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La Bce vede nerissimo

L’idea è che che non ci siano molte idee condivise tra i big europei. Nemmeno se il passaggio che ormai tutti chiedono a gran voce – basta guardare Il Sole 24 Ore di ieri – va in direzione di una stretta rapida dell’integrazione continentale, in modo da offrire alla «speculazione internazionale» una muraglia passabilmente compatta invece dell’attuale congrega di litigiosi condomini.

I tre punti illustrati dall’organo di Confindustria – da approvare nel prossimo vertice del 29 giugno – hanno una loro logica: garanzia unica per i depositi bancari europei, accesso diretto delle banche al «fondo salva-stati», unificazione dei debiti pubblici dei vari paesi (ma distinguendo il carico di interessi sul debito stesso, in modo da mantenere un controllo centralizzato sui singoli governi). I primi due non richiedono «tecnicamente» nemmeno un tempo lunghissimo per essere varati (sono decisioni politiche, in primo luogo). Nell’insieme costituiscono però un passo avanti deciso verso la «vera Unione», anche se molto manca per arrivarci (una vera Costituzione, organismi di governo elettivi, ecc).
La via tecnocratica, fin qui, ha prodotto solo disastri. Ovvero meccanismi algidi da ammirare, ma tremendamente inefficaci nella pratica. Tutte le operazioni di «salvataggio», infatti, portano il marchio della corsa all’emergenza, senza nemmeno rifletterci troppo sopra. L’ultimo esempio riguarda le banche spagnole: 100 miliardi di euro che arriveranno da dove? Dalle tasche dei contribuenti, in ultima istanza. Ma attraverso quale strumento? La Ue non ha chiarito se avverrà tramite il «vecchio» fondo Efsf o l’ormai prossimo Esm. Nel primo caso, di fronte a un rischio di fallimento del paese debitore, tutti i creditori possono vantare gli stessi diritti e subire l’identica svalutazione. Nel caso dell’Esm, invece, ci saranno creditori «privilegiati» che saranno rimborsati per primi, mentre gli «junior» dovranno accettare che resti qualcosa sul piatto.
Cosa cambia? In quest’ultimo caso, i titoli di stato spagnoli sono molto più rischiosi e quindi meno appetibili. Lo spread, implacabilmente, sale. Bella situazione. In pratica, ben poco. I soldi che fuggono dai mercati principali, alla lunga, tornano a casa.
La prova? La sortita della Bce, ieri in tarda serata, che metteva in rilievo tre rischi sottovaluti da tutti: il «potenziale aggravamento della crisi sui debiti pubblici dell’area euro»; una «ridotta profittabilità delle banche a causa della crescita economica debole» e infine un «deleveraging» (un rinunciare all’«effetto leva» sui titoli di stato) più rapido di quel che ci si aspettava.
Intanto le agenzie di rating hanno fatto il loro sporco mestiere: una «uscita disordinata» dalla zona euro potrebbe introdurre downgrading per le aree fin qui non considerate al centro della speculazione.

 

da “il manifesto”

 

Lo scambio obbligato

di Adriana Cerretelli

La speculazione non molla la presa. Continua l’allarme rosso per l’euro in balia dei mercati che, dopo la Spagna, hanno messo nel mirino l’Italia e forse domani anche la Francia.

Chi si illudeva che l’intervento tempestivo, e per una volta preventivo, dell’Eurogruppo nel weekend a sostegno delle banche spagnole avrebbe regalato, se non la quiete, almeno qualche giorno di tregua, si è sbagliato di grosso.
Evidentemente i mercati sono stufi dei pompieri riluttanti. Si lasciano convincere sempre meno dalla politica europea delle mezze misure, del gradualismo solidale che qua e là tappa i buchi ma sempre con la manina corta. E stando regolarmente un passo o due indietro rispetto agli interventi radicali, risolutivi. In breve, inattaccabili perché davvero credibili.

Chi è disposto in Europa a morire per l’euro? È questa la domanda implicita, provocatoria e sempre più incalzante con la quale l’arroganza speculativa tiene in scacco i Governi e il destino di un continente dal ventre molle, inflaccidito da divisioni, sfiducia reciproca, astinenza dal rischio per sé e per l’altro, il vicino difficile e magari anche scomodo.
L’interrogativo continua a restare senza risposta.
Così il contagio impazza e rischia di travolgere la moneta unica. Dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, è il turno dell’Italia. Insieme all’intermezzo del probabile quinto salvataggio della serie: nei prossimi giorni anche Cipro chiederà aiuti per le sue banche.
Eppure il segnale lanciato nel weekend dall’Eurogruppo sembrava per una volta incoraggiante, il principio di un possibile effetto-domino virtuoso. Pur con tutte le incertezze e gli ostacoli ancora da superare, la decisione di destinare fino a 100 miliardi al salvataggio delle banche spagnole, cioè più del doppio dei 40 ritenuti necessari dall’Fmi, appariva per una volta un gesto lucido e responsabile destinato, almeno nelle intenzioni, a spezzare il legame perverso tra la crisi del debito sovrano e la crisi bancaria.

Un primo passo verso l’Unione bancaria invocata da Mario Draghi come dalla Commissione europea. Un messaggio concreto di aiuto alla Spagna e a chiunque si ritrovi nella trappola del credito malato.
Un guizzo di flessibilità politica nell’interpretazione delle regole europee, manifestato volutamente alla vigilia delle elezioni di domenica ad Atene per convincere i greci a votare per l’euro e i sacrifici in nome di un futuro migliore invece che per la deriva verso l’ignoto.
Un segnale per dire anche che rigore e riforme non sono in discussione perché necessari ma non saranno più una strada a senso unico da percorrere nel paesaggio desolato della recessione e della disoccupazione crescente.

Che cosa è andato storto?
I mercati ci hanno preso gusto a lucrare sulle debolezze strutturali dell’euro che sono costituite non tanto dalle fragilità diffuse delle economie dei suoi Paesi mediterranei, comunque stemperabili e guaribili nel tempo, quanto dai rischi per la coesione del club, la cui tenuta resta ancora tutta da dimostrare.
C’è un solo Paese in Europa in grado di garantire la coesione, è la Germania di Angela Merkel. Finché i falchi del suo Governo continueranno a sognare l’euro del nord ripulito dalla zavorra mediterranea e finché a Bruxelles si lasceranno trapelare scenari di fuoriuscita della Grecia conditi con il via a restrizioni dei movimenti di capitali nella Ue e lo stop alla libera circolazione delle persone prevista da Schengen, ben difficilmente la speculazione batterà in ritirata.

Per questo è urgente il rilancio dell’integrazione europea, la costruzione di quell’Unione politica e di bilancio che la Merkel invoca da settimane. A patto che si fondi su un equilibrato “do ut des”: la rinuncia alla sovranità nazionale sulle leve della spesa pubblica in cambio di rapidi interventi per risolvere la crisi del debito e rilanciare la crescita, come ha chiesto esplicitamente ieri la Francia di Hollande.
Il tempo stringe. La casa vacilla. Europa chiama disperatamente Berlino, sapendo che ognuno deve fare la sua parte. Ma ricordando anche che l’omissione di soccorso non sarebbe un gioco a somma zero. La caduta dell’euro travolgerebbe tutti. Sì tutti, anche i migliori.

 

da Il Sole 24 Ore

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