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“Lo scandalo Cisl? E’ ora di spazzar via il sindacalismo complice”

Stipendi e pensioni da nababbi per sindacalisti “complici”. Uno scandalo forse più puzzolente di tanti altri, perché si tratta di una appropriazione indebita delle risorse versate dai singoli lavoratori iscritti ad un certo sindacato – in questo caso la Cisl – senza peraltro far neanche corrispondere un “servizio” onesto nella difesa degli interessi di quei lavoratori.

Ne parliamo con Paolo Leonardi, coordinatore nazionale dell’Unione Sindacale di Base (Usb), che sta diventando un’alternativa reale ai “complici” tanto apprezzati da Confindustria, Renzi e compagnia cantando.

Come reagisce un sindacalista alla notizia che i dirigenti della Cisl si attribuiscono stipendi superiori a quello percepito da Barack Obama?

La questione degli scandalosi stipendi in Cisl, e in particolare la super pensione di Bonanni fu sollevata da noi in un editoriale sul sito della USB molto tempo prima che emergesse poi come portato delle faide per la sua successione a segretario generale della Cisl (vedi in fondo, ndr). L’informazione ci veniva direttamente dall’interno dell’Inps dove la nostra presenza sindacale è molto forte. Non solo la pensione di Bonanni era il frutto di continui raddoppi di stipendio che si erano succeduti implacabili anno dopo anno, ma venne accettata e liquidata presso la direzione generale dell’Inps – cosa assolutamente impropria, perché le pensioni si elaborano e liquidano presso la sede di competenza, cioè quella più vicina alla propria residenza – in pochissimi giorni, proprio a ridosso di interventi limitativi che il governo avrebbe preso di lì a poche settimane con il via libera della “triplice” (Cgil-Cisl-Uil, ndr). Ora che vengono fuori storie analoghe di fortissimi aumenti di stipendio da parte di altri alti dirigenti di quel sindacato si capisce che c’è una strategia precisa non solo di arricchimento personale di questi personaggi, ma anche una sorta di raggiro delle norme che regolano l’erogazione delle pensioni; cosa che ritengo dovrebbe essere attentamente valutata nelle sue possibili implicazioni penali. Non esprimo giudizi morali perché, conoscendo da vicino la funzione della Cisl e dei suoi dirigenti in molti posti di lavoro e nella società, non mi stupisco affatto di quanto sta emergendo. Se si perde la funzione primaria che è propria di chiunque abbia il mandato di difendere i lavoratori e contribuire alla loro emancipazione è consequenziale perdere ogni relazione tra ciò che si è, o nominalmente si è, e ciò che si fa.

 

Come funzionano invece le cose in Usb? I dirigenti sono stipendiati?

In USB tutto il gruppo dirigente, ove distaccato o in aspettativa, percepisce per intero lo stipendio del luogo di lavoro da cui proviene; esattamente quello, non ci sono contributi aggiuntivi né contribuzione aggiuntiva. Cioè ciascuno continua a percepire quanto dovuto in relazione alla propria storia personale di provenienza, ovviamente senza formalmente rimetterci nulla. Dico formalmente perché tutti noi facciamo una vita piuttosto piena di impegni che ci costringe quotidianamente a metterci del nostro, ma questo fa parte della disponibilità alla militanza di ciascuno di noi. Gli operatori invece assunti dall’organizzazione, circa 100, sono tutti regolarmente inquadrati nel contratto del commercio e a ciascuno viene attribuito il livello corrispondente alla mansione svolta. Stiamo elaborando in queste settimane una sorta di contratto di lavoro USB che uniformi eventuali inquadramenti economici e normativi diversi che si possono essere verificati nei vari territori o categorie.

 

C’è ancora spazio per una militanza sindacale “disinteressata” (fatte salve ovviamente le necessità vitali)?

