Appena un mese fa Gianfranco Ferrè aveva ceduto il suo marchio al Paris group di Dubai. Ma la cessione di Bulgari a Lvmh (Louis Vuitton Moet Hennesy) segna oggi un passaggio rilevante, quasi il segnale d’addio al made in Italy per come lo avevamo conosciuto e enfatizzato.
La smobilitazione è inziata già da qualche anno. L’elenco comprende il marchio Fendi, venduto anch’esso al colosso del lusso francese guidato da Bernard Arnault. È sotto il controllo di Lvmh anche la maison Emilio Pucci. Ma anche Valentino era passato dal gruppo Marzotto al fondo di private equity Permira Holdings Limited (Phl), con base nel paradiso fiscale di Guernsey, una delle isole della Manica. Gucci e Bottega Veneta fanno a loro volta parte del gruppo francese Ppr (Pinault -Printemps -Redout). Fa storia a sé Prada, che ha deciso di quotarsi alla borsa di Hong Kong, per raccogliere investimenti soprattutto in quell’area.
Tutte dismissioni che – se pure segnalano l’appetibilità dei prodotti italiani – mettono in luce la debolezza industriale delle imprese nazionali. Tutte quelle citate, infatti, sono aziende a conduzione familiare, dove proprietà e management sono rimasti incarnati dalle stesse persone.
Dei grandi marchi ancora tutti italiani, restano ormai solo Giorgio Armani, Dolce & Gabbana, gruppo Aeffe di Alberta Ferretti, Trussardi, Laura Biagiotti, Brunello Cucinelli, il gruppo Tod’s dei Della Valle.
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