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Crisi delle piccole imprese. Lavorare senza credito

Lavorare senza credito
Francesco Piccioni

Le conferme arrivano da tutte le parti, Ma una cosa è percepire un «sentiment» negativo, fatto delle voci di decine di «privati» improvvisamente davanti alla richiesta di «rientro» – magari per pochi euro – da parte della banca. Un’altra è leggere i dati ufficiali. Lo ha fatto la Cgia di Mestre (associazione degli artigiani), che si è studiata l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia traendone un’elaborazione per niente equivocabile.
L’ultimo trimestre del 2011, quello segnato pesantemente dalle oscillazioni paurose dello spread, ha visto diminuire i presti alle imprese dell’1,5%. Nel solo mese di dicembre – con il governo Monti già nella pienezza dei poteri – la percentuale negativa è stata del 2,2. Il commento del segretario dell’associazione, Giuseppe Bortolussi, è quasi sconsolato: «questi dati confermano che ci troviamo di fronte ad una vera e propria stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, collassi».
Non che durante l’intero anno l’ammontare totale del credito erogato dalle banche sia diminuito – quasi 1.000 miliardi di euro, il 3% in più dell’anno precedente – ma sempre meno dell’inflazione. Il dato, dunque, sarebbe stato solo moderatamente negativo se non fosse intervenuta la «caduta» del quarto trimestre; che lascia presagire un inizio di 2012 anche peggiore.
La massa dei prestiti, però, da sola non riesce a descrivere le difficoltà dei «richiedenti». Con il volo dello spread sui titoli di stato, infatti, le banche hanno applicato alla loro clientela aumenti dei tassi di interesse che in alcuni casi sfiorano quello ufficialmente considerato di usura. La sola maggiorazione degli interessi ha pesato sulle imprese per 3,7 miliardi. Un dato che viene invece dalle famiglie – i mutui concessi sono diminuiti del 44% (ma i prezzi degli immobili, incredibilmente, «resiste» – conferma che agli istituti di credito è venuto il «braccino corto». A questo punto, come dice anche Paolo Ferrero, segretario del Prc, l’unico modo di garantire credito diventa quello di «nazionalizzare le grandi banche».
Fare economia reale, in queste condizioni, diventa davvero difficile. Anche perché le stesse imprese, manifatturiere o dei servizi, vedono aumentare i casi di insolvenza: +36%, per un totale di 80,6 miliardi di crediti diventati inesigibili. Si crea insomma un effetto boomerang, per cui le aziende che non ricevono più credito diventano insolventi, confermando così nelle banche la convinzione che sia meglio prestare di meno. «Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare una certa affidabilità». Il classico cane che si morde la coda.
Né lascia prevedere grandi cambiamenti a breve il susseguirsi di record per quanto riguarda i depositi di capitale delle banche presso la Bce. Non importa, sembra, che questa offra interessi praticamente zero: le banche si sentono più sicure così che non prestandosi denaro vicendevolmente.
Poi si legge su (altri) giornali che governo e Confindustria pensano di far «ripartire l’Italia» abolendo l’art. 18 e comprimendo i salari. E la Grecia sembra avvicinarsi di molto…

da “il manifesto”

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