Il pacchetto dovrebbe includere anche incentivi per i privati che sono in possesso di titoli di debito greco per estendere volontariamente il programma di rimborso di Atene, così come un’altra serie di misure di austerità.
Chi sta lavorando al piano spera che più della metà dei 60-70 miliardi di euro necessari per nuovi finanziamenti ad Atene fino alla fine del 2013 possa essere coperto senza nuovi prestiti. Molto infatti dovrebbe essere ricavato tramite la vendita di beni dello Stato e lo slittamento dei termini di rimborso per i risparmiatori privati.
Resta comunque da trovare una cifra di 30-35 miliardi che andrebbe coperto direttamente dai paesi della zona euro e dal Fondo monetario internazionale, in aggiunta ai 110 miliardi di euro già concordati con il piano di salvataggio dello scorso anno.
La Banca centrale europea rimane fermamente contraria ad ogni ristrutturazione del debito greco che potrebbe essere considerato un “evento di credito”. Uno degli alti funzionari europei coinvolti nei colloqui, tuttavia, ha detto che le obiezioni della BCE potrebbero essere superate se la rinegoziazione fosse strutturata in modo corretto. Ma anche tra i paesi europei le differenze di opinione, e le esitazioni, sono molte. Non tutti sono disposti a “metter mano al portafoglio”, specie sotto la pressione dei gruppi più nazionalisti, che si sono molto rafforzati in diversi paesi, specie dell’est.
Gli ostacoli sono insomma numerosi, ma cresce la pressione per concludere il nuovo accordo entro tre settimane, anche perché il FMI minaccia di trattenere la sua trance di prestito da 12 miliardi, che dovrebbe essere consegnata a giugno, se Atene non può dimostrare di essere in grado di soddisfare tutte le esigenze di finanziamento per i prossimi 12 mesi.
Senza questa quota di fondi del FMI, i governi della zona euro potrebbe essere costretti a colmare di tasca propria la differenza. Per far recedere il FMI da questa ipotesi, il nuovo accordo deve essere raggiunto in tempo per la riunione dei ministri delle finanze dell’Unione europea in programma il 20 giugno.
Che il problema stia per esplodere viene confermato anche dall’autorevole editorialista del Financial Times, Wolfgang Münchau. Che ricorda come il FMI stia dicendo alla UE: “se non trovate tra voi un accordo per nuovi prestiti per il 2012, non metteremo a rischio i fondi dei nostri azionisti per pagare la nuova tranche del vecchio prestito”. Tranche prevista per il 29 giugno. Se non si trova una soluzione, la Grecia va in default già nel mese di luglio.
In questo sembra pesare molto l’uscita di scena di Dominique Strauss-Kahn, cui viene riconosciuta la capacità di convincere le leadership politiche della UE per dare un’accelerazione alla discussione sulla concessione di un secondo prestito. In subordine, avrebbe cercato di rinviare la pubblicazione delle ultime relazioni del FMI e dell’UE sui progressi realizzati dalla Grecia nella realizzazione delle riforme economiche e sulla sostenibilità del debito.
E’ probabile che alla fine la UE riuscirà a trovare il consenso per lanciare un segnale sufficiente a rassicurare il FMI e quindi a concordare un altro pacchetto di prestiti; probabilmente al vertice di fine giugno. Una dichiarazione politica sarà probabilmente sufficiente per sbloccare la quinta tranche del credito. La quota a carico del Fondo monetario internazionale è poco più di 3 miliardi di euro, poca cosa rispetto a totale dell’intera operazione; ma l’effetto politico di un mancato pagamento fino sarebbero catastrofico. I Paesi Bassi hanno già minacciato di tirarsi fuori dal programma di greco e anche Bundestag tedesco potrebbe stoppare i fondi per una seconda tranche se il FMI dovesse ritirare il supporto al programma.
E’ comunque finita qualsiasi discussione sulla cosiddetta ristrutturazione soft. Un’eventualità del genere non avrebbe comportato alcuna differenza per la sostenibilità del debito greco, ma avrebbe prodotto altri rischi. La linea dura del FMI ha convinto gli europei che non possono pensare di cavarsela, in questa crisi, con soluzioni a metà strada. L’alternativa politica è evidente. O l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale continuano a foraggiare la Grecia per tutto il tempo che ci vuole, o la Grecia sarà costretta a un fallimento (default) durissimo. Non c’è via di mezzo.
Un default significherebbe un “taglio di capelli” medio oscillante tra il 50 e il 70%. E gli obbligazionisti stranieri potrebbero essere costretti ad affrontare una perdita quasi totale. In tal caso, la probabilità che Grecia sia costretta ad uscire dalla zona euro è molto alta. Il che poterebbe qualche sollievo per il pagamento del debito, ma con gravi danni al settore finanziario e la decimazione del “risparmio delle famiglie”. La domanda, come si vede, è molto semplice: chi deve pagare la crisi? Le famiglie greche o la finanza internazionale (e, nella misura in cui hanno investito in titoli di stato greci, le “famiglie straniere”?)
