“Ormai sentono l’odore del sangue”. Non parliamo dei vampiri ma degli investitori finanziari alla ricerca di profitti meramente speculativi e questa volta la “preda” potrebbe essere proprio l’Italia. E’ stata infatti confermata anche oggi l’estrema tensione che si avverte da giorni sul mercato dei titoli di stato italiani. Infatti il differenziale tra i rendimenti del BTP e quelli dei Bund tedeschi ha toccato un nuovo record crescendo di 3 punti base a 228 punti base. Un dato questo che rivela come i cosiddetti mercati finanziari continuino a bocciare la manovra del governo dove i titoli di stato italiani scontano il clima crescente di sfiducia sulle possibilità dell’Italia di “farcela”. In molti ambiti si parla sempre di più del rischio che l’Italia sia il prossimo paese europeo a cadere nel girone infernale dei Piigs.
Il quotidiano economico Financial Times di ieri ha ricordato che “il pesante fardello del debito del paese – il 120% circa del Pil – lascia l’Italia alla mercé dei volubili mercati dei bond”. “Le misure di austerity annunciate mercoledì dal ministro dell’economia Giulio Tremonti avevano come obiettivo quello di rafforzare la credibilità fiscale del paese – continua l’FT – ma le circostanze che hanno accompagnato la creazione della manovra hanno distratto da questo obiettivo”. Il Financial Times fa riferimento esplicito all’introduzione della norma pro-Fininvest e alle polemiche che ne sono seguite e al fatto che “nonostante questo, Berlusconi ha anche detto che (tale disposizione) potrebbe essere reinserita. Questi tentativi di manomissione non sono certo il modo di ottenere la fiducia dei mercati”.
L’attacco questa volta è partito dalle uniche tre agenzie di rating, tutte statunitensi, che hanno drasticamente tagliato il voto sul debito pubblico di diversi paesi europei, mentre continuano a non degnare di uno sguardo la situazione del debito sovrano si Stati Uniti e Gran Bretagna, ormai al livello disastroso di Grecia o Portogallo. La stessa reazione stizzita dei vertici della Ue a queste decisioni dimostra che tale consapevoleza è diffusa. In barba a ogni volgare slogan propagandistico sulla “libertà dei mercati, infatti, sembra chiaro che sia in corso un tentativo “anglosassone” di far scaricare tensioni e paure della finanza internazionale sui paesi più deboli della comunità europea. Cogliendo così due obiettivi: a) ridurre la capacità competitiva di un’area capitalistica integrata di potenza economica anche superiore agli Usa b) rimandare il più possibile l’inevitabile “atterraggio duro” di due economie – Usa e Gb, appunto – che negli ultimi venti anni hanno potuto sopravvivere o addirittura prosperare grazie unicamente alla finanza a debito.
Sarà un caso che questo attacco parta mentre il Congresso Usa non riesce a trovare l’accordo politico sull’innalzamento del “tetto” del debito pubblico? Ricordiamo ai nostri lettori che negli Stati Uniti la spesa pubblica deve stare entro un limite stabilito per legge, altrimenti lo stato federale va tecnicamente in “fallimento”. Ovviamente questo limite viene aggiornato di anno in anno con un’apposita legge. Ma ora i repubblicani hanno l maggioranza al Senato e stanno alzando il prezzo – un po’ irresponsabilmente – per dare il loro ok. Se entro il 2 agosto non dovesse essere trovata “la quadra” – ipotesi di scuola, naturalmente, non una possibilità concreta – gli Usa sarebbero il più grande stato “fallito” della storia. Ovvio che i mercati si stiano innervosendo molto. E quindi meglio “dirottare” altrove queste tensioni succhiasangue.
Riportiamo qui di seguito alcuni articoli o comenti della stampa mainstream che illuminano sui dati di dettaglio o sulle interpretazioni “capitalistiche” di quel che sta accadendo.
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da IlSole24Ore
Usa in bilico senza tetto al debito pubblico
Questa è la situazione delle trattative sull’innalzamento del tetto del debito negli Stati Uniti: i democratici hanno accettato tagli consistenti alla spesa pubblica. Ma, secondo Ezra Klein, editorialista del Washington Post, stanno premendo per intervenire su «una norma che consente alle aziende di stimare le proprie giacenze meno del costo d’acquisto per abbassare il carico fiscale, sulla scappatoia legale che consente ai direttori degli hedge fund di considerare il proprio reddito alla stregua di plusvalenze, pagando il 15 per cento di aliquota, sulla tassazione dei jet privati, sui sussidi per petrolio e gas e sull’introduzione di un limite alle deduzioni sanitarie per i ricchi».
