Quei guastafeste che temevano le bolle
di Mario Margiocco
L’appuntamento di fine estate dei banchieri centrali a Jackson Hole, nel Wyoming, ha visto negli ultimi dieci anni più di una sfida fra chi diceva che tutto andava bene e chi diceva che si stava solo aggiungendo dinamite e il botto finale sarebbe stato memorabile.
L’intervento più atteso era, venerdì, quello del governatore della Federal Reserve americana, Ben Bernanke, L’anno scorso fu proprio a Jackson Hole, convegno annuale di banchieri centrali, economisti di fama e uomini di finanza organizzato dal 1978 dalla Federal Reserve di Kansas City, che Bernanke lasciò trapelare la scelta di procedere al Qe2, una seconda ondata di “quantitative easing” di acquisto cioè di titoli del Tesoro e altri titoli pubblici da parte della banca centrale creando di fatto moneta. Scattato a gennaio 2011, il Qe2 si è concluso a giugno. Quest’anno Bernanke è stato prodigo di considerazioni generali, ma parco di annunci.
Ma anche se gli interventi di Bernanke, di Jean-Claude Trichet della Bce e di altri governatori restano centrali, sono gli interventi collaterali e le sessioni di lavoro che forniscono spunti interessanti, e rivelatori. Alcune schermaglie del passato, in punta di fioretto, restano memorabili.
Nel 2003 il tema ufficiale era “Monetary policy and Uncertainty: adapting to a Changing Economy” e a guastare la festa furono il capo economista della Banca dei Regolamenti di Basilea (Bri), il canadese William White, e il suo vice, l’italiano Claudio Borio. Come già da anni, la tendenza dominante soprattutto fra gli americani – ma non solo – era di plauso alle politiche della Fed di Alan Greenspan, “il maestro”. Ma la Bri, che seguiva piuttosto i precetti di Hyman P. Minsky, convinto che le bolle speculative sono una costante, cantò fuori dal coro. «Si spera – disse White – che non sia necessario un disordinato smaltimento degli eccessi attuali per dimostrare oltre ogni dubbio che ci siamo davvero trovati a percorrere un tracciato pericoloso». Lo smaltimento è ancora in pieno corso. Ma a Jackson Hole White e Borio vennero contraddetti a più voci. Chiedevano di porre un freno alla bolla immobiliare, in sostanza. Lo stresso Bernanke, il discussant del paper White-Borio, Mark Gertler della New York University e molto amico di Bernanke, Frederick Mishkin futuro membro del board della Fed dissero che non c’era nessuna bolla.
Due anni dopo doveva essere l’apoteosi di Greenspan, vicino alla pensione, il tema ufficiale era “The Greenspan Era: Lessons for the Future” e a rovinare la festa fu l’economista indiano Raghuram Rajan, allora capo economista dell’Fmi e oggi alla Booth School of Business dell’Università di Chicago. Il padrone di casa, Tom Hoenig presidente della Fed di Kansas City, aveva posto a Rajan un quesito preciso: lo sviluppo finanziario ha forse reso i mercati più rischiosi? Sì, rispose Rajan, perché una crisi dei derivati può raggelare il mercato interbancario, in una situazione dove nessuno si fida di nessuno. Accadeva tre anni dopo. Ma a Jackson Hole, fra gli altri, fu Lawrence Summers, allora rettore di Harvard, a definire l’analisi di Rajan «elementare, un po’ miope e largamente fuori rotta». La finanza innovativa aveva il turbo, disse Summers. Banalità del genere non gli impediranno di diventare, tre anni dopo, stratega-principe dell’economia con Obama.
C’è poi Tom Hoenig, che chiude quest’anno con Jackson Hole 40 anni da banchiere centrale. Il primo ottobre va in pensione, e da tre anni spara a zero contro la politica monetaria, vota contro quando, nel sistema a turni fra le Fed periferiche è fra quanti decidono e non discutono soltanto (aveva il diritto di voto nel 2010), e soprattutto non approva affatto l’assetto bancario uscito dalla riforma Dood-Frank del 2010. Le banche, se hanno grande libertà d’azione, devono poter fallire, sostiene. La riforma, che due giorni fa Bernanke al contrario ha elogiato, crea invece un gruppo di grandi banche che non possono fallire e verranno sempre salvate. Questo è la negazione del capitalismo, dice a chiare lettere Hoenig. Chissà se oggi concludendo i lavori, pur nelle dovute forme da banchiere centrale, qualche messaggio d’addio vorrà lasciarlo.
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