L’efficacia di un sistema scolastico pubblico e nazionale si misura dai risultati che ottiene nell’emancipazione complessiva della società in cui opera.
Da questo punto di vista il sistema formativo del nostro paese sta regredendo visibilmente dopo una fase in cui, al contrario, ne ha sostenuto lo sviluppo qualitativo sul piano economico, sociale e culturale. La scuola e la formazione pubblica, dalla primaria all’università, sono state fino agli anni ‘90 un aspetto decisivo dell’ascensore sociale che ha permesso a quote significative della società di darsi e realizzare aspettative superiori a quelle della generazione precedente.
Questo processo sembra essersi prima bloccato e poi regredito sia sul piano della mobilità sociale che del livello generale di istruzione del nostro paese.
Da un lato la destrutturazione operata sul sistema di istruzione a tutti i livelli con l’autonomia (che ha comportato la privatizzazione del rapporto di lavoro dei docenti e della dirigenza) e i tagli di bilancio feroci, continui, ripetuti sin dai primi anni ’90. Dall’altro la riemersione e l’affermazione egemonica di una logica e di una cultura selettiva, di classe impugnata come una clava ideologica contro “gli effetti del ‘68”, hanno chiaramente innestato la marcia indietro rispetto ai risultati ottenuti.
La classe dirigente, i tecnocrati ministeriali, gli opinion maker dell’aziendalismo, hanno impugnato questa clava nascondendo dietro la categoria di meritocrazia una cultura fondata esplicitamente sulla selezione di classe.
“Anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente che può venir fuori”.
La battuta indispettita pronunciata da una contessa in una vecchia canzone è riecheggiata in molti discorsi e interviste ministeriali in cui si affermava che ci sono troppi laureati, troppi diplomati rispetto alle mutevoli e ridotte esigenze del mercato del lavoro segnato dai ritmi della competizione globale.
Che tutto questo sia falso e che basti dare un’occhiata alle statistiche (nota1) per rendersene conto non è un problema per questi signori: bisogna ridisegnare il sistema. O meglio, dare gli ultimi ritocchi all’opera iniziata da Berlinguer e continuata dai suoi successori di centro-destra e centro-sinistra (nota2).
Il tema della valutazione nell’ambito delle politiche scolastiche è un argomento facilmente ascrivibile al tentativo di distrarre l’attenzione pubblica dall’impegno al quale le istituzioni sono chiamate rispetto agli investimenti che l’istruzione intesa come diritto universale comporta.
Sostenere che la pubblica istruzione non è più un diritto ma una merce, per la quale valutare costi e benefici, è il primo passaggio per cambiare radicalmente la società.
La scuola che non forma il cittadino ma che deve occuparsi di sviluppare le competenze del lavoratore flessibile di domani, deve rispondere a precisi standard e criteri di efficienza finalizzati alla capacità produttiva di ogni singolo individuo e non alla sua emancipazione culturale.
La costruzione di questo nuovo paradigma implica una perversa commistione di pubblico e privato nella gestione del servizio (l’istruzione-merce per un mercato di alti profitti e… alti costi sociali); la trasformazione del sistema scolastico in un apparato sempre più burocratico, farraginoso, controllato in cui ogni azione didattico-pedagogica deve essere rendicontata, registrata, certificata formalmente e quindi valutata;
l’imposizione di un modello meritocratico secondo il quale è possibile misurare e quantificare il lavoro di un docente creando, così, meccanismi competitivi e individualistici e, quindi, divisione in quella che dovrebbe essere la comunità educante che co-costruisce buone prassi e condivide ricerche, sperimentazioni, nuove pratiche. Le parole chiave del nuovo sistema sono: efficienza, prestazione, protocolli operativi, standardizzazione dei processi, valutazione.
Il tutto legato a promesse di finanziamenti, incentivi e ricompense rispetto al “valore” dei risultati raggiunti da ciascuna scuola.
L’attacco finale, ironia della sorte e segno dei tempi, a tentare l’attacco finale è uno dei “professori” prestati alla politica: il ministro Profumo.
Dopo pasticciate circolari ministeriali (nota3), aggiunte dell’ultimo momento al “decreto milleproroghe” (nota4), letterine di intenti tra governo e BCE (nota5) ecco che il governo fantasma dei tecnici trombati alle elezioni sforna il Sistema Nazionale di Valutazione.