I repubblicani hanno abbandonato le trattative. Vi rendete conto? C’è la possibilità concreta, se non si riuscirà a innalzare il tetto all’indebitamento, che si scateni una nuova crisi finanziaria, e i Repubblicani preferiscono correre questo rischio piuttosto che acconsentire una riduzione degli sgravi fiscali sugli aerei aziendali. Di fronte a un atteggiamento del genere secondo me il presidente Obama non può e non deve cedere. Farlo equivarrebbe a dire ai repubblicani che possono ottenere tutto quello che lo vogliono, anche le richieste più spropositate; farlo equivarrebbe a condannarsi a un ricatto infinito.
Prima o poi va tracciata una linea oltre la quale non si deve arretrare; sarebbe stato meglio farlo nell’autunno scorso, ma cedere ora significherebbe di fatto la fine della presidenza.
Previsioni economiche
Tre e mezza su quattro, un momento di autoriflessione: durante questa recessione economica è andato tutto come pensavo che sarebbe andato, oppure no? Fin dai primi giorni ho sostenuto quattro tesi principali, in contrasto con tantissimi altri commentatori. Queste erano le tesi:
eLa recessione sarebbe durata molto a lungo, con una fase protratta di ripresa senza occupazione.
rFinché non fossimo usciti dalla trappola della liquidità, i tassi di interesse sarebbero rimasti molto bassi, anche in presenza di un forte disavanzo di bilancio.
tInoltre, sempre finché non fossimo usciti dalla trappola della liquidità, forti incrementi della base monetaria non avrebbero inciso affatto – come nel caso del Giappone – sull’inflazione o sul prodotto interno lordo nominale.
uUna disoccupazione alta prolungata avrebbe tenuto basso il livello dei salari e dell’inflazione, spingendoci molto probabilmente verso una deflazione alla giapponese.
Per quanto riguarda le prime tre tesi, mi sembra di averci azzeccato in pieno. Per quanto riguarda l’ultima, i salari nominali si sono dimostrati molto più resistenti di quello che mi aspettavo. Non avevo pensato, in effetti, che conosciamo bene il comportamento dei risparmi, degli investimenti e della trappola della liquidità in condizioni di disoccupazione alta, ma non il comportamento dei salari e dei prezzi.
Forse avremo una deflazione alla giapponese, ma è evidente che non succederà ancora per un bel po’.
Rispetto a chi prevedeva per il 2010 una ripresa rapida e robusta, tassi di interesse in forte crescita e/o iperinflazione, però, mi sembra di non essermela cavata troppo male.
Diciamo che ne ho azzeccate tre e mezza su quattro.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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FRANCESCO BEI – la Repubblica | 09 Luglio 2011
Giulio Tremonti in trincea. In queste ore di attacco della speculazione all´Italia, con i titoli bancari che precipitano e il differenziale tra Btp e Bund che tocca il record di 248 punti base, il ministro dell´Economia avverte il vuoto intorno a sé. E reagisce con rabbia.
In una giornata trascorsa sull´otto volante delle borse, «a fare il cambista per la Grecia», come scherza con i collaboratori, è dalle retrovie italiane che arriva il colpo più forte: «Ho scoperto stamattina, leggendo l´intervista di Claudio Tito a Berlusconi, di essere sotto attacco non solo degli speculatori ma anche della presidenza del Consiglio. Forse devo stare attento quando vado a palazzo Chigi».
Il ministro trascorre la mattinata da solo nel suo ufficio a via XX Settembre, mentre Roma si svuota lentamente. In maniche di camicia e bretelle, una tazzina di caffè e un bicchiere d´acqua sulla scrivania, scruta con preoccupazione gli indici che precipitano sul computer. Ma, appunto, sul tavolo c´è anche aperta l´intervista di Berlusconi a Repubblica, con quelle parole sferzanti sul ministro dell´Economia. Tremonti alza il telefono, si fa chiamare i maggiorenti del Pdl, conversa con alcuni ministri. S´informa, vuole capire il significato «interno» ed «esterno» dell´intervista. Ad ogni interlocutore ripete come un mantra la sua linea: «Attenti. Se cado io cade l´Italia, se cade l´Italia, un paese troppo grande per essere salvato, cade l´euro. È una catena».
