Gli ultimi giorni numerosi negozi Ikea in tutta la penisola sono stati bloccati da scioperi improvvisi e prolungati. Bari, Genova, Bologna, Brescia, Padova hanno registrato almeno 3 giorni di sciopero. A Napoli la multinazionale svedese non è riuscita a sostituire gli scioperanti con interinali richiamati in fretta e furia, come in altre città e come per lo sciopero nazionale dell’11 luglio, e ha dovuto rassegnarsi a chiudere il negozio.
La lotta continua, e non si arresta nemmeno in questi giorni di metà agosto, visto che dal 1 settembre in busta paga tutti i dipendenti Ikea si troveranno fino al 20% di stipendio in meno, a causa della disdetta unilaterale del contratto integrativo.
Lo sciopero è iniziato sabato 1 agosto a Milano, Bologna, Genova, Napoli, Padova, Firenze, Brescia. È continuato per tre giorni quasi ovunque, in alcuni casi, come a Genova, andando oltre le 24 ore di sciopero proclamate dai sindacati confederali, il 3 agosto si è fermato anche lo store di Torino. Anche a Roma ripetuti scioperi di qualche ora a Porta di Roma e scioperi a sorpresa con blocco dello scarico o delle casse e cortei interni ad Anagnina. I lavoratori si sono concentrati fuori dai negozi in rumorosi presidi, l’azienda ha provato a sostituirli con i lavoratori interinali chiamati in queste settimane di agitazione sindacale. Nello store napoletano di Afragola si sono svolti cortei inter lunedì l’azienda è stata costretta alla chiusura anticipata alle 19.30 per la difficoltà a coprire le mansioni. Assemblee si sono svolte anche in altri dei 21 negozi della penisola, e sono attese nuove mobilitazioni nei prossimi giorni.
Riepiloghiamo i motivi e la storia della lotta
Dopo anni di cedimenti dei sindacati confederali – sui contratti aziendali man mano firmati parla per tutti il crollo della maggiorazione per domenicali e festivi passata dal 130% di 25 anni fa al 30% per i nuovi assunti – Ikea decide che questi compromessi al ribasso non sono più abbastanza ed il 29 maggio disdice unilateralmente il contratto integrativo. A partire da settembre (la disdetta ha effetto tre mesi dopo) la maggiorazione per festivi e domenicali sarà solo del 15% (come previsto dal terribile CCNL del commercio) e i premi mensili non saranno più automatici. In soldoni, per i numerosi dipendenti part-time del colosso del mobile, vuol direpassare da uno stipendio di 700 euro ad uno di 500 euro al mese. Per sedersi al tavolo e firmare un nuovo contratto integrativo Cgil-Cisl-Uil indicono 8 ore di sciopero dislocate territorialmente per il 6 giugno, e poi, l’11 luglio, la prima giornata di sciopero nazionale nella storia di Ikea in Italia, partecipata anche dai sindacati di base Cub ed Usb maggioritari nei negozi di Roma e Milano. I danni per l’adesione massiccia allo sciopero (80% per le sigle sindacali) vengono contenuti dal colosso del mobile col ricorso a interinali e stagisti e spostando i tempi determinati, più impauriti a scioperare, da mansioni secondarie – come nei bar – alle casse. D’altronde anche quando a scioperare erano i facchini del magazzino Ikea di Piacenza la multinazionale aveva mostrato quanto rispettasse il diritto di sciopero, facendo lavorare al posto loro operai fatti venire da fuori. Con queste premesse si è arrivati al tavolo sindacale del 22 luglio, in cui l’azienda ha proposto un nuovo contratto integrativo che lega i premi alla produttività e all’accetazione di un più flessibile sistema di definizione dei turni, e fissa le maggiorazioni per festivi e domenicali al 40%, con un sistema a scaglioni che arriva ad un massimo del 70%. La proposta è stata bocciata dalle assemblee sindacali tenute in tutta la penisola nella settimana successiva, e dopo l’infruttuoso incontro del 29 luglio i sindacati confederali sono stati costretti ad approvare un pacchetto di 24 ore di sciopero da gestire a livello locale.
Gli scioperi di questi giorni hanno mostrato lavoratori combattivi che non hanno voglia di chinare la testa davanti al sopruso di un’azienda tutt’altro che in crisi. Forse l’aver visto che è possibile bloccare per giorni un colosso come Ikea gli darà più consapevolezza della loro forza, o la darà ad altri lavoratori del commercio e della grande distribuzione. Settore dove ormai si da per scontato il lavoro domenicale, festivo, addirittura notturno (accade non solo tra facchini e scaffalisti ma anche per i commessi di alcuni ipermercati Carrefour, aperti ormai h24) con maggiorazioni minime, e dove il massiccio ricorso a forme di lavoro flessibile e part-time costringe lavoratori non più adolescenti a stipendi che non consentono una vita dignitosa. Ikea mostra che i padroni non si accontentano mai, ed impongono condizioni e retribuzioni sempre peggiori ogni volta che possono. Le lotte nella grande distribuzione si moltiplicano di fronte ad aziende ormai all’attacco dichiarato dei lavoratori, da quelli Ikea privati del contratto integrativo, a quelli della Auchan minacciati di licenziamento. La forza potenziale di questi lavoratori è grande, e la mostrano in questi giorni, lo sarebbe ancora di più se si unissero a quelli degli altri posti di lavoro in lotta, superando non solo gli steccati aziendali, ma anche quelli di categoria e di nazionalità, visto che la merce che vendono o mettono sugli scaffali è la stessa che scaricano i facchini nei magazzini, o che raccolgono i braccianti nei campi, o che trasformano e inscatolano all’Inalca di Ospedaletto. E quando tutte queste braccia si fermano e si incrociano ad i padroni iniziano a tremare le gambe, perché non funziona più nulla e perdono un sacco di soldi.
da http://clashcityworkers.org/
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