16 anni di carcere per Stefan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e per il barone belga Louis de Cartier, 90 anni. Questa la sentenza emessa alle 13,20 di oggi dal Tribunale di Torino nei confronti dei due accusati nel processo Eternit. Per loro il giudice Casalbore ha anche deciso l’interdizione dai pubblici uffici. Il tribunale ha ritenuto i due imputati colpevoli di disastro doloso solo nel caso degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria). Per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e di Bagnoli (Napoli) invece i giudici hanno dichiarato che il reato è ormai prescritto. Il Presidente del Tribunale ha poi iniziato a leggere gli indennizzi ordinati nei confronti delle parti civili, che sono alcune migliaia tra sindacati, associazioni ambientaliste, comitati di familiari, singoli cittadini.
Una sentenza importantissima, storica. Che fa il paio con quella nel processo Thyssen e che potrebbe avere un effetto domino non solo in altre cause simili aperte in Italia ma anche nel resto d’Europa. Per non parlare dell’altra vittoria raggiunta nel Comune di Casale, dove la mobilitazione dei cittadini e delle associazioni dei familiari delle vittime dell’amianto hanno costretto il sindaco a rimangiarsi il suo ‘si’ ad un minirisarcimento da parte della Eternit in cambio dell’impunità. Al Comune di Casale il giudice Casalbore ha accordato un risarcimento di 25 milioni, molti di più di quelli offerti dalla multinazionale.
Una sentenza storica e altamente simbolica anche per le caratteristiche quasi caricaturali dei due imputati. Due capitalisti “ottocenteschi”, dai tratti così simili a come da sempre la pubblicistica socialista e comunista ha dipinto lo stereotipo del padrone, del magnate. E quindi una condanna che oltre ai due responsabili diretti di quanto avvenuto sul banco degli imputati sanziona un intero sistema, basato sul cinico sfruttamento della forza lavoro in nome di un profitto che provoca la morte dei produttori.
E’ per questi motivi che il processo che si è concluso oggi ha destato un interesse straordinario, ben al di là degli addetti ai lavori e anche oltre i confini nazionali. Già alle prime ore del mattino una lunga coda si era formata all’ingresso del tribunale, aperto dalle 8.30, e tutto intorno al Palazzo di Giustizia un gruppo di parenti delle vittime ha esposto pannelli che ritraggono Stephan Schmidheiny, uno dei due imputati del processo, dietro le sbarre di una prigione. Oltre ai parenti e ai giornalisti sono entrati in aula anche quindici sindaci della zona del Monferrato, nell’Alessandrino, con tanto di fascia tricolore. Il processo è durato oltre due anni e si è articolato in ben 65 udienze. “Quello che si conclude oggi sarà un processo storico. Si è trattato del più grande processo del mondo, è la dimostrazione che un processo si può fare anche su questi temi” ha detto prima della lettura della sentenza il pm Raffaele Guariniello che nei confronti dei due accusati aveva chiesto 20 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Aveva poi aggiunto Guariniello entrando in aula: “Abbiamo avuto l’interessamento di molte comunità e l’aiuto di diverse amministrazioni. Ora è il momento che venga fatta giustizia”.
L’accusa aveva chiesto anche tre pene accessorie: l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l’interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni.
Ai dirigenti vengono contestate le morti di 2.100 persone e le malattie che hanno colpito altre 800 persone nelle zone degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Le parti civili che si sono costituite in giudizio sono oltre seimila. “Purtroppo – ricorda l’Associazione Familiari Vittime Amianto (Afeva) – altre centinaia di vittime si sono aggiunte in questi ultimi anni. Le patologie da amianto che hanno colpito e ancora stanno colpendo le ex lavoratrici e lavoratori e le popolazioni sono mesotelioma (tumore maligno alla pleura o peritoneo), carcinoma polmonare e asbestosi”. In realtà alcuni studi calcolano che ogni anno siano almeno 4000 le vittime dell’amianto, e nel nostro paese ci sarebbero ancora 32 milioni di tonnellate di fibra killer in mancanza di una seria politica di bonifica. E a morire non sono solo i lavoratori, ma anche le persone il cui unico torto è stato quello di abitare nelle vicinanza di un sito contaminato.
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mario barbieri
e tutti i loro tirapiedi ai vari livelli, capi e capetti, e i politici che sapevano e tacevano, e i sindacalisti omertosi? Se vengono puniti anche tutti quelli che hanno partecipato, più o meno coscientemente, al massacro, allora, e solo allora, si potrà parlare di vittoria, ma la vedo dura. Già a Porto Marghera troppi hanno fatto finta di niente, ricordo che Bortolozzo, l’operaio e sindacalista che per primo denunciò i morti per il CVM, fu accusato dal sindacato di essere al soldo della concorrenza