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Fmi. A sorpresa si candida Israele

Al via la corsa a tre per la poltrona alla giuda del Fondo Monetario Internazionale lasciata vuota dalle dimissioni di Dominique Strauss Kahn, travolto dall’ennesimo clamoroso scandalo sessuale.

In pole position per prendere il suo posto, un’altra francese, l’attuale ministro dell’Economia Christine Lagarde, che anche oggi si è detta «molto fiduciosa» sulle sue possibilità di successo. La sua nomina sembrava ormai scontata, avendo ricevuto il benestare di tutti i principali paesi de mondo, compresi i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) insofferenti dell’ennesima nomina europea nonostante loro abbiano ormai un peso economico che si avvicina a grandi passi a quello dell’Occidente stanco e a crescita zero.

Come una provocazione all’ultimo minuto è però arrivata la candidatura del governatore della Banca d’Israele, Stanley Fischer. Il suo nome, s’è aggiunto a quello del messicano, Agustin Carstens, appoggiato da parecchi paesi latino-americani, tra cui il Venezuela, l’Honduras e il Nicaragua. E perfino dalla Spagna.

Fischer è americano d’origine, un chiaro handicap nella sua corsa al Fmi, considerando che per tradizione la direzione del Fondo finora è sempre toccata ad un esponente del Vecchio Continente, mentre la guida della banca Mondiale è affidata ad un americano. Una regola non scritta che però è stata sempre rispettata, sin dalla fondazione dei due istituti finanziari, nel 1944. Ma ancora più grave – è sempre complicato tener distinte le questioni quando la “doppia nazionalità” si sposa alla totale indifferenza per i “conflitti di interesse” – è il fatto che si possa affidare un organo di così alto potere politico-finanziario a un paese che se ne frega completamente della legalità internazionale (non si contano ormai più le risoluzioni Onu che Israele rifiuta persino di prendere in esame). La fama di “killer” che il Fmi si è guadagnato in 60 anni non potrebbe che ricevere una conferma esaltata. Non esaltante.

Ad ogni modo, l’Fmi ha assicurato che deciderà il suo capo al termine di un «processo aperto e trasparente, basato dal merito e non dalla nazionalità», e che il suo obbiettivo è arrivare alla elezione entro il 30 di giugno. Se dovesse farcela Lagarde, sarebbe la prima volta che una donna sia chiamata a dirigere una organizzazione così prestigiosa e rilevante. Al di là di come vada finire, quello che è certo, come spiega Luigi Zingales, professore dell’Università di Chicago, «chiunque guiderà il Fondo non potrà avere un periodo di apprendistato, tantomeno di rodaggio. Dovrà mettersi al lavoro dal primo giorno perchè gli impegni che lo aspettano sono notevoli , e il mondo non ha tempo da perdere».

Appunto. Servirebbero persone sagge, nemmeno sospettabili di lavorare per un singolo paese invece che per la stabilità globale.

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