Il Gip di Varese dice no al pm Abate che chiedeva l’archiviazione dell’inchiesta sulla morte dell’artigiano morto in un ospedale poche ore dopo un fermo nella caserma dei carabinieri.
Ogni tanto sul fronte delle vittime di malapolizia arriva qualche notizia incoraggiante. Come sul caso Uva, sul punto di cadere definitivamente nell’oblio a causa della possibilità che l’inchiesta sull’artigiano morto nel 2008 in un ospedale dopo essere stato fermato e portato in una caserma dei Carabinieri fosse archiviata e chiusa per sempre.
Ma il gip di Varese Giuseppe Battarino non ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Agostino Abate e quindi la finora incompleta e tortuosa inchiesta sulla morte dell’uomo va avanti.
Come andarono i fatti, almeno fino ad un certo punto, è noto: fermato nella notte del 13 giugno del 2008 da una pattuglia dei carabinieri in via Dandolo insieme all’amico Alberto Bigioggero mentre spostavano delle transenne dopo aver bevuto un bicchiere di troppo, venne portato nella caserma di via Saffi per essere “interrogato”. I due furono separati e nel corso della notte Bigioggero afferma di aver udito grida e colpi provenire dalla stanza dove era in atto “l’interrogatorio’ di Uva, tanto che spaventato chiamò un’ambulanza che però fu rimandata indietro dai Carabinieri. Ma poi furono proprio loro a chiedere l’intervento dei sanitari, poche ore più tardi, e Uva morì poco più tardi, in ospedale.
Da quando lo vide in obitorio imbrattato di sangue e pieno di lividi la sorella, Lucia Uva, non si è data pace, ed ha intrapreso una battaglia di verità e giustizia che negli anni si è sommata a quella di altre donne, parenti di altre vittime di malapolizia. Subendo anche denunce e minacce. Il primo obiettivo della sua battaglia, e del suo avvocato Fabio Anselmo, era smentire che a causare la morte del fratello fosse stato un errore medico. Il 14 giugno la Corte d’appello di Milano ha confermato l’assoluzione dello psichiatra Carlo Fraticelli dall’accusa di omicidio colposo mentre erano già stati assolti, in primo grado, altri due medici dell’ospedale di Varese accusati di aver somministrato una dose eccessiva di farmaci a Giuseppe, ricoverato in regime di trattamento sanitario obbligatorio.
Da anni la famiglia di Uva tenta di riportare l’inchiesta sul binario giusto, per scoprire cosa accadde all’interno della caserma di Via Saffi e punire eventuali abusi. Denuncia Lucia Uva al quotidiano Today: “Sono molto amareggiata, ma una cosa è certa e l’ho detta sin dall’inizio di questa vicenda: Giuseppe in quella caserma ha subìto violenze. Lì è stato seviziato. La seconda perizia sul suo corpo parla di 78 macchioline di sangue sui suoi pantaloni, provenienti per la maggior parte dall’ano. E al pronto soccorso, quella maledetta notte, mio fratello arrivò senza gli slip. Il pm non ha mai valutato a dovere questa seconda perizia, non ha indagato”.
E’ su questo che si è arenata l’inchiesta che il pm Abate ha insistito a lungo per chiudere, obbligando Lucia a manifestare prima a Milano sotto il tribunale e poi a Roma sulla scalinata della Corte di Cassazione. Contro il colpo di spugna, bloccato almeno per ora dalla decisione del gip Battarino, anche se il rischio che il procedimento cada in prescrizione c’è tutto, visti i tempi della ‘giustizia’ italiana e le coperture di cui godono gli uomini in divisa a tutti i livelli.
Il paradosso è che fino ad ora l’unica indagata è lei, Lucia Uva, accusata di diffamazione nei confronti di Abate per un’intervista rilasciata al programma ‘Le Iene’ in cui chiedeva di indagare sul comportamento di Polizia e Carabinieri. E con lei sono accusati di diffamazione anche alcuni giornalisti, tra cui gli autori del documentario sulla vicenda – “Nei secoli fedele” – Adriano Chiarelli e Francesco Menghini.
“Ora la verità è forse possibile” commenta il senatore del PD Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama e fondatore dell’associazione “A buon diritto”. “Il decreto del Gip di Varese Giuseppe Battarino che non accoglie immediatamente la richiesta di archiviazione suona inequivocabilmente come una smentita radicale e come una critica incondizionata alle conclusioni delle indagini condotte dal pubblico ministero Agostino Abate” spiega Manconi, facendo notare che “il Gip, ancora prima che arrivasse la richiesta di opposizione all`archiviazione delle parti civili, ha scritto così nel suo provvedimento: ‘La stessa qualificazione giuridica dei fatti, risultante dall’iscrizione delle persone presenti all’interno della caserma dei Carabinieri come indagati per mere lesioni personali semplici, contraddice gli esiti argomentativi della sentenza n. 498/2012 (quella in cui il giudice, assolvendo il medico indicato dal pm come responsabile di omicidio colposo, chiedeva contestualmente che gli atti fossero rinviati alla Procura per indagare sulle ore in cui Uva è stato trattenuto in caserma) ed è […] apodittica, a fronte di un evento – la morte di Giuseppe Uva – da ritenersi allo stato privo di spiegazione giudizialmente accertata; tutto ciò comporta la necessità di ulteriore valutazione e fa ritenere non immediatamente accoglibile la richiesta di archiviazione'”.
Per Manconi “la decisione del Gip conferma quanto detto già da altri due giudici e cioè che non tutto è stato fatto e che non tutto può essere sepolto sotto il mantello dell`archiviazione”. E – conclude il presidente di ‘A buon diritto’ – “il decreto apre senz`altro a scenari di contestazione di omicidio o di reati comunque più gravi rispetto alle lesioni volontarie, nonché a valutazioni sulla liceità dell`arresto e sull`ipotesi di sequestro di persona, con reati ipotizzati dalle parti civile fino al 2010 e presi in considerazione anche da altri giudici del Tribunale di Varese che si sono occupati del caso”.
Il Gip ha già fissato le date delle prossime udienze per il prossimo autunno. Vedremo se la giustizia stavolta farà o meno il suo corso.
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