“Le tre gambe” su cui poggia il sistema sono Invalsi (che ha il coordinamento funzionale), Indire e il contingente degli Ispettori.
Secondo il ministero la
- autovalutazione delle istituzioni scolastiche, sulla base di un quadro di riferimento comune e di un fascicolo elettronico di dati messi a disposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione ( “Scuola in chiaro”), dell’ INVALSI e delle stesse istituzioni scolastiche. […]
- valutazione esterna da parte di nuclei di esperti coordinati da un dirigente tecnico sulla base di protocolli, indicatori e programmi definiti dall’Invalsi, con la conseguente ridefinizione dei piani di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche;
- azioni di miglioramento con l’ eventuale sostegno dell’Indire, o di Università, enti, associazioni scelti dalle scuole stesse;
- rendicontazione pubblica dei risultati del processo, secondo una logica di trasparenza, di condivisione e di miglioramento del servizio scolastico con il personale della scuola, degli utenti, delle loro famiglie e della comunità di appartenenza.
Si comincia con la valutazione fatta con i quiz Invalsi e i parametri forniti dallo stesso Invalsi e dal MIUR chiamata ipocritamente “autovalutazione”, si continua con la valutazione “esterna” fatta da fantomatici esperti – che saranno formati e selezionati dall’Invalsi – sulla base di protocolli, indicatori programmi elaborati dall’Invalsi per finire con le azioni di miglioramento che potranno essere fatte dall’Indire, ma anche da privati.
Il tutto avverrà dando la massima pubblicità ed esasperando la già esistente squallida concorrenza che le scuole si fanno per accaparrarsi “l’utenza”.
E’ ovvio che un sistema di misurazione centrato sulla rilevazione di alcune abilità di due soli apprendimenti disciplinari, non è in grado di catturare né la ricchezza delle competenze dello studente né la ricchezza e varietà del percorso costruito dall’insegnante.
Rispetto alle procedure standardizzate (test quiz Invalsi), ai quali gli studenti dovrebbero essere “addestrati” per il raggiungimento delle migliori performances, la comunità scolastica si dovrebbe interrogare rispetto alla rinuncia della libertà di insegnamento verso la quale spinge l’omologazione a questi presunti standard di successo indicati da una commissione di esperti selezionati secondo non si sa bene quali criteri. E che ne sarebbe della personalizzazione della didattica, alla quale i docenti sono chiamati, in presenza dei test come unica modalità di verifica dei risultati raggiunti? Siamo certi che le scuole, obbligate a rientrare in standard dettati dall’esterno, non si trovino costrette a piegare la propria didattica alla funzionalità di quei test sacrificando i livelli di apprendimento alla logica dei quiz?
Con lo spostamento del focus dal livello nazionale a quello d’istituto l’elemento della competitività si instaura fra le diverse scuole e va a sostituirsi alla buona prassi di condivisione ed esportazione delle migliori pratiche educative che caratterizzava il nostro sistema. Ancora più pericoloso è l’elemento di concorrenza che si sviluppa all’interno di una singola istituzione scolastica quando il focus della valutazione si sposta dal livello d’istituto a quello dei docenti che operano nello stesso istituto. In questo modo si svilisce l’idea stessa di un sapere costruito fra colleghi in modo cooperativo, attraverso lo scambio e il confronto.
Del resto chi continuerebbe a mettere in comune le proprie esperienze didattiche se a queste fosse collegato il riconoscimento di un merito e un incentivo economico individuale?
Inoltre occorre riflettere sul complesso insieme di fattori che incidono sugli apprendimenti (socio-culturali, familiari, ambientali, individuali….) e sulle non ben precisate modalità attraverso le quali l’Invalsi riuscirebbe a discernere dal dato raccolto attraverso quiz i singoli fattori riuscendo così a individuare il “valore” delle singole scuole e dei singoli docenti. A meno di non credere nelle miracolose deduzioni di queste fantomatiche commissioni di ispettori il meccanismo burocratico-aziendalista della valutazione ci appare come l’ennesimo paravento dietro il quale potranno nascondersi clientelismi di varia natura.