Qusto è ovviamente il terreno che noi privilegiamo. Non solo perché c’è una forte identificazione del nostro quadro dirigente diffuso con il progetto politico sindacale dell’USB, ma anche perché solo attraverso una forte disponibilità alla militanza riusciamo a superare le mille difficoltà dovute alla scarsità di risorse economiche, mai sufficienti vista la nostra propensione a investire in crescita tutto ciò che arriva dalle risorse che i lavoratori ci affidano, e alla pressoché nulla possibilità di utilizzare distacchi, visto che il governo Renzi li ha pesantemente falcidiati nel settembre scorso. In quell’occasione, invece di fare come hanno fatto pressoché tutte le altre organizzazioni sindacali, cioè salvaguardare la permanenza in distacco del gruppo dirigente centrale a scapito di quello periferico e delle categorie, abbiamo deciso di spalmare su tutti quel poco che era rimasto, così anche tutto il gruppo dirigente nazionale che usufruiva precedentemente di distacco pieno è rientrato in produzione, almeno parzialmente, garantendo così la continuità dell’intervento sindacale su tutto il territorio nazionale e in tutte le categorie.

Personalmente sono rientrato sul mio posto di lavoro per due giorni a settimana, senza che questo comportasse un abbassamento del contributo che riesco a dare all’organizzazione. Ovviamente è aumentata la fatica e lo stress, ma questo riguarda la sfera personale.

 

Quanto pesa, in negativo, uno scandalo del genere nell’opinione che i lavoratori hanno del sindacato?

In un quadro di profondo attacco all’idea stessa di sindacato la vicenda Cisl – che riguarda indistintamente tutte le organizzazioni complici e in larga parte anche quelle cosiddette autonome (sindacati corporativi, ndr), quasi tutte costole della mai realmente defunta democrazia cristiana nate negli anni settanta/ottanta – fornisce al governo e ai padroni altro carburante nella scientifica opera di demolizione dell’idea di tutela collettiva che il sindacato rappresenta. Sono ormai alcuni anni, ma in particolare dall’avvento del governo Renzi, che scientificamente e quotidianamente si mette in risalto, da “destra”, cioè dai padroni e dalle forze che li sostengono, l’inutilità delle lotte collettive utilizzando per dimostrarla, l’incapacità di Cgil, Cisl e Uil di incidere sulle scelte di politica economica, sulle crisi aziendali, sull’occupazione, di proporre soluzioni al disagio giovanile….

È specularmente quello che pensiamo anche noi, ma ovviamente da un punto di vista di classe, ossia opposto. I padroni e il governo hanno come obbiettivo quello di giungere ad una individualizzazione della relazione tra lavoratore e capitale, in modo che la parte debole, il lavoratore, sia sempre più solo e quindi più debole. Noi invece lavoriamo a costruire un ancora più solido e conflittuale movimento di classe dei lavoratori; e per farlo c’è bisogno di spazzare via i sindacati complici, quelli cioè che hanno consentito al capitale di riconquistare molto del terreno perso nei decenni scorsi a favore del movimento dei lavoratori.

L’attacco al sindacato sembra nascondere quello alle condizioni di vita e ai diritti dei lavoratori…

Mi sembra di percepire una gran paura che anche sul terreno sindacale possa avvenire quanto accaduto nella sfera politica, cioè che ci sia la crescita di soggetti nuovi e non collusi con le precedenti forme di potere. L’eventualità che crescano e si affermino sempre di più organizzazioni sindacali non compromesse, non complici ma di classe, militanti, trasparenti nella loro conduzione che possano davvero rappresentare una speranza per milioni di lavoratori sta producendo una precipitazione legislativa gestita in particolare da vecchi e navigati pretoriani del potere che animano le commissioni lavoro della camera e del senato. Gli incessanti attacchi alla democrazia nei luoghi di lavoro, la grancassa sugli scioperi, che tra l’altro sono statisticamente ai minimi storici, l’uso sfrenato della sempre funzionante pratica di mettere i cittadini contro i lavoratori per distoglierli dalle vere responsabilità nella propria condizione di “sfruttati sociali”, la riduzione continua delle agibilità democratiche sono oggi i veri problemi che dobbiamo affrontare se vogliamo davvero difendere il diritto del movimento dei lavoratori ad organizzarsi ed esprimersi sui propri bisogni, senza compromessi e senza che il nemico marci alla nostra testa.

