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“L’Ilva è la nostra Eternit”. Assedio popolare al tribunale di Taranto

Taranto ha la sua Eternit, e si chiama Ilva. Una società per azioni del Gruppo Riva, che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio, oggetto già di diversi processi penali per inquinamento, che si sono conclusi in alcuni casi e gradi di giudizio con la condanna di Emilio Riva e di altri dirigenti. Oggi però contro il ‘mostro’ si è aperto un processo che può essere considerato storico.

Stamattina, mentre nelle aule del tribunale si teneva l’incidente probatorio, parecchie centinaia di persone si sono presentate per manifestare contro una fabbrica di morte finora largamente impunita rispondendo all’appello delle associazioni ambientaliste, dei coordinamenti studenteschi, dei sindacati di base e di alcuni comitati cittadini. Molti gli ex operai e gli operai in piazza, con alcune delegazioni provenienti anche dal resto della provincia e dalla vicina Basilicata. Un vero e proprio assedio al palazzo di giustizia durato tutta la mattinata e controllato a vista da un nutrito contingente di poliziotti in assetto antisommossa mentre il palazzo di giustizia era letteralmente circondato dai blindati. I manifestanti hanno portato striscioni e cartelli molto eloquenti: ‘Ilva come eternit’, ‘Sono vedova da 30 anni e attendo giustizia’, ‘Noi beviamo latte alla diossina’.

Le condanne dei due padroni dell’azienda torinese e ancora prima dei dirigenti della Thyssenkrupp suscitano la speranza che finalmente giustizia possa essere fatta anche per tutti quei lavoratori e cittadini tarantini morti di diossina. Stamattina la corte ha ascoltato l’esposizione dei risultati della perizia chimica disposta dal gip Patrizia Todisco per stabilire se e quanto le emissioni di fumi e polveri dallo stabilimento siderurgico siano nocive per la salute della popolazione di Taranto ma anche dei comuni limitrofi, e se all’interno della fabbrica siano rispettate le misure di sicurezza per evitare la dispersione di diossina ed altri composti molto tossici, come Pcb e benzoapirene. Secondo le stime presentate durante l’incidente probatorio lo stabilimento siderurgico immetterebbe nell’atmosfera circa 688 tonnellate l’anno di polveri nocive.
I manifestanti – alcuni dei quali portavano un fazzoletto bianco al braccio – non si sono limitati a presidiare l’ingresso del tribunale, ma sono saliti in massa al primo piano del palazzo di giustizia, attendendo la fine dell’udienza all’esterno dell’aula. Rosella Balestra, del Comitato Donne per Taranto, spiega all’Adnkronos che la massiccia presenza di oggi ha l’intento «di far capire che comunque Taranto c’è, che la città è sveglia e non è disposta a subire supinamente quello che abbiamo subito per anni. Ci saremo a tutte le udienze sempre in maggior numero – promette – con una presenza silenziosa e dignitosa. Vogliamo manifestare poi fiducia nella giustizia e solidarietà agli allevatori che si sono costituiti parte civile e alle vittime da inquinamento da diossina».

A documentare la manifestazione di stamattina c’era anche Bill Emmott, giornalista e saggista dal 1993 al 2006 direttore della rivista britannica The Economist. Emmott collabora con un troupe televisiva che sta realizzando un documentario indipendente sull’Italia dal titolo ‘Buona Italia’.

Sul banco degli imputati del procedimento penale in corso ci sono cinque indagati: Emilio Riva, lo storico padre padrone dello stabilimento dimessosi da presidente il 19 maggio del 2010. Poi il figlio Nicola, che ha sostituito padron Riva, e poi ancora il direttore Luigi Capogrosso, il capo area cokerie Ivan Di Maggio e il capo area agglomerato Angelo Cavallo. Per loro le accuse sono gravissime, essendo gravissime le loro responsabilità: disastro colposo e doloso, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, inquinamento atmosferico, danneggiamento aggravato di beni pubblici e sversamento di sostanze pericolose.

Titolari dell’inchiesta sono il pm Mariano Buccoliero e il procuratore capo Franco Sebastio. Le indagini sono partite circa tre anni fa, in seguito al ritrovamento di pericolose tracce di sostanze inquinanti nei formaggi provenienti dagli allevamenti di pecore che pascolavano vicino alla zona industriale.

Ora si attendono i risultati di una indagine epidemiologica, affidata a tre specialisti, che dovrà accertare l’esistenza del nesso causale tra quell’inquinamento e le patologie riscontrate sul territorio. Verrà depositata entro l’1 marzo e sarà discusso in camera di consiglio nell’udienza del 30 marzo.

“A Taranto c’è – scrivono  Gaetano De Monte e Gabriella Terra, due attivisti del C.S. Cloro Rosso –  il 92% della diossina emessa dalle industrie italiane che proviene dall’Ilva di Taranto; ci sono i dati forniti dal Registro dei Tumori salentino, da cui emerge un aumento del 30% dei tumori nella nostra città, rispetto alla pur alta media regionale. E c’è un mostro marrone scuro, un enorme mantello di ruggine che si estende per 1500 ettari, e che sforna circa la metà delle  26milioni di tonnellate di acciaio prodotte in Italia ogni anno. (…) Un posto in cui, l’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del Lavoro, un organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, ha stimato che i bambini che vi vivono, inalano valori di benzopirene equivalenti a centinaia di sigarette l’anno, e in cui coloro che lavorano in quel cuore nero (…) sono condannati a morte, paradossalmente per poter continuare a vivere”. Esattamente come a Casale Monferrato, a Rubiera, a Bagnoli…

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