Cosa succederà agli istituti che non dovessero riuscire a mettersi in pari non è detto esplicitamente. Sappiamo cosa prevede la legge Brunetta: licenziamento dei lavoratori che non raggiungono gli obiettivi di rendimento. Nel documento “Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici” prodotto per conto dell’Invalsi da Checchi, Ichino e Vittadini nel 2008, infatti, si prevede “a) Reclutamento e rimozione dei presidi sulla base della performance ottenuta. b) Reclutamento e rimozione degli insegnanti” fino in casi estremi “all’accorpamento o alla chiusura della scuola”.
Altro che autonomia didattica e libertà di insegnamento! Diventerà fondamentale preparare gli studenti ai quiz.
Di fatto, il MIUR e l’Invalsi (che è come dire il MIUR visto che il presidente e il consiglio di amministrazione sono nominati per decreto dal ministro (Nota 6)) decidono cosa valutare e come farlo.
Tutto ciò avviene nel quadro di un massiccio disinvestimento di risorse dalla scuola pubblica statale, di differenziazione delle carriere dei docenti, blocco dei contratti, massiccia perdita di posti di lavoro a fronte dell’aumento degli studenti, precarizzazione del lavoro (che non consiste solo nel precariato vero e proprio, ma anche nell’aumento di lavoro non retribuito: aggiornamento, informazione, lettura, formazione professionale, apprendimento di nuove tecnologie).
Dobbiamo opporci con ogni mezzo necessario a questo attacco.
Dobbiamo farlo coinvolgendo genitori e studenti.
Fermiamo l’Invalsi-cidio della scuola statale!
A cura del Gruppo di Lavoro Nazionale sull’INVALSI- USB PI Scuola
Aprile 2013
(Nota 1) In Italia, solo il 44% circa della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media inferiore come titolo di studio più elevato, un valore molto distante dalla media europea. Fra i 18-24enni il 18,2% ha abbandonato gli studi prima di conseguire il titolo di scuola media superiore, contro il 13,5% dei paesi dell’Unione Europea. Inoltre solo il 20,3% dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente). Complessivamente, prendendo in considerazione tutte le fasce d’età, l’Italia è al 15% di laureati, come il Portogallo e davanti alla sola Turchia (13%). La media Ocse è del 31% e quella europea del 28 per cento. L’aspetto ancora più preoccupante è che il dato scende al 9% nella fascia d’età 25-34 anni tra i figli di genitori a bassa istruzione, a conferma dell’esistenza di una sorta di trappola sociale alla quale è molto difficile sfuggire. Un dato che ci colloca comunque al penultimo posto tra i 34 Paesi dell’Ocse, alla pari con l’Austria e davanti solo alla Turchia (17%).
(Nota2) “L’approvazione in via definitiva di questo Regolamento è il coronamento di un percorso cominciato nel luglio 2001 con la costituzione di un gruppo di lavoro voluto dall’ allora ministro Letizia Moratti, proseguito con i ministri Giuseppe Fioroni e Mariastella Gelmini.” Comunicato Sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini
(Nota3) Nota n. 2792 del 20.4.11 “il piano annuale delle attività […] non può non contemplare tra gli impegni aggiuntivi dei docenti, anche se a carattere ricorrente, le attività di somministrazione e correzione delle prove INVALSI. Conseguentemente,. […] il riconoscimento economico per tali attività potrà essere individuato, in sede di contrattazione integrativa di istituto” (la doppia negazione è fantastica: come valutereste una verifica scritta così?);
(Nota 4) Legge 10 del 26 febbraio 2011 Testo coordinato del DECRETO-LEGGE 29 dicembre 2010 , n. 225 con le modifiche apportate in sede conversione -4-duodevicies.
(Nota 5) Nella famosa lettera di Draghi e Trichet (BCE) del 5 agosto 2011 al governo italiano erano indicate le “riforme” da applicare in Italia. Oltre la riforma delle pensioni – poi imposta dalla Fornero – la revisione dell’art 18 in senso restrittivo nella direzione dell’accordo Confindustria-CGIL, Cisl, Uil del 28 giugno di quell’anno, si parla anche di scuola. Il governo risponde: “a) Promozione e valorizzazione del capitale umano. L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.”
(Nota 6) Decreto legislativo 19 novembre 2004 n. 286; Decreto n. 11 del 2 settembre 2011-Statuto dell’Invalsi
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