Il caso Ilva è solo la punta dell’iceberg di un progressivo processo di abbandono delle politiche industriali del nostro Paese. La chiusura del polo siderurgico di Taranto rischia di compromettere non solo l’occupazione di 10 mila famiglie e l’indotto, ma lo status dell’Italia come paese industrializzato.
Prende forma, l’idea, non solo tra gli operai, che ArcelorMittal abbia sottoscritto l’accordo al fine di smantellare un concorrente e prendere quote di mercato. Dall’altro lato si fa sempre più consistente l’idea di rimettere in campo lo Stato come amministratore.
Intanto a Taranto c’è un’emergenza ecologica e sanitaria, gli operai continuano a lavorare con sempre meno sicurezza perché la società franco-indiana non avrebbe compiuto i risanamenti previsti dagli accordi. La fabbrica rischia la chiusura ma la gente muore.
Oggi il sindacato USB, in occasione dello sciopero generale, ha convocato una manifestazione nazionale a Taranto, preceduta da una serie di assemblee di fabbrica, per chiedere lavoro, diritti e un piano di riconversione e risanamento. Sputnik Italia ha raggiunto il segretario generale del sindacato, Pierpaolo Leonardi, per capire quali sono le istanze dei lavoratori dell’acciaieria e quali le prospettive di rilancio del settore siderurgico italiano.
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– Qual è l’obiettivo dello sciopero generale del 29 novembre?
– L’obiettivo è quello di riportare alla centralità questioni come la condizione dei lavoratori e la condizione del Paese sul piano strutturale. Noi abbiamo individuato Taranto come punto centrale della nostra iniziativa di sciopero e quindi la vicenda ex Ilva/ArcelorMittal, perché è emblematica di un Paese che ha dismesso completamente ogni idea di sviluppo, lasciandolo in balia dello shopping delle multinazionali – sia italiane che estere – e di un capitalismo predatorio che sta spolpando il Paese producendo danni dal punto di vista della tenuta della capacità industriale dell’Italia ma anche della vita della gente, come si vede a Taranto.
Noi respingiamo l’idea che questo possa diventare un paese di turismo e piattaforma di servizi, come invece si va definendo e delineando, visto il modo il cui i governi degli ultimi decenni stanno interpretando il ruolo dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro che ci viene assegnata dentro il progetto dell’UE e non solo.
Riteniamo che oggi sia invece indispensabile rilanciare una forte capacità dello Stato di definire sul piano politico le scelte economiche, cioè che non sia l’economia a guidare la politica ma torni ad essere la politica a guidare l’economia e quindi anche a guidare i criteri di sviluppo e la tutela dei cittadini e dei lavoratori.
– Lo scudo penale è una scusa? Il fallimento del contratto è stato causato da strategie sbagliate del governo o ritenete che l’intenzione della società fosse quella di eliminare un concorrente?
– Entrambe le cose. Nel settembre 2018 l’azienda ha accettato un accordo, sottoscritto anche da noi, ha accettato condizioni che per noi costituivano una garanzia sufficiente per poter mantenere aperta la prospettiva di produzione. Il giorno dopo l’accordo ArcelorMittal ha smesso di ottemperare a quanto stabilito in tema di mantenimento dell’occupazione ai livelli stabiliti, di risanamento ambientale, di interventi a tutela dei lavoratori all’interno, di rinnovamento degli altoforni. Il che dà segnale del fatto che lì fosse più importante impedire che altri entrassero nel business dell’acciaio italiano, piuttosto che una reale intenzione di rilanciare la fabbrica.
Noi siamo arrivati alla determinazione di ritirare la nostra firma dall’accordo e di chiedere la chiusura della fabbrica. In assenza di una volontà concreta degli imprenditori di fare il loro mestiere e dello Stato di fare il suo, cioè quello di controllare che gli accordi sottoscritti e gli impegni assunti vengano rispettati, noi non possiamo più renderci in alcun modo corresponsabili di uno sterminio di massa come quello che sta avvenendo a Taranto, dove i bambini muoiono come le mosche. Quindi pensiamo che ci sia una doppia responsabilità.
Lo scudo penale è sicuramente un fatto rilevante perché era una delle condizioni che ArcelorMittal conosceva perfettamente. Oggi l’utilizzo di questa formula, per cui se non c’è lo scudo penale l’azienda si ritiene libera dal non rispettare l’accordo, è una scusante utilizzata per cercare di ottenere maggiori possibilità di intervento e riprendere l’attività d’azienda con investimenti protetti dallo Stato con l’immunità.
– A inizio novembre un sondaggio effettuato su un campione significativo di lavoratori Ilva, a ridosso dell’annuncio di ArcelorMittal di rescissione del contratto, ha mostrato come secondo gli operai l’azienda non abbia rispettato gli impegni e che l’ingresso della multinazionale abbia solo peggiorato la situazione dello stabilimento. Quali proposte arrivano dai lavoratori per il rilancio del polo siderurgigo? Si è esplorata la possibilità della nazionalizzazione o di altre forme di gestione dell’impianto?
