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Esportazioni ferme, un modello senza sviluppo

Nonostante tutti i governi si siano affannati a produrre l'”ambiente economico” migliore per una “crescita trainata dalle esportazioni” – a cominciare dalla violenta compressione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, in una parola: precarietà totale – il modello non funziona affatto.

I dati pubblicati stamattina dall’Istat confermano che l’unico macrosettore fin qui positivo – l’export, appunto – segna crescita zero dall’inizio dell’anno. Un disastro che però non sembra convincere i “capitani del vapore” a cambiare indirizzo.

Rispetto al mese precedente, a luglio 2013 si registra una diminuzione dell’export (-2,3%) e un aumento dell’import (+0,4%). La diminuzione congiunturale delle esportazioni è determinata da una flessione delle vendite sia verso i paesi Ue (-2,5%) sia verso quelli extra Ue (-2,0%). Sono in forte diminuzione le esportazioni di beni di consumo durevoli (-6,0%), beni strumentali (-4,4%) e beni di consumo non durevoli (-3,3%). Numeri che dovrebbero preoccupare quanti continuano a ricercare la “competitività” agendo soltanto sul fattore “costi”, mentre innovazione e ricerca vengono dimenticate.

 

L’aumento congiunturale dell’import è la sintesi di un aumento degli acquisti dai paesi extra Ue (+1,6%) e di una diminuzione da quelli dall’area Ue (-0,6%). Sono in crescita i prodotti energetici (+3,5%), i beni di consumo non durevoli (+1,6%) e i beni di consumo durevoli (+0,8%). Se per l’energia – l’Italia non possiede granché, come fonti proprie – si può avanzare qualche giustificazione, per i beni durevole e quelli “usa-e-getta” non c’è invece scusa possibile. Stiamo parlando dei comparti che hanno fatto la storia dell’industria nazionale, ed ora ne segnalano lo smantellamento.

Rispetto allo stesso mese del 2012, l’aumento dell’export (+3,0%) e la flessione dell’import (-0,3%) sono più marcate per l’area extra Ue, che registra un aumento delle vendite del 3,5% e una flessione degli acquisti dell’1,9%.Qui, almeno, la spiegazione è semplice: la caduta dei redditi da lavoro (salari fermi ed erosi dall’inflazione, lavoro precario sottopagato, meno occupati in assoluto) si trasforma immediatamente in minori consumi sul mercato interno.

A luglio 2013 il saldo commerciale (+5,9 miliardi) è più ampio di quello conseguito a luglio 2012 (+4,7 miliardi). L’avanzo complessivo è la somma dei surplus conseguiti sia con i paesi Ue (+3,1 miliardi) sia con quelli extra Ue (+2.8 miliardi). Al netto dell’energia, la bilancia risulta in attivo per 11,0 miliardi.

 

Accantonata la positività finale dei saldi, però, il gioco smette di essere divertente: nei primi sette mesi del 2013 si rileva un contenuto aumento tendenziale per l’export (+0,2%) mentre l’import è in marcata diminuzione (-6,0%). C’è insomma un rallentamento enorme dell’economia che spiega come certi “saldi positivi” non siano da accogliere sempre come un segno di “sviluppo”. Qui si spende di meno e basta. Il saldo positivo del periodo raggiunge i 18,2 miliardi e, al netto dei prodotti energetici, supera i 50 miliardi.

Il rapporto completo dell’Istat:

e le serie storiche: xlsserie-Mondo_72013.xls

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