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Un governo alla resa dei Conti

 

Galapagos «Un italiano su 4 è povero? Alzi la mano chi di voi lo è. Nessuno». A porre la domanda, soddisfatto che nessuno si sia dichiarato povero – mentre l’Istat sostiene che quasi il 25% degli italiani lo è o è a rischio di diventarlo – è stato un nervosissimo Giulio Tremonti – in stile barzellettiere mutuato da Berlusconi – imbufalito con i padroni di casa, i magistrati della Corte dei conti. Tutta gente ai quali soldi non ne mancano visto le buste paga da 100 mila euro netti in su all’anno. E come loro non sta male il mazzetto di deputati seduti in platea assieme ad alti funzionari della Cassa depositi e prestiti. Insomma, una domanda sbagliata in una situazione sbagliata. Ma questo è quello che passa il governo Berlusconi per il quale, con il Rapporto presentato ieri, la Corte dei conti ha decretato di fatto la fine: sarà il prossimo governo (magari di centrosinistra) a dover realizzare la manovra correttiva «lacrime e sangue» reclamata dai magistrati contabili e prima ancora dalla Banca d’Italia, oltre che da economisti non distratti dal chiacchiericcio.
Secondo La Corte dei conti nei prossimi anni, vista la crescita insufficiente, occorrerà varare manovre correttive da 46 miliardi l’anno. Una enormità che ha la causa nel nuovo Patto di stabilità dell’Unione europea. Per rispettare i nuovi vincoli europei sul debito occorrerà, infatti, un intervento «del 3% all’anno, pari, oggi, a circa 46 miliardi». CONTINUA|PAGINA5
Si tratta di «un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni Novanta per l’ingresso nella moneta unica». Un aggiustamento opera di Prodi, vista l’incapacità della destra di sanare i conti, come dimostrano i dati dei bilanci del quinquennio successivo alla vittoria elettorale del 2001 e poi a quella del 2008, dopo una pausa biennale nella quale Prodi aveva cercato di tappare nuovamente i buchi lasciati da Berlusconi nel 2006.
Forse Tremonti e Berlusconi non sono fortunati: le fasi di recessione e di rallentamento dell’economia si abbattono sempre su di loro. Ma è altrettatnto vero che nulla hanno fatto per cercare di non far sprofondare l’economia come ci ha raccontato due giorni fa l’Istat. E ora la Corte manda a dire che con questi chiari di luna non c’è spazio per riduzioni della pressione fiscale che, anzi, dovrebbe essere incrementata, magari andando a pescare la massa di evasori che si arricchisce su una economia sommersa di 275 miliardi di euro l’anno.
E manda anche a dire che i rischi sono tantissimi perché le manovra restrittive non possono essere realizzate secondo il modello Tremonti con tagli indistinti per tutti e per tutto, ma devono essere mirati per non deprimere ulteriormente la crescita. Un tempo si diceva: «dare gli otto giorni» per il licenziamento.
La Corte non usa tempi così brevi, ma già lunedì dopo il risultato dei ballottaggi, il governo potrebbe saltare: un futuro come quello prospettato dalla Corte dei conti non eccita questa maggioranza che si è dimostrata incapace di mantenere fede alle promesse fatte come ieri ha rinfacciato a Tremonti (sulla abolizione delle provincie, Sud, modifica dell’articolo 41) anche Luca di Montezemolo che si fa sentire di nuovo raccogliendo il crescente malcontento degli industrali.
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La Corte condanna il governo 

Roberto Tesi
L’analisi della Corte dei conti, la magistratura contabile, anche quest’anno è impietosa con il governo e al tempo stesso terrificante per le prospettive: per rispettare la nuova regola europea per i paesi con un rapporto debito/Pil oltre il 60% – e l’Italia è al 120% – si dovrà ridurre il debito del 3% l’anno, il che equivale a circa 46 miliardi, «un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni ’90 per l’ingresso nella moneta unica». Questo significa che sul versante dei conti pubblici l’Italia dovrà fare «sforzi anche maggiori di quelli accettati». Di più: con questa premessa «è impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale, con la conseguente obbligata rinuncia a esercitare per questa via un’azione di stimolo sull’economia».
Nel Rapporto annuale sulla finanza pubblica presentato ieri, la Corte dei conti sottolinea «quanto impervio sia il percorso che la finanza pubblica italiana è chiamata a seguire nei prossimi anni per rispettare i vincoli europei e rendere possibile una crescita economica più sostenuta». «Non è sufficiente che la spesa primaria rimanga costante in rapporto al prodotto, e neanche che rimanga costante in termini reali», viene sottolineato. «È necessario che si riduca in termini reali, rispetto a livello, già compresso, previsto nel Def per il 2014. Non essendo quindi sufficiente limare ulteriormente al margine la spesa pubblica occorre interrogarsi su quelli che possono realisticamente essere i nuovi confini e i nuovi meccanismi dell’intervento pubblico nell’economia».
Ovviamente i magistrati contabili sottolineano «l’eredità dei condizionamenti dovuti agli effetti permanenti causati dalla grande recessione nel 2008-2009» che evidenzia come «si sia verificata una perdita permanente di prodotto, calcolata a fine 2010 in 140 miliardi e prevista a crescere a 160 miliardi nel 2013». Insomma, il governo – come sostiene Tremonti – ha cercato di tenere i conti pubblici sotto controllo, ma il risultato è stato di una perdita progressiva di impulsi in grado di far accelerare la ripresa, come, invece, è accaduto in Germania, paese nel quale sono già stati recuperati i livelli di reddito lordo pre-crisi.
Non a caso, la Corte dei conti sottolinea come la manovra di bilancio dovrà essere sostenuta da «un’adeguata strategia di crescita» altrimenti si potrebbero verificare degli «effetti depressivi non auspicati» e quindi la manovra stessa potrebbe risultare «non pienamente sostenibile». E la manovra, si sottolinea «è necessariamente centrata sul contenimento della spesa». Proprio per questo, rileva la magistratura contabile, si apre la questione di «come porsi di fronte all’obiettivo di ripristinare più robuste condizioni di crescita, almeno tali da riportare l’economia italiana in linea con la media europea». Il ridimensionamento dei programmi di spesa, nelle manovre, si è concentrato soprattutto nelle amministrazioni locali e sull’operare degli strumenti di coordinamento e su investimenti. Ma per il futuro la musica deve cambiare.
Un tema sul quale il Rapporto si sofferma parecchio è quello dell’evasione fiscale e della lotta agli evasori. Il gettito da lotta all’evasione ha portato «circa 63 miliardi, il 58,5% delle maggiori entrate nette complessive stimate, ma con un crescendo che nelle manovre 2009 e 2010 attribuisce alla lotta all’evasione la quasi totalità delle maggiori entrate previste».
Insomma, c’è una più intensa lotta all’evasione fiscale, ma al tempo stesso non crescono le entrate ordinarie, cioè quelle di competenza dei singoli anni. Un segnale che l’evasione seguita a prosperare. Secondo la Corte dei conti che utilizza la stima dell’Istat «l’economia sommersa potrebbe aver raggiunto nel 2008 la quota del 17,5% del Pil ossia 275 miliardi interrompendo la tendenza al ridimensionamento avviata sette anni prima». E nella considerazione del percorso avviato dal Tesoro in vista di una riforma del sistema fiscale, la Corte guarda positivamente alla possibilità di «verificare gli spazi di manovra per un incisivo processo di ridimensionamento di esenzioni e agevolazioni, finalizzato all’ampliamento delle basi imponibili».
da “il manifesto” del 25 maggio 2011

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