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Bce: crescita ferma anche nel 2013

Draghi, presidente della Banca centrale europea.

La crescita dell’eurozona «resta debole» e sarà tale anche nel 2013, nonostante sia continuamente «sostenuta dalle politiche monetarie» varate dalla stessa Bce. Anche nella riunione di ieri, come ampiamente previsto, ha lasciato i tassi fermi al minimo storico dello 0,75%. Con un tasso di inflazione continentale poco sopra il 2% (in Italia oltre il 3) significa regalare soldi (la differenza tra il tasso di interesse base e l’inflazione). Peccato che le banche – le uniche autorizzate a chiedere prestiti presso la Bce – quei soldi poi non li trasmettano all’economia reale (ad esempio con prestiti alle imrpese e alle famiglie), ma se li tengano in cassaforte oppure pronti a essere “investiti” in prodotti finanziari (titoli pubblici o derivati, non fa molta differenza). In pratica, le misure “accomodanti” di Francoforte non si traducono in “aiuto alla ripresa”, ma solo in “aiuti alle banche”.

Neppure la Bce, del resto, ha il potere di costringere gli istituti finanziari a scegliere quale tipo di investimento fare. Al massimo, come ha fatto spesso, può esercitare una “moral suasion” sulle banche perché comprino determinati titoli di stato, allentando la pressione sugli spread.

Sul fronte della crisi dei debiti sovrani, invece, Draghi ha spiegato di essere pronto ad agire ma «spetta ai Paesi» chiedere l’attivazione dello scudo “antispread” (con Francoforte che compra titoli di stato sul mercato secondario). Ma ribadisce con forza che «la palla è ai governi». Se uno di essi (la Spagna, il primo della lista), far scattare lo scudo «è necessario sottoscrivere le condizioni» connesse al programma. Proprio quello che Rajoy vuole evitare. La Bce, in altri termini, «non può garantire» un tetto agli spread oltre il quale partono “in automatico” gli acquisti. Deve essere il paese interessato a “chiedere aiuto” e quindi sottoporsi alle “cure del caso”. Ma niente “assicurazioni automatiche”, che oltretutto sarebbero un punto d’appoggio certo proprio per le tensioni speculative (se esiste un “tetto” ufficiale oltre cui scattano erogazioni di denaro, è fin troppo facile “spingere” certi titoli al ribasso e incassare poi la differenza quando “il bazooka” entra in azione). Sulla Spagna e sull’Italia, Draghi ha aggiunto «che i piani di finanziamento» di questi due Paesi «sono quasi completati».

Anche per l’anno prossimo, però, «la crescita economica resterà debole, seppure sostenuta dalle misure di politica monetaria convenzionali e non convenzionali» della Bce. A pesare, sottolinea, è il «necessario processo di aggiustamento dei bilanci nel settore finanziario e non finanziario e una ripresa disomogenea dell’economia mondiale». Quindi le prospettive economiche dell’eurozona «continuano ad essere orientate al ribasso».

L’inflazione è attesa che «resti sopra il 2% per il resto dell’anno per poi calare sotto questa soglia nel corso del 2013», smentendo categoricamente di aver mai menzionato la parola «deflazione» perchè «finora non abbiamo mai visto segnali di deflazione nell’eurozona. Il livello dei prezzi è in linea con le nostre previsioni di medio termine».

Ma questo quadro disastroso sul futuro a breve termina non gli fa cambiare idea sulle “ricette” da applicare a livello delle singole nazioni.

Il numero uno della Bce ha invitato infatti ancora una volta i governi ad «accelerare» sulle riforme strutturali perchè «sono fondamentali per sbloccare il potenziale di crescita nell’eurozona e creare posti di lavoro», sottolineando che «sono inevitabili. Più velocemente si procede, più velocemente si normalizza la situazione sui mercati». Il fatto che tre anni di queste cure abbiano portato recessione economica e bruciato milioni di posti di lavoro non gli sembra una constatazione sufficiente. “Il futuro sarà roseo”, dicono i manuali di macroeconomia liberisti, e quindi si deve andare avanti su questa strada di dolore convinti che poi – sempre più poi – ci sarà la catarsi.

L’esempio della Grecia era ieri particolarmente attuale. Draghi ha definito il voto del parlamento di Atene alle nuove misure un «progresso» rispetto «ad alcuni mesi fa» per il paese ellenico. Tuttavia ha sottolineato che Francoforte «non può concedere un rifinanziamento monetario alla Grecia, la Bce non può fare più nulla».
Ma proprio il voto greco – molto contrastato, con Sinistra democratica mezzo “sfilata” dalla composita maggioranza – preoccupa stamattina i mercati azionari, che crollano per il terzo giorno consecutivo. E lo spread, anche italiano, risale. Per i Btp a ora a 370 punti.

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