In previsione dello sciopero generale del 26 maggio abbiamo rivolto alcune domande a Cristiano Fiorentini dell’Esecutivo Usb del Pubblico Impiego.
Che aria si respira tra chi lavora nel pubblico impiego?
Un’aria di frustrazione e di rabbia, i recenti rinnovi dei contratti nazionali, peraltro già abbondantemente scaduti, non hanno consentito neanche un minimo recupero del potere d’acquisto dei salari considerando che l’inflazione, per i motivi che tutti conosciamo, viaggia a ben più del doppio di quanto riconosciuto nell’aumento salariale. In questo contesto il Ministro Zangrillo ci ha detto a chiare lettere che per il momento non è previsto nessuno stanziamento di risorse per rinnovare i contratti.
Alla questione salariale si aggiunge poi quella delle carenze di organico, che incidono sia sui carichi di lavoro che sull’efficienza dei servizi pubblici, per le quali servirebbe un piano straordinario di assunzioni con almeno un milione di immissioni di nuovo personale, a partire dalla stabilizzazione dei precari e dagli scorrimenti delle graduatorie degli idonei, mentre il governo prevede circa 350mila assunzioni che bastano a malapena a coprire i pensionamenti.
Il 26 maggio avete convocato uno sciopero generale di tutte le categorie. E’ una scelta impegnativa. La decisione dell’Usb è stata “una fuga in avanti”?
La scelta, difficile, di proclamare uno sciopero è stata una scelta dovuta. C’è una guerra in Europa che stanno pagando, come sempre, i lavoratori e la situazione non è destinata a risolversi nel breve periodo. C’è un Governo che riassume in sé il peggio del Governo Draghi con il peggio della destra estrema e che si sta distinguendo per le sue politiche antipopolari e dirette contro i lavoratori.
La pace sociale alimentata da CGIL CISL e UIL, stride fortemente con questo grave contesto di crisi e con quanto sta accadendo in tutta Europa, in Francia su tutti, ma anche in Inghilterra e in Germania. Andava fatto qualcosa che rompesse questo clima di assopimento generale.
C’è obiettivamente la necessità di recuperare terreno in un percorso di costruzione di un’opposizione sociale al Governo Meloni e alle politiche guerrafondaie dell’Unione Europea, lo sciopero generale del 26 non lo definirei una fuga in avanti, quanto una tappa di questo percorso, che ha bisogno della partecipazione di tutti. Tanto è vero che si sta già lavorando alla costruzione di una grande manifestazione nazionale contro il Governo a giugno.
Il governo mette il bastone tra le ruote alle ispezioni nelle imprese. Vuole una amministrazione “amica” delle aziende. A che punto è arrivata la destrutturazione del pubblico impiego?
Siamo davanti ad un’accelerazione in questo senso, che sta dentro i metodi “spicci” che stanno caratterizzando l’azione di Governo. La cosiddetta semplificazione del sistema dei controlli sulle attività produttive è chiaramente un segnale, peraltro molto pericoloso, così come i commissariamenti dell’INPS e dell’INAIL.
Più che una destrutturazione però siamo in una fase di mutazione genetica della PA il cui riferimento principale non sono più i cittadini, ma le imprese, la cui missione non è più l’erogazione di servizi pubblici, ma la tutela del profitto.
Uno schema funzionale ad un modello sociale sempre più darwiniano al quale noi contrapponiamo invece un’idea di settore pubblico come baluardo contro le disuguaglianze dentro una concezione solidaristica di società.
In Italia sono trenta anni che agisce l’emergenza bassi salari. Quali sono le caratteristiche della questione salariale anche per chi lavora nel pubblico impiego?
In premessa va detto che per tutti i governi, il rinnovo dei contratti pubblici è un costo che si rimanda fintanto che si può rimandare e, quando proprio non si può più, si fa con gli avanzi. Poi c’è da dire che per il Pubblico Impiego la questione salariale è strettamente legata alla “sterilizzazione” della contrattazione, fortemente voluta dal sindacato concertativo che ha ridotto i contratti nazionali a poco più di un mero atto notarile nel quale si certificano gli aumenti in relazione alle risorse stanziate dal Governo.
Ovviamente pesa la scelta di adottare l’IPCA depurato dei costi energetici quale indice per valutare l’inflazione, ma in più c’è un tratto molto specifico che è il blocco dei contratti (2009-2016) che dal 2008 ha fatti saltare due rinnovi contrattuali, provocando un danno che i dipendenti pubblici si porteranno dietro per tutta la loro vita lavorativa sia in termini salariali che contributivi ai fini del calcolo della pensione.
In Italia i salari dei lavoratori pubblici, secondo dati di Eurostat, sono più bassi mediamente del 30% rispetto a paesi come la Francia o la Spagna, come abbiamo ampiamente illustrato nel contro forum sulla PA del 16 maggio, questo credo la dica lunga sulla specificità della questione salariale nel settore pubblico, una realtà che il Governo sta tentando goffamente di mistificare.
Aumenti dei prezzi, basse retribuzioni, precarietà. Le condizioni del lavoro e dei lavoratori e lavoratrici gridano vendetta da ogni punto di vista, eppure nel paese stenta a esprimersi un conflitto sociale conseguente. Secondo voi dove sta “l’intoppo”?
L’intoppo sta chiaramente in un panorama sindacale tra i peggiori d’Europa, nel quale CGIL CISL e UIL hanno avuto la funzione, non solo di svendere i diritti dei lavoratori, ma soprattutto di convincerli che tutto ciò era giusto ed inevitabile.
La filosofia della riduzione del danno e il sistema delle compatibilità hanno di fatto convinto i lavoratori ad assumere il punto di vista dell’avversario di classe determinando non solo un arretramento sul piano dei diritti e delle condizioni materiali, ma anche dal punto di vista dell’identità, della coscienza di classe. La perdita di una lettura conflittuale delle dinamiche capitale-lavoro. Sta a noi il compito di ricostruirla, un impegno non da poco, ma al quale sicuramente non ci sottraiamo.
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Giovanni
La Triplice è ammaestrata con poltrone nelle partecipate e svendita dei contratti nazionali da piu’ di 20 anni. Organizzano parodie di manifestazioni per rabbonire i lavoratori, sempre piu’ narcotizzati da illusorie rivendicazioni che non vedranno risultati, a meno che essi capiscano che l’ unica strada e’ in conflitto sociale.