dal Corriere della Sera del 02/12/2013

Al leader della Cisl vanno 7 mila euro lordi al mese. La replica: ho 45 anni di versamenti

Sgambetto dell’Usb a Raffaele Bonanni. L’Unione sindacale di base ha approfittato dell’ennesima presa di posizione del leader della Cisl a favore della previdenza integrativa per diramare, venerdì scorso, un velenoso comunicato di replica nel quale sostiene che Bonanni, 64 anni, prende da un paio d’anni una pensione di 7 mila euro lordi al mese, circa 4.300 euro netti. A firmare la nota è Pierpaolo Leonardi, uno dei leader storici del sindacalismo di base, e guarda caso dipendente dell’Inps. A scatenare la rabbia di Leonardi è stata la richiesta di Bonanni di rendere obbligatoria per legge l’adesione ai fondi pensione (costituiti su iniziativa delle associazioni imprenditoriali e sindacali), al fine di favorire finalmente il decollo della previdenza integrativa. Una mossa che invece sarebbe molto rischiosa, secondo l’Usb, in particolare per i giovani, mentre, sottolinea Leonardi, «lui (Bonanni, ndr ) è andato in pensione con il sistema retributivo pochi giorni prima del varo della riforma Fornero (fine del 2011, ndr ) e con un assegno dell’Inps di 7 mila euro mensili» che lo stesso Leonardi, interpellato, specifica «lordi». La nota ha fatto infuriare il leader della Cisl, che non ci sta a passare per pensionato d’oro. Il sindacalista parla di grave violazione della privacy e rivendica di aver versato 45 anni di contributi all’Inps. Giovanissimo, infatti, cominciò a lavorare come manovale nella natia Val di Sangro in Abruzzo, anche se pochi anni dopo già era un sindacalista a tempo pieno, inviato dalla Cisl a organizzare gli edili in Sicilia, dove rimase quasi vent’anni, prima di essere chiamato, nel 1991, a Roma nella segreteria allora guidata da Sergio D’Antoni. La pensione di Bonanni beneficia sicuramente del vantaggioso metodo di calcolo retributivo, che con il massimo di anni di contribuzione, avvicina l’assegno agli ultimi anni dello stipendio. E non dimentichiamoci che lo stesso segretario generale della Cisl, nella puntata di Report del 26 ottobre 2008, cioè cinque anni fa, disse davanti alla telecamera di guadagnare «90 mila euro lordi all’anno», in pratica un netto di circa 4.500 euro. Furono gli stessi sindacati, che ben conoscono i meccanismi previdenziali, a ottenere, nel 1995, quando fu fatta la riforma Dini, che il metodo di calcolo retributivo fosse conservato integralmente per tutti i lavoratori che avevano già versato almeno 18 anni di contributi, il grosso degli iscritti alle confederazioni, riservando il più svantaggioso sistema contributivo ai lavoratori giovani. I quali, però avrebbero potuto rinforzare la pensione pubblica, che diventava più bassa, attraverso i fondi di previdenza integrativa, istituiti tra gli altri anche dagli stessi sindacati e dalle imprese. Fondi che avrebbero goduto di un trattamento fiscale agevolato e di contributi dello stesso lavoratore (principalmente il Tfr, trattamento di fine rapporto, un tempo usato per la liquidazione) e dell’azienda. I fondi, però, hanno avuto solo un limitato successo. Vi aderiscono 6 milioni di lavoratori, dei quali solo 2 ai fondi negoziali (imprese-sindacati) mentre il resto è iscritto ai fondi offerti da banche e assicurazioni.

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1 Commento


  • Daniele

    Scusate un momento: è in atto la distruzione della sanità pubblica, la scuola pubblica è devastata e fascistizzata, il lavoro è ormai schiavismo, la PA è al collasso assoluto e VOI parlate di cazzate e idiozie come la pensione di Bonanni? Ma vi siete bevuto il cervello? Bene KARI KOMPAGNI: ADDIO! Tanto so che, come al solito, sarò censurato.

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