In merito all’intervista del presidente di Unicoop Tirreno Marco Lami pubblicata su Il Tirreno del 25 luglio scorso, teniamo a precisare quanto segue.
Ancora una volta la Coop parla di assenza di precarietà e di presenza a Livorno di assunti solamente a tempo indeterminato, ma le cose vanno dette nella loro totalità e verità onde evitare di far passare un messaggio parziale e fuorviante utile solo a dipingere una buona immagine per l’azienda. Ecco quindi alcune importanti precisazioni.
Il numero di zero dipendenti a tempo determinato a Livorno è stato raggiunto in due modi, entrambi negativi dal nostro punto di vista sindacale. Il primo è stato quello di “stabilizzare” negli ultimi anni alcuni precari storici tramite contratti che sono sì a tempo indeterminato ma che prevedono il lavoro solo per pochi mesi all’anno, quando queste persone lavoravano da tantissimo tempo con un continuo susseguirsi di contratti a termine per un numero di mesi ben maggiore (in sostanza è stata una stabilizzazione al ribasso mentre queste persone avevano diritto ad una regolarizzazione su 12 mesi). Il secondo strumento per arrivare a “precari zero” è stato molto più netto e devastante, ossia semplicemente non hanno più chiamato al lavoro persone che anch’esse da anni andavano avanti a contratti a termine e che, siccome si stavano avvicinando troppo ai 36 mesi validi per l’assunzione obbligatoria, sono stati letteralmente “fatti fuori” dopo anni di lavoro in Coop.
Ma l’aspetto su cui vogliamo maggiormente porre l’attenzione è quello del part-time (di vario tipo: orizzontale, verticale, annuo). A Livorno la Coop ha 391 part-time su un totale di 562 dipendenti, il 70%: una percentuale altissima che la nostra azienda finge di non vedere e che provoca fenomeni di precarietà diffusa legata al plus-orario che viene svolto. Ci spieghiamo meglio.
Da più di 10 anni le centinaia di lavoratori e lavoratrici part-time di tutti i negozi Coop della nostra città svolgono per periodi più o meno lunghi ore supplementari a “tappabuco” secondo le esigenze aziendali, talvolta con contratti (a termine) di estensione oraria, e ultimamente invece sempre di più con il ricorso a ore di lavoro supplementare (lo straordinario del part-time), sempre ovviamente secondo le necessità contingenti dell’azienda. Un abuso ormai divenuto purtroppo strutturale e parte integrante dell’organizzazione aziendale come forma premeditata di sfruttamento (che sindacalmente dovrebbe essere quindi combattuta chiedendo con forza consolidamenti orari, e non certo tollerata o addirittura favorita) del lavoro instabile a svantaggio della tipologia virtuosa del lavoro stabile. Risulta infatti evidente come questo stato di cose non consenta ad un part-time di costruirsi un futuro salariale dignitoso, imprigionato dentro un sistema che, mentre appare come un modo per i dipendenti di guadagnare di più in alcuni periodi, in realtà è la via per consentire all’azienda di non dare mai risposte stabili e tenere sotto ricatto centinaia di lavoratori.
In altre parole, il lavoro a termine in Coop a Livorno esiste eccome, e consiste proprio nella limitatezza temporale delle prestazioni supplementari che vengono continuamente chieste ai dipendenti. In sostanza Unicoop Tirreno ha ormai trovato un bel “giochino” per sopperire al problema della precarietà: tenere al palo di un contratto part-time centinaia di persone per poi scatenare una corsa (e una competizione) per fare ore in più a seconda delle esigenze aziendali. È in questo senso che possiamo tranquillamente parlare di 400 precari della Coop a Livorno, altro che “precari zero”. Non hanno eliminato il lavoro a termine, semplicemente lo fanno fare ai part-time, con il vantaggio che in questo caso non hanno neanche il limite dei 36 mesi da non superare, potendosi quindi permettere un serbatoio di lavoro precario temporalmente infinito.
Coordinamento Usb Unicoop Tirreno Livorno – 30 luglio 2014
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