Per quanto lo riguarda, non ha alcuna intenzione di dimettersi. Non se ne andrà spontaneamente come spera qualcuno nel Pdl. «Io – spiega al telefono ai suoi colleghi – ho preso un impegno per portare a casa la manovra e, almeno fino a settembre, non posso andarmene. Sono io l´unico garante verso l´Europa». Un concetto che il ministro ripeterà anche a palazzo Chigi direttamente a Silvio Berlusconi, nell´incontro (sembra propiziato anche da Giorgio Napolitano, preoccupato per le fibrillazioni nel governo) a cui partecipa anche Gianni Letta. Nel vertice a palazzo Chigi, durato poco meno di un´ora, viene siglata tra i due duellanti una sorta di tregua. Un armistizio che non dovrà durare solo qualche giorno, ma estendersi almeno fino all´approvazione definitiva della manovra. Per mettere al riparo l´Italia dalla speculazione, come insistentemente chiede il capo dello Stato.
Il fatto è che Tremonti, a differenza che nel passato, non deve subire solo l´attacco del centrodestra e del Cavaliere. In gioco, stavolta, c´è la sua stessa reputazione politica, il suo onore. Il sospetto di essersi fatto pagare la casa dal collaboratore Marco Milanese, con soldi provenienti da illeciti, è oggetto di approfondimento su tutti i giornali. E pesa. L´interessato protesta con tutti la sua innocenza. «Sono al centro di questo doppio attacco, politico e finanziario. Ma io con questa storia di Milanese non c´entro niente, oltretutto questa persona non aveva incarichi nel ministero. Per quanto ne sapessi io, era una persona pulita». La presa di distanze dal suo ex braccio destro è netta, ma non basta. Resta la questione dell´appartamento in centro. «Ero soltanto un ospite a casa sua, in una casa che a Milanese serviva per le sue attività sociali e per ricevere i suoi famigliari. Certo, ho capito di aver fatto comunque una cazzata e infatti me ne sono andato via dalla casa, l´ho detto subito». Un appartamento da 8500 euro al mese. Il ministro insiste: «Farò chiarezza su questo punto, ma comunque non accetto lezioni. Io faccio politica da un secolo e non sono mai stato sfiorato da un sospetto, vorrà dire qualcosa? Sono abbastanza ricco da non dover chiedere niente a nessuno, tanto meno una casa. Io do in beneficenza, d´accordo con mia moglie, più di quanto riceva dallo Stato e dalla politica. Non mi faccio pagare la casa».
Tremonti ripensa a quanto sta accadendo in queste ore, al precipitare della situazione, all´esplodere dello scandalo Milanese. Si è convinto che ancora non sia tutto chiaro. «C´è una strategia politica, non giudiziaria, per colpirmi. Non è una cosa della magistratura». Una «strategia» molto pericolosa, a suo dire, per l´Italia. Per dimostrare quanto sia fondamentale che rimanga al suo posto, che non venga trascinato nella polemica, il ministro ricorda al suo staff quanto accaduto due giorni fa, quando un temporale sulla Capitale impedì l´atterraggio e Tremonti fu costretto a rinviare la conferenza stampa di presentazione della Finanziaria. «I mercati pensarono che ci fosse un problema politico e reagirono immediatamente». Ecco, l´Italia corre ancora su un filo sottilissimo. Questa è la ragione del pranzo a palazzo Chigi, della tregua siglata con Berlusconi. «Ma persino dopo il nostro incontro, dopo il comunicato del presidente del Consiglio, si sono diffuse voci di mie dimissioni. Voci giustificate, a dire il vero, da quell´intervista a Repubblica dove sembrava che il vero problema del governo fossi io. Così la speculazione è ripartita contro le banche italiane fino alla chiusura delle borse».