– Quello che noi stiamo proponendo e che sta viaggiando nelle assemblee di fabbrica in vista dello sciopero, è che questa fabbrica così com’è non possa essere neanche immaginabile il suo rilancio.
Serve uno strumento pubblico che sia una nuova Iri, così come l’ha definita Patuanelli sul Sole 24ore, che è la nostra proposta da tempo, o Invitalia o un soggetto pubblico che non versa soldi ad ArcelorMittal, che non entri in conproprietà con il privato per fornire soldi pubblici ad aziende private, ma che assuma davvero il ruolo di gestore della trasformazione di quel territorio e di quell’impianto in un impianto sicuro, sostenibile dal punto di vista ambientale, non inquinante, che abbia a cura sia la produzione ma anche il territorio.
Questa è la condizione che noi stiamo proponendo e su questo sono sempre di più i lavoratori dell’Ilva e i cittadini di Taranto che si stanno schierando con noi, tant’è che per la prima volta alle nostre mobilitazioni, hanno aderito e partecipano anche pezzi di comunità tarantina di soggetti sociali che da tempo chiedono lo smantellamento di quella fabbrica così come è costruita. Mi sembra che il ragionamento che noi avevamo proposto con l’inchiesta operaia che avevamo fatto in fabbrica portano a questa conclusione.
Basta con l’industrialismo a qualsiasi costo che non tiene conto della vita della gente, basta col fatto che si possa pensare che oggi il paese non abbia bisogno dell’industria. Il paese ha bisogno di un’industria sana, produttiva, competitiva sul mercato internazionale, perché l’acciaio è uno settore importante per la nostra economia.
– Quali sono le criticità dell’impianto di Taranto in termini di impatto ambientale?
– Una situazione critica. Da quando c’è stato l’ingresso di ArcelorMittal ogni manutenzione è stata assolutamente abbandonata. Questo è uno dei segnali più evidenti del fatto che ArcelorMittal non ha nessuna intenzione, nelle condizioni date dall’accordo che le ha consentito di subentrare all’ex Ilva, a far funzionare e crescere l’intervento produttivo di quel sito.
C’è un altoforno chiuso, l’altoforno 5, che è che doveva essere ambientalizzato e rimesso in funzione e invece è rimasto così com’è, e quindi è pericolosissimo se rimesso in funzione. C’è l’altoforno 2, quello sub iudice della magistratura, che la magistratura chiuderà sicuramente, c’è la copertura dei parchi minerari, che è parzialmente stata effettuata ma ancora, col vento che c’è a Taranto è un rischio per la salute. Queste coperture sono dei capannoni senza sponde laterali, col tetto molto alto, in cui il vento si infila e porta le polveri sulla città. C’è una situazione interna di abbandono. Gli ultimi incidenti delle ultime settimane sulle colate hanno prodotto feriti, per puro miracolo non hanno prodotto vere e proprie stragi.
Queste sono le condizioni drammatiche in cui vive la gente. E’ una popolazione operaia giovane quella dell’Ilva, perché sull’accordo del settembre 2018 una quota consistente di personale più anziano è stato incentivato all’esodo e ha accettato l’incentivo all’esodo, una parte è stata messa in amministrazione straordinaria. La parte che è rimasta al lavoro è la parte giovane, una parte che soffre particolarmente una condizione di lavoro veramente inaccettabile a qualsiasi latitudine, non in uno dei paesi più industrializzati del mondo.
– Alcuni giorni fa gli operai ArcelorMittal del resto d’Europa hanno annunciato una mobilitazione a sostegno dei loro colleghi italiani. Che significato attribuire a questo annuncio?
– Noi abbiamo saputo che ieri i compagni dell’AB del Paese Basco, hanno lanciato una mobilitazione a sostegno dello sciopero del 29 e questo ci fa molto piacere. Una iniziativa in tutta la Spagna negli stabilimenti di ArcelorMittal.
Io credo che ci sia una necessità importante di ridare forza internazionale e internazionalista alle lotte dei lavoratori. E’ uno degli obiettivi che noi perseguiamo con la nostra presenza all’interno della Federazione Sindacale Mondiale. Come Usb siamo affiliati alla Federazione Sindacale Mondiale (WTUF) e stiamo sempre più lavorando affinché le vertenze centrali, quelle che riguardano i lavoratori che dipendono da multinazionali o che hanno un forte impatto siano comunque sostenute sul piano internazionale. Io mi auguro che questa mobilitazione a livello internazionale abbia un risultato.
* da https://it.sputniknews.com/
** Le foto sono di Patrizia Cortellessa
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