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Bisognerebbe salvare “il manifesto” da se stesso soltanto per alcuni titoli. Quello di oggi ci rappresenta in effetti molto. Si vede che per un giorno Norma Rangeri se n’è andata in vacanza…

 

Marchionne anti-giudici

Francesco Paternò
Parla dalla Cina, ma sembra Cortèz che si brucia i ponti dietro le spalle. L’amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne equipara a «folklore locale» la sentenza del tribunale di Roma che impone alla Fiat di assumere a Pomigliano 145 lavoratori iscritti alla Fiom, perché discriminati dall’azienda. Parole nette, nessun dubbio di traduzione come per il ministro Elsa Fornero: Marchionne attacca il lavoro, i diritti e la magistratura di un paese che non vede l’ora di lasciare. L’ideale potrebbe essere a sua insaputa, e non è escluso che ci riesca.
Quel che è venuto a fare in Cina passa in secondo piano, anche perché il gruppo sbarca sul primo mercato mondiale in clamoroso ritardo rispetto alla concorrenza, cosa che non ha difficoltà ad ammettere lui stesso. Marchionne conferma che la Fiat farà appello contro la decisione del tribunale e poi comincia a sparare a zero sull’intero sistema paese, giusto nel giorno in cui a Bruxelles l’Europa cerca di salvarsi dal baratro e la Confindustria vede l’Italia nel baratro. «Abbiamo – ha proseguito Marchionne – visioni diverse da quelle espresse dalla sentenza. Le implicazioni sulla situazione del business in Italia sono drastiche, perché l’Italia ha un livello di complessità nella gestione del mondo industriale che è assente nelle altre giurisdizioni. Tutto diventa puramente italiano, facendo diventare tutto difficile da gestire. Non ho mai visto nei miei viaggi, nei miei incontri qualcuno che fosse veramente interessato a questa decisione (del tribunale, ndr), nessuno che è li a fare la fila per venire a investire, non credo che cambierà nulla, ma creerà un nuovo livello di complessità nell’ambiente italiano». Insomma, per Marchionne la sentenza del tribunale di Roma è solo un impedimento ai suoi piani e null’altro. Anzi: «Questa legge non esiste in nessuna parte del mondo, da quanto ne so. Focalizzare l’attenzione su questioni locali ignorando il resto è attitudine dannosa. Un evento unico che interessa un particolare paese che ha regole particolari che sono folcloristicamente locali».
Da tempo, Marchionne apre bocca soltanto per alzare il livello dell’attacco, contro la Fiom, il sindacato che gli dice no, e la democrazia che vige ancora nel nostro paese, dando sempre più l’impressione di cercare un grande pretesto per spostare definitivamente l’asse del gruppo negli Stati Uniti. Attacchi sempre più pesanti, per nascondere dietro una cortina fumogena i problemi reali di una Fiat che perde quote di mercato in Italia e in Europa e ormai sta in piedi soltanto grazie agli utili di Chrysler e a quelli Fiat in Brasile, dove per altro l’economia reale non va più tanto bene.
La nuova fabbrica Fiat a Changsha (Cina centrale) in joint venture con il gruppo locale Guangzhou, dove ieri è iniziata la produzione della berlina Viaggio, è in realtà un altro segno della debolezza di Marchionne: vi arriva dopo due tentativi di accordo falliti, dopo aver venduto 991 vetture nel 2011 contro i 2,26 milioni di Volkswagen (fonte Bloomberg), dopo aver annunciato la produzione di 400.000 veicoli all’anno ma senza dire in che anno. In Italia, del resto, l’amministratore delegato aveva promesso altri numeri che non si sono visti: e la sparata di ieri è stata così violenta che è lecito dubitare dell’ultimo impegno di investimento a Mirafiori, dove le nuove linee per produrre Suv per Jeep ancora non sono arrivate.
«Non mi sembra serio parlare di folklore di fronte a una sentenza che interviene su una discriminazione. La Fiat in tutti i paesi in cui va è tenuta a rispettare le leggi, lo deve fare anche in Italia», ha replicato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. «Bisogna smetterla – aggiunge – di fare dall’estero la caricatura dell’Italia e degli italiani: il paese non è pizza e mandolini, abbiamo leggi e giudici seri. In tutto il mondo le imprese rispettano le leggi e le sentenze dei tribunali che le ospitano, la Fiat lo faccia anche in Italia, dove è da sempre più che un ospite». Critiche a Marchionne sono venute anche da esponenti del Pd e dell’Idv.

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