Invece Tremonti ha tutta l´intenzione di non schiodare dal ministero dell´Economia, nonostante tutte le manovre «interne». «Resto al mio posto, ci mancherebbe altro. Il pranzo con Berlusconi – riferisce al suo staff – è andato bene perché finalmente ha capito che, in questo momento, io sono l´unico garante della stabilità finanziaria del paese e degli impegni sottoscritti con l´Europa». Insomma, nulla da fare per i suoi nemici del governo. Almeno fino alla fine dell´estate, fino all´approvazione della manovra, Tremonti si sente «obbligato» a restare in trincea. Ma l´ambizione dell´uomo non conosce limiti. Così, allentandosi la cravatta, si concede l´unica battuta di una giornata nera: «Temo, in realtà, che almeno io dovrò restare anche dopo il sì alla finanziaria». «Almeno io»…
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Mercati all’attacco di banche e titoli di stato italiani
a cura di Andrea Franceschi
Chiusura pesante per Piazza Affari con l’indice FTSE MIB a -3,47% e il FTSE IT All Share a -3,29 per cento. Colpiti in particolare i titoli bancari: su tutti Unicredit che aggiunge ai tonfi dei giorni scorsi un altro -7,5 per cento. Meno marcato il ribasso delle altre piazze azionarie europee con il DAX 30 di Francoforte a -0,89%, il CAC 40 di Parigi a -1,67% e il FT-SE 100 di Londra a -1,06 per cento. Fattore che, unitamente al fatto che gli spread tra i BTp a 10 anni il corrispettivo Bund tedesco sono balzati al nuovo massimo di 210 punti, spinge molti investitori a ipotizzare che l’Italia sia finita nel mirino della speculazione internazionale.
La situazione ancora critica dei debiti sovrani nell’Eurozona e i dati negativi sul mercato del lavoro negli Usa hanno zavorrato New York. Wall Street ha chiuso in calo con il Dow Jones che ha perso lo 0,49% a quota
12657,20; il Nasdaq ha ceduto lo 0,45% a 2859,81 punti.
Banche sotto pressione a Piazza Affari
In una giornata di tensione sul debito italiano (lo spread Bund-BtP ha toccato un nuovo massimo) le vendite hanno colpito soprattutto le banche. Sui mercati influiscono le opinioni di alcuni analisti che ritengono il nostro sistema creditizio debole e a rischio bocciatura ai prossimi stress test. In giornata è peraltro uscita la notizia che l’Ue intende imporre una ricapitalizzazione forzata agli istituti di credito che non li passeranno. Unicredit, l’unica tra le grandi banche a non aver fatto l’aumento di capitale è, di conseguenza, la più bersagliata. E questo nonostante le rassicurazioni del governatore di Bankitalia, e presidente in pectore della Bce Mario Draghi che si è detto sicuro che le banche italiane supereranno l’esame. Forti perdite anche per Banco Popolare (-6,46%), Azimut (-5,6%) e Banca Popolare di Milano (-6,12%). Forti perdite anche per Intesa Sanpaolo (-4,56%).
Dati negativi dal mercato del lavoro negli Usa
Ad aumentare il pessimismo si aggiunge il dato negativo sul mercato del lavoro negli Stati Uniti. A giugno il numero degli occupati infatti è salito solo di 18 mila unità, contro un atteso incremento di 90 mila unità. Rivisti al ribasso anche i dati di maggio ed aprile, che crescono rispettivamente di 25 mila e 217 mila unità, contro le 54 mila e le 221 mila unità inizialmente stimate. Il tasso di disoccupazione a giugno (calcolato su una diversa base statistica) è salito al 9,2% a giugno, contro il 9,1% di maggio. Gli analisti si aspettavano che restasse fermo al 9,1%.
Debiti sovrani sotto pressione
Sul fronte dei cambi, all’indomani della decisione della Bce di rialzare i tassi di interesse all’1,5 per cento, l’euro è debole. Le sue quotazioni sono scese in mattinata sotto quota 1,43 dollari per poi risalire dopo il dato sulla disoccupazione americana. Resta tesa la situazione dei debiti sovrani. Il rendimento del Btp decennale è salito al 5,24% e di conseguenza lo spread con il Bund si è ampliato ai massimi dall’introduzione dell’euro. Il differenziale di rendimento (termometro della stabilità di un paese) si è poi riportato attorno ai 227,5 punti. La paura di un contagio della crisi del debito nell’eurozona continua a tenere sotto pressione anche i titoli di Stato a breve dell’Italia con il tasso del biennale salito di 10 punti base al 3,42%. Per i bond a 2 anni della Grecia si registra intanto un nuovo record con il rendimento balzato di oltre 160 punti base al 30,40% per riportarsi poco sopra il 29%. In tensione anche i titoli di Stato della Spagna: il tasso del bond decennale è salito di 6 punti base al 5,67% e lo spread con il bund si è ampliato oltre 271 punti.
