pareggi, o sconfitte come dice il prof. Ichino, qualunque avvocato li vorrebbe subire tutti i giorni!
La migliore riprova del reale esito della controversia è fornita dalla rabbiosa e scomposta reazione di Fiat («congelo gli investimenti») e dalle dichiarazioni dei dirigenti di Cisl, Uil, Ugl ecc., in evidente stato confusionale dopo aver incassato – anche loro formalmente – la prima cocente sconfitta nella storia dei conflitti sindacali nel mondo (sicuramente in Europa), per «comportamento antisindacale»: questi sindacati, infatti, imprudentemente (ma anche impudentemente) sono intervenuti nel giudizio a sostegno della Fiat, poi condannata per comportamento antisindacale, per chiedere il rigetto del ricorso della Fiom.
La sentenza è stata emessa ai sensi dell’art. 28 Statuto dei lavoratori che contiene anche la importante previsione di condanna penale, ai sensi dell’art. 650 c.p., per il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza.
Per l’accoglimento della domanda basta la fondatezza di una sola delle varie ragioni poste a suo fondamento: poiché l’elusione dell’art. 2112 c.c. riguarda prevalentemente i diritti dei singoli lavoratori, gli stessi faranno valere nella cause individuali le loro ragioni. Insomma, Fiat (e chi l’ha sostenuta anche nel giudizio) si proponeva di estromettere la Fiom dai suoi stabilimenti e questo suo obiettivo è fallito.
*Legale del collegio di difesa della Fiom
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FIAT
Fiom: «Paghe decurtate il 17 marzo, festa dei 150 anni»
Forte censura da parte della Rsu Fiom Cgil della Magneti-Marelli di Bologna e Crevalcore nei confronti di Fiat. A sollevare le critiche, la decisione del Lingotto «di sottrarre» ai dipendenti un «par al fine di coprire la festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia celebrata il 17 marzo». In questo modo, i lavoratori «si vedono sottratti un giorno di permesso e un’ora e 31 minuti di retribuzione» mentre la Fiat, che avrebbe potuto scegliere di coprire il 17 marzo con la festività soppressa del 4 novembre, «incassa furbescamente un’ora e 31 minuti di retribuzione da ognuno dei suoi circa 25 mila dipendenti guadagnandoci una cifra consistente».
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