Il blocco dei porti costringe alla ritirata il ministro dello sviluppo. A picco il decretone contro il lavoro portuale.
Dal 20 al 24 febbraio i porti spagnoli si sarebbero dovuti fermare per protestare contro un decreto ministeriale che avrebbe cancellato di colpo i diritti dei lavoratori addetti al carico e scarico merci. L’ondata di scioperi a catena, che avrebbe avuto ripercussioni consistenti sulla logistica in generale ed in particolare sul settore automobilistico, ha fatto paura, e nelle ultime ore il ministro dello sviluppo ha dovuto fare un po’ di passi indietro per fermare il blocco dei porti ed aprire un tavolo di trattativa dagli esiti incerti. Se questo tentativo di mediazione non dovesse andare in porto tra una settimana si prevede un blocco internazionale dei porti.
Ripercorriamo brevemente le tappe di questa vicenda. Circa due anni fa la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGE) ha dichiarato il sistema di stivaggio spagnolo non conforme alle norme comunitarie. Da qui l’esigenza dell’adeguamento a carico del governo spagnolo. Per due anni, l’ex ministro dello sviluppo Ana Pastor ha cercato una soluzione concordata con le parti sociali, e i sindacati e di datori di lavoro cercando, in questo lasso di tempo, di stilare un testo che potesse garantire la pace sociale e rispondere allo stesso tempo alle esigenze dettate dall’Europa, dando un colpo al cerchio ed un altro alla botte. Questo sforzo conciliativo sostenuto dal governo di transizione, che ha visto impegnati sindacati e datori di lavoro, è stato di fatto ignorato dal nuovo ministro Inigo de la Serna, che, il 3 febbraio scorso, ha dichiarato che avrebbe in 30 giorni sfornato un decreto, per mettere fine alla vicenda e ricondurre i porti spagnoli al diktat dell’Europa.
Si tratta, anche in questo caso, dell’ennesima tappa del processo di liberalizzazione e di ristrutturazione produttiva sostenuto dall’Unione Europea sul fronte della logistica che ha trovato in Spagna una spalla forte nel nuovo ministro dello sviluppo Inigo de la Serna che ha poi dovuto fare marcia indietro. La risposta, contro il modello di riforma dello stivaggio che taglia salari ed occupazione facilitando i licenziamenti, non si è fatta attendere; il sindacato di maggioranza, la Coordinadora statale dei lavoratori del mare (CETM) insieme con gli altri sindacati UGT, CCOO, CIG e CGT avevano, infatti, deciso gli scioperi della società di Gestione degli stivatori portuali (Sagep) per il 20, 22 e 24 febbraio, per otto ore al giorno.
Il ministro aveva forse sottovalutato le capacità di reazione, e c’è da ricordare che la Spagna, nel settore portuale, vanta una lunga tradizione di lotta e di resistenza, e quindi non c’è da stupirsi se, nonostante l’avanzata neoliberista, a seguito delle dichiarazioni fatte dal nuovo ministro dello sviluppo sul decretone capestro, lo scenario che si è aperto non è quello di un supino ripiegamento alle imposizioni del potere bensì quello di una capillare mobilitazione nazionale sostenuta a livello internazionale da altri porti.
In un modo sempre più forgiato dal sistema capitalistico, al cinismo, all’individualismo più sfrenato, e quindi alla debolezza collettiva e alla rassegnazione, il motto ‘se toccano uno toccano tutti’, attraverso la rete, sui social network, è rimbalzato da un porto all’altro e ben oltre, guadagnando attestati di solidarietà da più parti e allargando il fronte della protesta. La vittoria o la sconfitta dei portuali spagnoli, non è solo questione nazionale, proprio per la valenza simbolica della vicenda e, come si ricordava, per il peso che questa assume dopo diversi anni di concordata pace sociale.
Il decreto di cui parlava il ministro nei primi giorni di febbraio e che poi ha dovuto ritirare – stando a quanto sostengono i portuali- è addirittura peggiorativo rispetto a quanto richiesto dall’Europa per il settore dei trasporti. In buona sostanza, con l’arma silente dell’adeguamento a linee guida, normative, e decreti d’urgenza s’intende far saltare i diritti degli stivatori spagnoli, il potere residuale delle cooperative di lavoro e consentire alle multinazionali di poter assumere e licenziare chi e quando vogliono, di comandare al lavoro just in time, con il sistema della chiamata a poche ore dall’inizio del turno, con il massimo della flessibilità e il minimo delle garanzie, eliminando ogni resistenza e mandando a picco le Piccole e medie imprese di stivaggio, con gravi conseguenza sulle condizioni di vita e di lavoro dei portuali. Questo piano di smantellamento è stato accompagnato – spiega in un articolo Sergio Ballesters Ivars[1]– per mesi da una vasta campagna di diffamazione del lavoro portuale e di attacco ad una presunta ‘aristocrazia’ di lavoratori che di fatto godono solo di quei diritti che dovrebbero esser norma per tutti i lavoratori, anche al di fuori dei porti: un salario, turnazioni e tempi di lavoro decenti, limiti agli abusi padronali.
Intanto a distanza di due settimane dalle sue dichiarazioni sul suo 'decretone', il ministro dello sviluppo a fronte dello sciopero stava cercando di ideare un piano B per garantire un minimo di continuità ai traffici e preservare, tra gli altri, il settore automobilistico che in breve tempo non avrebbe più le scorte necessarie per potere assemblare le automobili- solo nel 2016 oltre due milioni di automobili sono state importate ed esportate dalla Spagna[2].
A partire da questo scenario, in un clima teso, il ministro ha dovuto rivedere le posizioni imperiose dei primi giorni di febbraio e giungere a più miti approdi. Il decreto è stato bloccato, gli scioperi solo per il momento revocati, con la promessa però che se la trattativa con il ministero non dovesse dare buoni frutti, tra una settimana non solo si bloccheranno i porti spagnoli ma molti altri porti a livello internazionale.
C’è da notare che a differenza di altri luoghi, in cui il sindacato è completamente assente o infragilito dalla mancanza di coordinamento nelle lotte, i portuali spagnoli non sembrano disposti a farsi soggiogare per garantire maggiori profitti alle imprese, e se la repressione non riuscirà a piegarla, questa vicenda apre interessanti scenari di lotta e resistenza sul fronte dei porti per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro e forse, c’è da augurarselo, non solo di quelli spagnoli se dovesse funzionare come esempio, dal momento che là dove i sindacati non sono stati capaci di reagire, o non abbastanza, le conseguenze peggiorative sulla vita dei lavoratori sono ben visibili come in Italia, si pensi, ad esempio, al recente caso dei porti del Sud, ai licenziamenti mascherati da esuberi, alle soluzioni fasulle per il reintegro.
[1] http://www.elmundodeltransporte.com/la-realidad-la-estiba-explicada-desde-dentro-5919
[2] http://www.elconfidencial.com/economia/2017-02-16/fomento-prepara-un-plan-para-evitar-el-caos-con-los-vehiculos-en-la-huelga-de-la-estiba_1332522/
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