Mercati asiatici
La Borsa di Tokyo ha chiuso in rialzo dello 0,7%, ai massimi da 4 mesi e cioè al top dal terremoto dell’11 marzo. L’indice NIKKEI 225 ha terminato la sua corsa a 10.207,91 punti, grazie al raly dei titoli delle costruzioni.
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Auguri a Christine Lagarde, e che sia poco prudente!
di Paul Krugman
Bene, dal momento che Christine Lagarde è stata scelta per guidare il Fondo monetario internazionale le faccio i miei migliori auguri. Ma il problema è che non sappiamo assolutamente se riuscirà a svolgere bene il suo incarico.
Intendiamoci, non è una questione di credenziali: oltre a essere intelligente, la Lagarde viene descritta all’unanimità come una persona seria, responsabile e giudiziosa; ma è proprio questo che mi preoccupa.
Perché viviamo in un’epoca in cui, almeno per il momento, ciò che è convenzionalmente considerato prudenza è una follia e ciò che è convenzionalmente considerato virtù è un vizio. Le cose che le Persone Tanto Coscienziose hanno in mente di fare (abbattere il deficit da subito, «normalizzare» i tassi di interesse, preoccuparsi dell’inflazione) sono proprio il genere di cose che potrebbero trasformare questa crisi in atto dal 2008 in una stagnazione lunga decenni.
Sotto l’egida di Dominique Strauss-Kahn, il Fmi mostrava una posizione più aperta e meno dogmatica rispetto alle altre grandi organizzazioni internazionali: niente di trascendentale, ma in ogni caso molto meglio dei pazzi alla guida dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico o della Banca dei regolamenti internazionali, che sembrano voler cercare a tutti i costi motivazioni per inasprire la politica monetaria a dispetto del persistere della crisi.
Il problema è questo: sotto il comando della Lagarde il Fmi diventerà più prudente? Per il bene dell’economia mondiale, spero di no.
Fischer respinto
Un commento rapido e tardivo sulla decisione del Fmi di escludere dalla corsa Stan Fischer, il governatore della Banca d’Israele, perché over 65: che ipocrisia.
Argomenti per respingere la candidatura di Fischer ce ne sono, ma era di questi che si sarebbe dovuto discutere. È vero che farlo correre per la massima carica del Fondo avrebbe voluto dire cambiare le regole, ma siamo nel bel mezzo di una crisi e abbiamo un disperato bisogno di una guida adeguata: se sono ricorsi a cavilli tecnici per restringere la rosa dei concorrenti, significa che i principali candidati non erano in possesso di credenziali sufficienti.
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Stati Uniti, creati solo 18mila posti di lavoro a giugno. Il tasso di disoccupazione sale al 9,2%
In giugno negli Stati Uniti sono stati creati 18mila posti di lavoro. Il dato reso noto dal dipartimento del Lavoro é decisamente peggiore delle attese degli analisti, che avevano previsto la creazione di 125mila impieghi. Rivisti al ribasso anche i dati di aprile e maggio, complessivamente di 44mila unità. In giugno il tasso di disoccupazione é salito a sorpresa al 9,2% dal 9,1% di maggio e contro attese per una lettura invariata. Si tratta del livello massimo dal dicembre dello scorso anno.
Oltre 14 milioni di americani cercano lavoro senza trovarlo
Il tasso di disoccupazione indica che ci sono 14,1 milioni di americani che cercano lavoro senza riuscire a trovarlo. Nel dettaglio, in giugno il settore privato ha creato 57mila posti di lavoro, dato in discesa dai 73mila di maggio. Poco movimento nel settore manifatturiero, dove gli impieghi aggiunti sono stati soltanto 6mila, mentre nei servizi professionali e alle imprese sono stati creati 12mila posti. Quanto ai salari orari dei lavoratori statunitensi, il dato di giugno é sceso di un centesimo di dollaro a 22,99. Su base annua, il dato mostra un incremento dell’1,9%. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, commenterà i dati sul mercato del lavoro alle 16.35 ora italiana (le 10.35 negli Stati Uniti).
