Come vogliamo chiamare questa sequenza terribile di morti sul posto di lavoro cui stiamo assistendo ormai da troppi anni? Strage permanente? Mattanza? Omicidi seriali? Massacro quotidiano? Macelleria di lavoratori? Stiamo parlando di persone, di esseri umani, che invece di tornare a casa dopo una giornata di lavoro – spesso duro e malpagato – finiscono in un obitorio senza nemmeno avere la possibilità di salutare i propri cari perché morti di morte improvvisa e violenta.
Ieri a Lamezia Terme(CZ) Antonio, che aveva 48 anni e faceva l’operaio, è morto sul colpo cadendo dal tetto di un capannone. Oggi altri tre morti a causa di un’esplosione nella stessa fabbrica di materiale pirico (esplodenti, per l’appunto) della provincia di Chieti in cui, appena tre anni fa, erano rimasti uccisi altri tre lavoratori.
E allora facciamola finita, fermiamo questa orrenda carneficina quotidiana, questo bollettino di guerra, questo scempio di vite finite troppo presto spesso per un calcolo cinico sui costi che comporta la messa in sicurezza delle attività più esposte a fattori di rischio, anche gravi.
Quegli stessi fattori di rischio che, quasi sempre, vengono taciuti dai lavoratori stessi per paura di rappresaglie da parte del padrone di turno, anche e soprattutto, grazie ad una serie di norme che, negli ultimi decenni, hanno ridotto drasticamente i diritti di tantissimi lavoratori portandoli, un po’ alla volta, verso una condizione di semi-schiavitù.
Possiamo fermarli? Non lo so. Ma possiamo almeno cominciare. E come? Sicuramente con una legge che introduca, al più presto, il reato di omicidio su lavoro.
Sì, perché le morti causate da omissioni sulle misure di prevenzione e sicurezza e/o, addirittura, le manomissioni dei sistemi e dei dispositivi già esistenti sono omicidi e sono certamente colposi.
E fin tanto che – come è già successo tante altre volte – i responsabili di questi veri e propri crimini se la caveranno con un’ammenda o, al massimo, patteggiando un paio d’anni con la condizionale, continueremo ad assistere impotenti a questo assurdo, agghiacciante, inarrestabile, stillicidio di lavoratrici e lavoratori.
Sì, perché, in assenza di sanzioni più adeguate, il padrone o il padroncino di turno, saranno indotti (o almeno tentati) a ritenere sempre più conveniente mettere a bilancio della propria azienda questi “danni collaterali” piuttosto che spendere il dovuto per mettere in sicurezza gli ambienti di lavoro.
Dal 4 settembre scorso è partita una campagna nazionale a sostegno di una Legge di Iniziativa Popolare proprio per introdurre il reato di omicidio sul lavoro. Si può firmare online (con lo spid al link https://raccoltafirme.cloud/app/user.html) oppure lo si può fare nei tanti luoghi di lavoro dove è presente USB o, ancora, presso i banchetti di raccolta firme in molte città del paese. Facciamolo e subito, fermiamo la strage.
Non si può e non si deve morire per un lavoro, qualsiasi esso sia. Si dovrebbe lavorare per vivere e non per crepare come mosche.
Siamo stanchi dei soliti coccodrilli e dei panegirici gonfi di inutile retorica. Vogliamo azioni concrete che invertano subito una tendenza terribile che ha già causato, tra il 2009 ed il 2022, la spaventosa cifra di 20.849 morti sul posto di lavoro, cui si sono aggiunte, nei primi sette mesi di quest’anno, altre 559 vittime.
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Valeria
bravi! almeno qualcuno che ricordi queste vittime e fa in modo di evitarne altre!