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Art. 18. L’intervento di Cremaschi nella riunione dei segretari Cgil

 Non ricordo in quale film viene raccontata la barzelletta di quello che, cascando dal 50° piano di un grattacielo, nella lunga discesa, ogni tanto si ripeteva: “beh, in fondo non è successo ancora niente”. Questa mi sembra la fotografia del confronto in corso sul mercato del lavoro. Un confronto è completamente segnato dalla volontà esplicita del governo di intervenire sull’articolo 18 e che si concluderà, se non facciamo nulla, esattamente così come il governo vuole.

Pochi giorni fa è stato San Valentino. Non è solo la festa degli innamorati, ma la data nella quale nel 1984 il governo Craxi decretò il taglio della scala mobile. Se oggi si parla con i lavoratori, il 90% di coloro che ricordano questo evento lo ricordano come quello che cancellò la scala mobile. In realtà la scala mobile fu solo colpita, subì una robusta manutenzione – come direbbe Bonanni – ma non fu cancellata. Ciò avvenne dopo. Ma nel ricordo di tutti i lavoratori italiani la scala mobile finì lì.

Lo stesso succederà sull’articolo 18, se non li fermiamo. L’intervento sarà mascherato, furbo, non totale, ma tra qualche anno sarà ricordato come quello che cancellò l’ultima tutela dei lavoratori contro l’arbitrio e l’abuso padronale. Di fronte a tutto questo noi ci siamo messi in un vicolo cieco. Accettare una trattativa dove prima si parla di precarietà e poi di articolo 18, significa accettare o subire l’attacco all’articolo 18. Da quel che ho capito sulla precarietà il governo farà dei ritocchi a questo o quell’istituto, che avrebbe tranquillamente potuto fare anche Sacconi. Modifiche che non cambieranno nulla della sostanza della precarietà, ma che però serviranno alle imprese per dire che anch’esse fanno dei sacrifici e quindi a rendere “equo” l’attacco all’articolo 18.

La Cgil ha sbagliato profondamente a rinunciare alla pregiudiziale sull’articolo 18, oggi questo è sul tavolo e il fatto che sia in fondo rende ancora più debole la posizione del nostro sindacato. Né varrà alla fine come giustificazione il fatto che su quel punto, magari, si dirà che non si è d’accordo. Sarebbe una foglia di fico, né servirebbero dopo manifestazioni. Ricordiamo il clamoroso fallimento dello sciopero del 12 dicembre, fatto da Cgil Cisl e Uil, senza convinzione e senza forza. Con il risultato che la peggiore riforma delle pensioni del continente è passata in Italia senza proteste sindacali, cosa di cui Monti si vanta in tutto il mondo. E’ bene sapere che la messa in discussione dell’articolo 18 è la messa in discussione della confederalità della Cgil. Non aver fatto il possibile e l’impossibile per impedirlo, sarebbe una macchia indelebile sul gruppo dirigente dell’organizzazione e un elemento di crisi strategico di essa. Per questo facciamo un ultimo appello a questo gruppo dirigente. Uscite dalla condizione di prigionia politica in cui vi siete cacciati.

Fermate questa trattativa e pretendete che l’articolo 18 sia fuori dal tavolo, sostenendo questa posizione con la mobilitazione. Altrimenti nulla giustificherà il disastro successivo e, a quel punto, il confronto coinvolgerà non solo i gruppi dirigenti ma tutto il corpo dell’organizzazione.

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