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da Repubblica
Il fuoco amico che brucia l’Italia di MASSIMO GIANNININON È la “sindrome ateniese”, che spiega questo venerdì nero dei mercati. È “l’effetto Milanese”: un’inchiesta che lambisce Tremonti, un premier che vuole spingerlo alle dimissioni, un governo folle dove impera il tutti contro tutti. Quello di ieri è stato un vero e proprio attacco all’Italia.
Un attacco speculativo, certo. Ma una volta tanto logico e giustificato. E per fortuna, alla fine, anche contenuto nei suoi possibili esiti. In un’Eurozona destabilizzata dal debito sovrano della Grecia e impaurita dallo spettro del “contagio”, quale altro Paese può permettersi il lusso suicida di offrire al cinico giudizio dei mercati un simile spettacolo di delegittimazione istituzionale e di disgregazione politica? Il “caso Italia” non è mai apparso tanto grave, ai broker e ai trader di tutto il mondo, come in queste ore.
Gli analisti finanziari attribuiscono il nuovo record storico nel differenziale tra i tassi di interesse dei nostri Btp e quelli dei bund tedeschi in minima parte alla “patrimoniale mascherata” contenuta nella manovra, e in massima parte alla “fortissima instabilità politica”.
Gli operatori di Borsa attribuiscono il crollo dei titoli delle banche italiane non alla sotto-capitalizzazione del sistema, ma alla sovra-esposizione del rischio Paese. I nostri istituti di credito hanno bisogno di un ulteriore rafforzamento patrimoniale, come la Banca d’Italia ripete da tempo.
Ma tra ottobre 2010 e aprile di quest’anno hanno
già varato aumenti di capitale per 11 miliardi di euro. La situazione della liquidità è rimasta nel complesso equilibrata. La quota di titoli del debito sovrano dei “Pigs” è inferiore a quella degli istituti tedeschi o francesi. Sul piano dei cosiddetti “fondamentali”, non c’è una ragione “tecnica” che possa spiegare il crollo dei titoli delle banche italiane. E dunque, se il crollo c’è stato, la ragione è di nuovo tutta “politica”.
C’è un governo che non esiste più da mesi. C’è un presidente del Consiglio che, in un’intervista a “Repubblica”, attacca e sconfessa pubblicamente il suo ministro del Tesoro. C’è un ministro del Tesoro che dà pubblicamente del “cretino” a un suo collega. Che viene accusato di abitare una casa non sua, con un affitto pagato dal suo ex braccio destro di cui una Procura chiede l’arresto immediato per corruzione. Che racconta ai magistrati di una “guerra per bande” dentro la Guardia di Finanza, una delle quali “riporta” direttamente al premier. Tutto questo succede nei giorni in cui viene presentata una manovra triennale da 40 miliardi di euro, contro la quale mugugnano i ministri rivali, erigono le barricate gli enti locali, si scatenano le camice verdi di Bossi.
La pioggia di vendite sui titoli di Stato e su quelli delle banche certifica l’insostenibilità del quadro. In Italia c’è un manipolo di irresponsabili che danza sotto il vulcano. E il vulcano sta già cominciando ad esplodere. Se ieri abbiamo assistito solo alle “prove generali di bancarotta”, lo si deve solo al solido presidio delle uniche istituzioni che ancora reggono. Il presidente della Repubblica Napolitano, che è stato costretto a richiamare Palazzo Chigi al senso di responsabilità e che da giorni ribadisce in tutte le sedi e con tutti gli interlocutori “l’imperativo categorico” di mettere in sicurezza il bilancio dello Stato e di rispettare gli impegni sottoscritti con la Ue.
Il governatore della Banca d’Italia Draghi, che con un comunicato del tutto irrituale è stato costretto a scendere in campo per dire (forse persino al di là delle sue convinzioni) che la manovra è “un passo importante per il consolidamento dei conti pubblici”, e che le banche italiane sono solide e “supereranno gli stress test in sede europea”.
