I periti, incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di accertare le cause della morte del giovane una settimana dopo il suo arresto, hanno depositato oggi le conclusioni del loro lavoro. ”La causa della morte di Stefano Cucchi, per univoco convergere dei dati anamnestico clinici e delle risultanze anatomopatologiche, va identificata in una sindrome da inanizione”. Con quest’ultimo termine si indica appunto ”una sindrome sostenuta da mancanza (o grande carenza) di alimenti e liquidi”. Gli accertamenti sono stati redatti dal gruppo di lavoro dell’Istituto Labanof di Milano. Tra una settimana ci sarà la prossima udienza del processo che vede imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria. I periti, invece, non si pronunciano in via defintiva sulle cause dei numerosi ematomi e traumi riscontrati sul corpo del giovane. Percosse o caduta? Per loro sono possibili entrambe. Un modo di salvare le guardie e scaricare tutto sui soli medici. Da cui sarebbe legittimo a questo punto avere una testimonianza meno reticente.
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Omicidio Cucchi, la superperizia spegne la luce sulla verità
Sarebbe morto di fame e non di botte, secondo i consulenti della Corte. Ma non tutti sono d’accordo. Sarà scontro in aula il 19 dicembre
Morì per le botte prese, Stefano Cucchi, e l’abbandono nel repartino del Pertini oppure morì di fame e sete, immobilizzato per via di una caduta? Morì per un cocktail di malapolizia e malasanità (innsecato dal proibizionismo forsennato) oppure si vuole semplificare il composto velenoso scaricando tutto sull’incuria dei dottori? Sarà certo scontro tra periti dal 19 dicembre nell’aula bunker di Rebibbia perché le versioni restano due anche dopo la superperizia che è stata appena depositata. Tra gli esperti ci sarebbe chi avrebbe evidenziato la presenza di sangue sui frammenti ossei prelevati da alcuni segmenti di vertebre che, a dire della famiglia, sarebbero state fratturate durante il pestaggio. Un elemento che confermerebbe l’ipotesi di lesioni contestuali ai giorni dell’arresto e poi della morte. In contrasto con quanto avevano sostenuto i consulenti del pubblico ministero. Le fratture sui segmenti L3 ed L5 della colonna vertebrale risulterebbero molto prossime all’orario in cui il trentunenne romano, arrestato il per il possesso di una minima quantità di hashish, è morto il 22 ottobre del 2009. Il geometra di Torpignattara è stato pestato prima di arrivare in ospedale? Se le fratture fossero di un periodo diverso si sarebbe visto solo un callo osseo.
Il “piano”, però, sarebbe quello di affibbiare alle pessime condizioni ospedaliere l’intera operazione ma questo non dà conto delle ragioni del ricovero di Stefano Cucchi. Una tesi cui il pm sembra essere particolarmente affezionato visto che ha passato l’estate a cercare tracce di una frattura antica, risalente al 2004, di Cucchi e che su quella frattura “per sbaglio” si sono concentrate per un po’ le attenzioni dei periti nonostante le fratture diverse e nuove fossero a una manciata di millimetri da lì. Perché è stato nascosto in quel reparto carcerario dell’ospedale? Cucchi stava in un reparto adatto a pazienti stabili e non con patologie acute in corso. Chi ce l’ha inviato non poteva non sapere. Così almeno la pensa il sostituto procuratore presso la Corte di appello Eugenio Rubolino che con queste motivazioni, e con un ricorso di 15 pagine, ha impugnato davanti alla Cassazione la sentenza di assoluzione di Claudio Marchiandi, l’alto funzionario del Prap (Provveditorato regione dell’amministrazione penitenziaria), che ha sollecitato di persona il ricovero di Cucchi. Il pg, convinto della colpevolezza di Marchiandi, punta all’annullamento della sentenza d’appello per riportare l’imputato in aula davanti a un altro collegio. Perché il funzionario è l’unico dei tredici imputati del caso Cucchi a essere già stato processato. Per gli altri dodici coimputati – 3 guardie penitenziarie, 6 medici e 3 infermieri, il processo riprenderà, appunto, il 19. Sarebbe proprio il funzionario del Prap, per il pm, ad essersi agitato per tenere il detenuto «lontano da occhi e orecchie indiscrete» «consapevole che con quelle patologie era impossibile altrimenti ricoverare Cucchi in quel posto».
Ma la superperizia di 195 pagine, anziché districare i nodi, sembra rendere di nuovo opaca la scena del calvario di Cucchi. Le agenzie battono da stamattina stralci della perizia: «La causa della morte di Stefano Cucchi, per univoco convergere e dei dati anamnestico-clinici e delle risultanze anatomopatologiche, va identificata in una sindrome di inanizioni (atrofia da malnutrizioni, ndr)». «Il quadro traumatico osservato si accorda sia con un’aggressione, sia con una caduta accidentale, nè vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva». «I riscontri clinici riferibili alle lesioni alle lesioni risalgono al pomeriggio del 16 ottobre 2009 non contrastano con un’epoca di produzione di poco anteriore». «Nel caso di Stefano Cucchi i medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini non si sono mai resi conto di essere (e fin dall’inizio) di fronte ad un caso di malnutrizione importante, quindi non si sono curati di monitorare il paziente sotto questo profilo, nè hanno chiesto l’intervento di nutrizionisti (o altri specialisti in materia) e, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso». La sera del 17 ottobre 2009 «presentava uno stato di denutrizione importante che, di fronte alla di lui manifesta volontà di digiunare e di astenersi dal cibo, doveva immediatamente allertare i medici curanti. Anche pochi giorni di ulteriore astensione da alimenti e liquidi costituivano rischio concreto di un irreversibile aggravamento delle di lui condizioni. Il pericolo di vita del paziente si rende poi manifesto il 19 ottobre: in questo momento un trattamento terapeutico appropriato avrebbe consentito probabilmente il di lui recupero». In ogni caso «tutti i sanitari della medicina protetta del Pertini ebbero una condotta colposa, a titolo sia di imperizia, sia di negligenza, quando non di mancata osservanza di disposizioni comportamentali codificate».
