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Aumentano le disuguaglianze sociali in Italia


Secondo uno studio reso noto ieri dalla Banca d’Italia, alla fine del 2011 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a circa 8.619 miliardi di euro,  corrispondenti a poco più di 140 mila euro pro capite e 350mila euro in media per famiglia. Il calo, in termini reali, è stato del
3,4% rispetto al 2010 e del 5,8% rispetto al 2007.

Questa ricchezza è composta per quasi il 58,4% da proprietà e rendite immobiliari, per circa il 37,2% da attività finanziarie e solo dal 4,4% di ricchezza dovuta a beni industriali e reali. In pratica è una ricchezza fondata soprattutto sulla rendita.

Ma se la crisi pare aver eroso la ricchezza netta delle famiglie italiane (nel 2011 ha subito un calo dello 0,7% a prezzi correnti e del 3,4% in termini reali), nell’analisi contenuta nel Supplemento al Bollettino statistico della Banca d’Italia, si apprende che dal 2007, quando la ricchezza raggiunse il suo valore massimo in termini reali, la riduzione è pari al 5,8%. E, secondo stime preliminari, un’ulteriore diminuzione dello 0,5% in termini nominali si è avuta nel primo semestre di quest’anno.

Lo scorso anno la crisi è costata ad alcuni italiani più o meno 350 miliardi di euro. Tanto vale la ricchezza persa (i capital gains) nelle attività finanziarie e immobiliari nel 2011. Colpa della crisi, del crollo degli indici azionari, e del calo del prezzo delle abitazioni, in flessione per la prima volta dopo l’impennata di tutta la prima parte del decennio appena trascorso. Ma solo l’ultimo anno è costato ben 33 miliardi in nuove imposte, tagli e spese per prestazioni sociali.

Dallo studio della Banca d’Italia emergono dettagli interessanti sulla distribuzione di questa ricchezza, ossia sulle profonde disuguaglianze sociali nel paese. Alla fine del 2010 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva solo il 9,4% della ricchezza totale mentre il 10% deteneva il 45,9% di quella complessiva.

Ma cosa si intende quando si parla di “famiglie”. Proviamo a disaggregare i dati. In Italia ci sono poco più di 22.900.000 famiglie (quindi quelle ricche sono più o meno 2milioni e duecentomila). Queste concentrano nelle loro mani 3.900 miliardi di euro di ricchezza. Le rimanenti venti milioni di famiglie si spartiscono 4.700 miliardi. In pratica la media scende a 235.000 euro di ricchezza a famiglia, mentre per quelle ricche sale a 1milione 725mila euro. Ma sono ancora medie che non dicono molto.

Ma come sono composte le famiglie in Italia? Su quasi 23 milioni, circa il 53%, è composta da uno o due componenti. In particolare, il 26,1% del totale sono persone che vivono da sole; il 27,2 % sono famiglie da 2 persone, il 21,8% sono famiglie composte da due componenti; il 18,4% ha invece 4 componenti; ed infine solo il 6,5% ne ha 5 o più. Il numero di persone che vivono da sole, è aumentato negli ultimi di dieci anni di circa 1.700.000 unità, infatti si è passati da 4 milioni 200 mila a 5 milioni 900 mila.

Meno di tre famiglie su cento (il 2,8%) hanno una ricchezza netta negativa, cioè si trovano “in rosso” nel saldo tra risparmi e guadagni. In questi casi le difficoltà finanziarie non sono compensate neanche dal possesso dell’abitazione. Il dato è del 2010, in diminuzione dal 3,2% del 2008, ma “in lieve ma graduale crescita” se si confronta la serie a partire dal 2000.

Facendo un confronto internazionale, in Italia alla fine del 2010 la ricchezza netta era pari 8 volte al reddito disponibile lordo delle famiglie. Uno a 8 quindi, in sostanza il rapporto tra quanto guadagnato e quanto già messo da parte, a conferma della proverbiale – e abusata – immagine degli italiani “popolo di risparmiatori”. Soprattutto se si confronta il dato italiano con quello di paesi come il Giappone (7,8), il Canada (5,5) e gli Stati Uniti (5,3). Se confrontati con i dati delle principali economie si nota, tuttavia, come le famiglie italiane risultino poco indebitate: l’ammontare dei debiti è pari al 71% del reddito disponibile contro il 100% di Francia e Germania, il 125% di USA e Giappone, il 150% del Canada e il 165% del Regno Unito.

Ma dallo studio della Banca d’Italia sulla disuguaglianza manca un raffronto (fatto invece nelle precedenti rilevazioni) con la situazione sociale delle famiglie italiane prima dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e dei governi “europeisti” avviati nel 1992 con le terapie d’urto del governo Amato.
Fra il 1991 e il 2010 il differenziale della distribuzione della ricchezza media infatti e’ aumentato. Ad esempio tra le famiglie del Nord e del Centro nel 2010 è superiore del 74 per cento rispetto a quella delle famiglie del Sud e delle Isole, mentre nel 1991 era superiore solo della metà circa il 37 per cento. Non solo, ma dal 1991, il reddito equivalente dei lavoratori dipendenti è aumentato in termini reali molto meno rispetto alle altre categorie considerate.
Un altro
occasional papers della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie pubblicato da Giovanni D’Alessio nel 2010 arrivava ad una conclusione significativa: “Il lavoro dopo aver illustrato l’andamento della ricchezza complessiva delle famiglie in Italia dal 1965 al 2010, esamina come i livelli di disuguaglianza della ricchezza si siano evoluti nel corso del tempo. Secondo la ricostruzione effettuata, la disuguaglianza nella ricchezza avrebbe interrotto il suo trend decrescente all’inizio degli anni novanta, per poi risalire su livelli più elevati alla fine del secolo, mantenendosi poi stabile negli anni a seguire” sostiene il ricercatore della Banca d’Italia. Ma i dati forniti dal rapporto della Banca d’Italia reso noto ieri rivelano che il trend della disuguaglianza nel decennio trascorso ha invece ripreso a crescere.
Un dato questo che suona a conferma di come le disuguaglianze sociali in Italia fossero minori fino al 1992, quando per entrare nei parametri di Maastricht prima e nell’Eurozona poi, sono iniziate le manovre finanziarie dei governi benvoluti da Bruxelles (Amato, Ciampi, Prodi). Un serio raffronto tra costi e benefici per l’ingresso dell’Italia nel nucleo fondatore dell’Eurozona, ci conferma che i primi sono stati superiori ai secondi. Possiamo dirlo? O dobbiamo tacere per paura dello spread?

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