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Scuola. Si scrive Giannini, si legge Aprea

La fine della scuola della repubblica si consuma con la costruzione di una ferrea logica gerarchica, con l’umiliazione del mestiere dell’insegnante, con l’accantonamento della laicità dell’insegnamento e con la confusione demagogica tra “scelte educative” e libera cultura.
Il modello dell’attuale scuola pubblica italiana si regge sull’impianto di alcuni articoli della nostra Costituzione che garantiscono la libertà d’insegnamento, quale componente essenziale della libertà culturale, senza la quale l’azione dell’insegnante viene annullata. L’articolo 33 della Costituzione recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Dalle dichiarazioni del ministro Giannini e dalle informazioni trapelate sulla legge delega di riforma della scuola, questo principio sembra essere totalmente disatteso. Da quanto emerso, ci sembra di intravvedere le linee guida del disegno di legge Aprea, osteggiato a più riprese da docenti e studenti. La ratio del disegno sembra, infatti, permanere: il ridimensionamento degli organi collegiali, cuore della democrazia e della libertà della scuola, l’introduzione di finanziamenti privati e le ingerenze esterne nel governo delle istituzioni scolastiche; in una parola, la trasformazione dell’autonomia in forme di autogoverno che andranno ad aggravare ulteriormente le differenze strutturali tra scuole di serie A e scuole di serie B o C. 
Il risultato dei principi enunciati dal ministro Giannini è in contrasto, a nostro parere, con l’articolo 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”. Il progetto delineato dal ministro, infatti, produrrà inevitabilmente gerarchie, determinando un regime castale: la scuola cesserà di essere luogo d’integrazione, per lasciare il passo alle divisioni e ad un regime di pesante sanzione sociale che approfondirà ulteriormente il divario economico e geografico del nostro paese.
Se è vero che la scuola è luogo d’inclusione sociale e di costruzione di cittadinanza, una volta svuotato il principio di uguaglianza, una fetta della società dovrà rinunciare, in parte, alla suddetta cittadinanza: una realtà da Ancien Régime, con dialettiche inclusive/esclusive, che cancellerebbero tutti gli sforzi fatti dell’Italia repubblicana per andare in direzione opposta.

Dietro la proclamata rivoluzione renziana, si celano pesanti forme d’ingerenza nell’attività didattica, dovuti all’ingresso di capitali privati nel finanziamento delle scuole, alla intromissione delle famiglie, che imporrebbero le loro “scelte educative”, all’avvento della valutazione – discriminazione del corpo docente da parte di elementi terzi. È chiaro che i cosiddetti sponsor non finanzieranno disinteressatamente la scuola ma, avendo interessi privati, potranno influenzare programmi, obiettivi, assunzioni e impianto didattico – educativo. È altrettanto evidente che se si porranno al centro le “scelte educative” delle famiglie, si rischierà di sottoporre il docente al continuo ricatto ideologico e di mettere in conflitto le valenze educative pretese dalle famiglie con quelle formative – culturali dell’insegnante (la succitata confusione tra “scelte educative” e libera cultura). Il rischio di produrre nuovi integralismi è alle porte. 
Infine, l’insegnante, stretto tra le esigenze di finanziamenti, il giudizio delle famiglie, dei colleghi e del dirigente, non potrà più esercitare liberamente la propria professionalità, ma dovrà soggiacere a logiche che nulla hanno a che vedere con il dettato costituzionale. Prepariamoci al venir meno della distinzione tra scuola pubblica e privata, al sopraggiungere di una schiera di servi nominati dal dirigente, all’affermazione di logiche oligarchiche e clientelari negli istituti, alla fine della gestione democratica e della collaborazione didattica paritaria nella scuola, in una parola, all’affermazione di un grande paradosso all’interno della democrazia.
Tutto ciò da realizzare sulla pelle dei precari. Le supplenze che hanno permesso alla scuola di andare avanti per decenni e a molti docenti di lavorare con passione e, spesso, con grande sacrificio e abnegazione, sono oggi definite dal ministro “l’agente patogeno del sistema scolastico, un batterio che dobbiamo eliminare”. Strana coincidenza linguistica con altri periodi della storia che vorremmo dimenticare!

* insegnanti, Ross@ Verona

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