Anche Munchau spiega che la strategia migliore per generare crescita, in queste circostanze, sarebbe una fortissima svalutazione reale. Ma è difficile immaginarla possibile senza un’uscita dalla zona euro. Una volta che il sistema finanziario sia già in caduta libera, il costo relativo di un’uscita dalla moneta unica può essere inferiore al costo di restarvi dentro.
L’elemento di incertezza, secondo Munchau resta la politica nazionale greca. Se i partiti principali non accetteranno le durissime condizioni imposte alloro paese, allora tutte può saltare. Il prezzo per il supporto costante da parte dell’UE e del FMI è in pratica una perdita di sovranità economica da parte della Grecia. Basti pensare che, tra le misure allo studio, c’è anche la riscossione delle tasse elleniche da parte di “soggetti internazionali”, con problemi giuridico mai visti prima da risolvere.
Particolarmente drastico il giudizio del consiglere italiano alla Bce, Lorenzo Bini Smaghi: Una ristrutturazione del debito greco o una uscita della Grecia dall’euro «sarebbe come una sentenza di morte». Che sottolinea anche il rischio di un «forte impatto destabilizzante
E sulle opinioni dei cittadini greci non è bene – per i creditori – farsi troppe illusioni. Le manifestazioni si susseguono. Ieri sono scesi a Syntagma decine di migliaia di “indignados”, apparentemente non organizzati da nessun sindacato o partito.
E sulla gestione della crisi economica del paese, la stragrande maggioranza dei greci non approva l’operato del premier socialista Giorgio Papandreou (del Pasok), ma non è neppure contenta di quanto fa Antonis Samaras, il leader di Nea Dimocratia, il principale partito d’opposizione di centro-destra e responsabile (nell’ultima esperienza di governo) delle falsificazioni di bilancio che hanno infine portato a questa situazione.
Un sondaggio condotto dalla Kapa Research per il settimanale To Vima tis Kyriakis rivela infatti che il 72,2% degli intervistati disapprova l’operato del primo ministro, mentre al 73% non piace affatto quanto fa Samaras. Paradossalmente, il 52,7% considera positivo il fatto che ci sia un controllo sull’economia da parte della «troika» (Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea e Banca Centrale Europea); segno della sfiducia totale nella competenza della classe politica nazionale, ma anche di qualche confusione sui rimedi da trovare. Un 84,1% crede che Papandreou e il suo governo vadano avanti «senza bussola», cambiando ogni giorno il loro piano, contro un 13,2% secondo cui il premier sa bene dove sta andando. Secondo il 61,9% degli intervistati, inoltre, la politica economica del governo decisa d’accordo con la «troika» va in una direzione sbagliata, mentre il 31,9% è convinto del contrario.
In caso si andasse al voto anticipato, per il 44,4% dei greci sarebbe preferibile la formazione di un governo di unità nazionale mentre solo il 9% vedrebbe di buon occhio un governo di coalizione Pasok-Nea Dimocratia. Sempre secondo il sondaggio, la maggioranza dei greci è a favore delle privatizzazioni (tra il 51.5% ed il 78.5% a seconda dell’azienda statale) e della valorizzazione della proprietà immobiliare dello Stato, però l’82,6% non crede alla capacità del governo di realizzare tale piano. Il pessimismo è comunque la nota di fondo che emerge dall’inchiesta: il 65% degli intervistati, infatti, ha risposto «no» alla domanda se ritiene che la Grecia riuscirà a risanare la propria situazione economica nei prossimi anni.
Intanto il governo greco, sotto la pressione di quanti chiedono «meno Stato» come garanzia per l’assegnazione della quinta tranche da 12 miliardi di euro, si appresta a presentare un disegno di legge che riguarderà la fusione o la chiusura definitiva di circa 200 degli oltre 1.800 enti pubblici in rosso, con il conseguente licenziamento di molti dipendenti. La «troika» considera la chiusura di alcune imprese a partecipazione statale una condizione necessaria e, secondo la stampa greca, avrebbe anche fatto il nome di alcune di queste perchè, secondo i rappresentanti dei creditori della Grecia, si tratta di società che «non producono altro che deficit». Il ministro delle Finanze Giorgio Papaconstantinou, riferendosi al problema, ha ammesso che alcune imprese pubbliche dovranno chiudere. «Non è facile – ha detto il ministro parlando alla Tv Mega – chiudere una società pubblica. Però, se è necessario, si farà anche questo. Nessuno chiude una società per motivi simbolici, la chiude per motivi di sostanza». Dal canto suo, il sottosegretario alle Finanze Filippos Sachinidis, intervistato dal quotidiano Ta Nea, ha detto che «obiettivo del governo non sono i licenziamenti. Il governo però ha il dovere di valutare tutti gli enti e le società pubbliche per vedere che cosa offrono ai cittadini».
Grecia sempre più vicina al fallimento, a giudizio dei bookmakers esteri. La quota per il default del Paese ellenico è stata abbassata a 1,25, rispetto al precedente 1,33, dall’operatore britannico Stan James, che ha fatto scendere a 2,50 anche la posta per la Grecia quale prossimo stato al mondo che sarà costretto a dichiarare il fallimento. Resta piuttosto probabile anche l’ipotesi che Atene dia addio alla moneta unica: la Grecia fuori dall’euro vale 3,50, in pole position, davanti al 3,75 del Portogallo.
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