Ma non si deve dimenticare, ricostruendo il quadro, che Stefano il giorno dell’arresto, s’era allenato in palestra e il giorno successivo, alla scandalosa udienza di convalida cui arrivò con le carte sbagliate (risultava essere un albanese di sei anni più anziano e senza fissa dimora), era già messo male, parlava a fatica e aveva segni che parevano di percosse, che diverse testimonianze riferiscono che si sarebbe lamentato del trattamento subìto, che dal Pertini tentò di mettersi ripetutamente in contatto con l’esterno. (continua a leggere su popoff).
Checchino Antonini
«Stefano Cucchi morì per colpa dei medici»
La perizia sul geometra: la malnutrizione fu causa della morte, i medici non lo curarono in modo adeguato
ROMA – Stefano Cucchi morì per grave carenza di cibo e liquidi e quindi «i medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso». Questa la conclusione dei periti incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di accertare le cause della morte del 31enne geometra romano, deceduto il 21 ottobre del 2009 nel reparto giudiziario dell’ospedale Sandro Pertini a pochi giorni dal suo arresto. Per la morte di Cucchi sono imputati tre agenti della polizia penitenziaria e nove tra medici e infermieri dell’ospedale Sandro Pertini.
MEDICI SOTTO ACCUSA – «Tutti i sanitari della Medicina protetta del Pertini – si legge nella perizia – ebbero una condotta colposa, a titolo sia di imperizia, sia di negligenza, quando non di mancata osservanza di disposizioni comportamentali codificate». «I medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini non si sono mai resi conto di essere (e fin dall’inizio) di fronte a un caso di malnutrizione importante, quindi non si sono curati di monitorare il paziente sotto questo profilo, né hanno chiesto l’intervento di nutrizionisti (o di altri specialisti in materia), e, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso», scrivono i periti. Non solo. I medici sono anche colpevoli di non aver informato in maniera adeguata Stefano Cucchi dei rischi che correva digiunando: «Non avendo consapevolezza della patologia di cui Cucchi è affetto, venne pure a mancare da parte dei sanitari una adeguata e corretta informazione al paziente sul suo stato di salute e sulla prognosi a breve inevitabilmente infausta, nel caso egli avesse persistito nel rifiutare cibi e liquidi».
LA PERIZIA – La perizia redatta dal gruppo di lavoro dell’Istituto Labanof di Milano è stata depositata giovedì, una settimana prima della prossima udienza del processo che vede imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria. «In definitiva -si legge nella perizia – la causa della morte di Stefano Cucchi, per univoco convergere dei dati anamnestico clinici e delle risultanze anatomopatologiche, va identificata in una sindrome da inanizione». «Con il termine di morte per inanizione – scrivono i periti – si indica una sindrome sostenuta da mancanza (o grande carenza) di alimenti e liquidi».
«AGGRESSIONE O CADUTA» -Scrivono ancora i periti: «In mani esperte l’allarme rosso era in atto con gli esami del 19 ottobre 2009 e che da questo momento Cucchi, per avere un trattamento appropriato, doveva essere trasferito in una struttura di terapia intensiva». «Un trasferimento ed un trattamento immediato – rilevano gli esperti riferendosi al personale sanitario che ha avuto in cura Cucchi – avrebbero probabilmente ancora consentito di recuperare il paziente. È intuibile che se il trasferimento del paziente fosse stato rimandato le di lui possibilità di sopravvivenza si sarebbero proporzionalmente e progressivamente ridotte, fino a raggiungere livelli molto bassi in data 20 ottobre ed ad annullarsi in data 21 ottobre». Concludono i periti: «Il quadro traumatico osservato si accorda sia con un’aggressione, sia con una caduta accidentale, né vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva».
CAUSE DELLA MORTE – «In questo contesto – si legge nella relazione di 190 pagine – pare anche inutile perdersi in discussioni sulla causa ultima del decesso. Se vale a dire – scrivono ancora i periti nominati dalla corte di assise – esso sia da ricondursi terminalmente ad un disturbo del ritmo cardiaco, piuttosto che della funzionalità cerebrale, trattandosi di ipotesi entrambe valide ed ugualmente sostenibili. Questo anche in considerazione del fatto che il decesso (vuoi per causa ultima cardiaca, vuoi per causa ultima cerebrale) intervenne nelle prime ore della mattinata del 22 ottobre quando, quanto meno a partire da due-tre giorni prima, già si era instaurato il catabolismo proteico, indice come abbiamo visto sopra di una prognosi “a breve” sicuramente infausta».
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