Questo “bastione istituzionale”, eretto tra Quirinale e Palazzo Koch, ha evitato il peggio. E alla fine ha convinto anche Berlusconi a siglare l’ennesima tregua armata con Tremonti, nel pranzo convocato in tutta fretta a Palazzo Grazioli. Ma siamo di nuovo alla somma di due debolezze. A dispetto della nota congiunta, che conferma la necessità di varare la manovra “entro l’estate” e l’irrinunciabilità del “pareggio di bilancio nel 2014”, il presidente del Consiglio non è più in grado di garantire nulla, né in patria né fuori.
E al ministro del Tesoro, accerchiato ormai solo da nemici, è rimasta un’unica “polizza sulla vita”: quella dei mercati, dietro ai quali si ripara per dimostrare che “se salta lui salta l’Italia, e quindi salta l’euro”. Un bel paradosso, per un politico che proprio contro il “mercatismo” ha costruito la sua filosofia dirigista e la sua ideologia colbertista. Senza contare che Tremonti ha ora un dovere supplementare: deve spiegare con assoluta chiarezza e trasparenza la vicenda del suo appartamento, ben al di là di quanto non abbia già fatto con lo scarno comunicato di due sere fa.
Questo governo è appeso alla manovra, buona o cattiva che sia. Resisterà, com’è giusto, fino alla sua approvazione in Parlamento. Un minuto dopo se ne deve andare. Il presidente del Consiglio potrà continuare a berciare inutilmente contro le odiate “locuste della speculazione”, come lui stesso le ha definite in Parlamento due settimane fa. Ma sarà solo uno dei suoi ultimi, goffi diversivi.
Non basterà a nascondere i danni enormi che le “cavallette della maggioranza” hanno causato e stanno causando a questo povero Paese. Il “fuoco amico” tra i Palazzi romani ha bruciato in Piazza Affari oltre 20 miliardi. I 248 punti base di spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi valgono a regime oltre 35 miliardi di maggiori interessi sul debito. Anche questi, nell’era berlusconiana, sono “costi della politica”.
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L’Italia paga il conto alla speculazione
di ETTORE LIVINI
LA TENSIONE sui mercati finanziari europei spinge al nuovo record storico di 245 punti base il differenziale di rendimento (il cosiddetto spread) tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi. Il tasso d’interesse sui Btp decennali è salito questa mattina fino al 5,36% contro il 2,91% dei bund a dieci anni. I timori di contagio della crisi del debito europeo stanno mettendo sotto pressione tutti i paesi periferici dell’area Ue: il rendimento dei decennali spagnoli è volato al 5,67%, allargando a 271 punti la forbice con quelli tedeschi. In difficoltà anche i titoli di stato greci che dopo qualche giorno di respiro grazie all’ok del piano di aiuti internazionali sono tornati a schizzare al rialzo con i bond a due anni che hanno sfondato in mattinata la soglia psicologica del 30%.
L’Italia è oggi il mercato che paga il conto più salato alla speculazione: lo spread con i Bund si è allargato di 20 centesimi, il doppio rispetto a Madrid, toccando il livello massimo dall’introduzione dell’euro mentre Piazza Affari è la maglia nera in Europa con una flessione vicina al 2%. La manovra finanziaria non è bastata evidentemente a tranquillizzare gli operatori e il dato negativo sulla produzione industriale tricolore – scesa dello 0,6% a maggio, molto più delle stime – ha messo ulteriore pressione sui Btp arrivati al quinto rialzo in cinque giorni. In Borsa soffrono in particolare i titoli finanziari con molte banche che segnano cali tra il 3 e il 4%.
A far fibrillare di nuovo i listini continentali è il timore che il maxi piano di salvataggio per la Grecia non sia sufficiente ad evitare il crac di Atene. L’Eurogruppo di lunedì prossimo dovrebbe mettere a punto i dettagli dell’intervento cooordinato con Bce e Fondo monetario. Ma molte nubi si stanno addensando sulla partecipazione “volontaria” delle banche creditrici al pacchetto di aiuti. E gli operatori vendono così a piene mani i titoli di stato dei paesi più fragili per parcheggiare i loro capitali in investimenti solidi come i Bund, allargando così gli spread tra le obbligazioni europee.
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