“Il futuro non è roseo – dice l’ISPRA – Il consumo di suolo continua inesorabilmente ad aumentare cancellando, al 2016, 23 mila kmq”, pari alla dimensione di Campania, Molise e Liguria messe insieme; “il 7,6% del territorio nazionale”.
Memorizzate queste parole, che l’Ansa estrapola dal rapporto sul consumo di suolo del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), presentato alla Camera dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Oggi le leggerete su tutti i siti, le ascolterete alla radio e in tv e domani le troverete sui quotidiani.
Invece non leggerete o ascolterete, nel grande e disinteressato flusso dei media, “il futuro non è roseo” per i ricercatori precari dell’ISPRA: ben 93 di loro sono infatti in scadenza di contratto, circostanza che si continua a tenere oscurata. Nonostante si tratti di persone che non potranno continuare a lavorare su situazioni come ad esempio lo studio delle conseguenze dell’affondamento della Costa Concordia al Giglio o il coordinamento e la formazione delle varie agenzie regionali per la protezione ambientale (ARPA). O, appunto, il consumo del suolo.
Perché il problema dell’Ispra è anche legato alla perenne precarietà della gran parte dei ricercatori, ma non solo.
Il vero motivo è la scelta di non supportare politiche serie di sostenibilità ambientale e di depotenziare economicamente il Sistema Nazionale a Rete per la protezione dell’Ambiente a grave discapito dei cittadini.
Ecco perché è stato deciso di occupare, ormai da 32 giorni, la sede romana di via Vitaliano Brancati. Un’azione clamorosa, che fa il paio con quella del 2010, quando i precari passarono due mesi sui tetti dell’allora Agenzia per la Protezione dell’Ambiente per ottenere il prolungamento dei contratti.
Oggi però la situazione è diversa. Si parla di stabilizzazione, anche in omaggio al decreto Madia che proprio a quello punta ancorché in assenza di finanziamenti dedicati. E stabilizzazione deve essere.
E’ assolutamente necessario che il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e il governo Gentiloni intervengano economicamente per evitare la paralisi delle attività; intanto è sempre più vicina la scadenza del 30 giugno che vedrà il licenziamento di un prima parte dei 93 lavoratori precari. In questi 32 giorni le iniziative per far conoscere la gravissima situazione dei precari Ispra sono state numerose, mentre si tentava di avere segnali dal presidente Stefano Laporta.
Il prossimo appuntamento di lotta è per martedì 27 giugno, alle 9,30 al Centro Congressi Cavour: un’Assemblea Nazionale pubblica di tutti i precari degli enti di ricerca, promossa da USB. In prima fila i precari ISPRA, insieme a quelli dell’ISS, per dire “Basta precarietà”.
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a-precario
Vi avevo lasciato un altro commento qui/a> sulla questione. Posso solo aggiungere che è necessario andare oltre, si deve creare un albo nazionale dei ricercatori (pubblici e privati senza distinzione) nel quale includere tutte le figure che a vario titolo hanno fatto ricerca nella loro vita con delle regole per stabilire come gli iscritti vengono stipendiati. Questo albo, insieme ad altri albi per gli altri settori, deve diventare la via del reclutamento in sostituzione delle varie graduatorie come quelle per le supplenze a scuola o quelle inesistenti nel mondo della ricerca.
Chiedere la sola stabilizzazione, continuare col mantra del “più investimenti alla ricerca” significa solo muoversi all’interno delle regole consentite dal sistema, questo ha il perverso effetto di legittimare il sistema stesso anche quando lo si contesta. Lo si legittima in due modi: (i) perché ne risulta che il precariato è la via giusta per accedere alla posizione di ruolo, se oggi alcuni ci riescono altri continueranno a provarci e ad aggiungersi rendendo il precariato eterno, (ii) perché il lavoro non viene considerato un diritto ma qualcosa che discenda via “trickle down” dall’investimento nei “settori indispensabili” e questo farà continuare la gara di ognuno a dirsi indispensabile di fatto chiedendo che i sacrifici vengano imposti agli altri e che il proprio settore veda maggiori investimenti, aggravando la frammentazione del mondo del lavoro.
Se non si riesce infrangere questo, se non si riesce ad impedire la legittimazione del sistema anche quando lo si contesta (e per fare questo è necessario avere una proposta che abbia l’inequivocabile volontà di unificare ciò che è disunito) allora vuol dire che la parola “comunista” non significa niente neppure per la Rete di Comunisti.
a-precario
E’ saltato il link al precedente commento, lo metto sotto:
https://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2017/03/27/la-stabilizzazione-un-diritto-tutti-precari-090294