Il salvataggio è incorso, i soccorritori sono stati individuati e inviati, ma non si può dire che sia una manovra chiara. La crisi mortale dell’Alitalia privatizzata tra squilli di tromba neoliberisti, solo cinque anni fa, ha mobilitato mezzo governo per trovare qualcuno disposto a sottoscrivere quell’aumento di capitale senza il quale – da domani – sarebbe venuto a mancare persino il kerosene per fal muovere gli aerei.
Serviva un “socio pubblico”, perché quando “i privati” falliscono – e accade spesso, specie in Italia, terra di furbastri che vogliono far soldi senza essere nemmeno capitalisti in proprio – non se ne trovano altri per mettere i soldi necessari. Sorprende che il “partner industriale” – si fa per dire – sia stato individuato in Poste Italiane. Che ormai è qualcosa di completamente diverso dal vecchio servizio postale, e molto più simile a una normale banca. Tanto che i suoi depositi – i risparmi dei cittadini che ancora mettono “i soldi alla posta” per sentirsi al sicuro – sono anche il patrimonio finanziario della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).
La società pubblica guidata da Massimo Sarmi – in predicato di passare a Telecom, per sostituire Franco Bernabé dopo la vendita alla spagnola Telefonica – parteciperebbe all’aumento di capitale da 300 milioni con 75 milioni e si ritroverebbe con una partecipazione del 10-15 per cento. L’operazione di salvataggio finanziario prevede anche linee di credito bancario per 200 milioni. E oggi si dovrebbe riunire il vecchio cda con all’ordine del giorno proprio questa “novità”.
Il collegamento “industriale” sarebbe costituito dalla controllata Mistral Air, piccola compagnia che gestisce i veivoli usati per l’inoltro della corrispondenza. Non proprio un gigante dell’aria….
Una nota di Palazzo Chigi benedice l’operazione, ma delinea anche un cambio radicale di gestione: «ad Alitalia servono discontinuità, stabilizzazione dell’azionariato e una importante ristrutturazione attraverso un nuovo progetto industriale. L’entrata di Poste è fondata su queste premesse. Assieme ai soci e agli impegni che il sistema bancario è pronto a sottoscrivere l’apporto finanziario di Poste è in grado di conferire le risorse per raggiungere la ricapitalizzazione necessaria ad assicurare gli attuali servizi. Il Governo si aspetta che i soci si assumano appieno le loro responsabilità». Del resto non era neppure pensabile un intervento di salvataggio che lasciasse la gestione nelle mani incompetenti ma avide dei venti “capitani coraggiosi” guidati da Roberto Colaninno e accorsi all’adunata berlusconiana nel 2008. Come recitavano amichevlmente i cortei dei lavoratori presenti allora in azienda (il doppio degli attuali), “meglio falliti che in mano a ‘sti banditi”.
Ma tutto dipende dal tipo di “piano industriale” che i nuovi soci – insieme al più vecchio, esperto e potente di tutti, Air France – riusciranno a disegnare. Se si continuerà con la strategia suicida – inaugurata al tempo del primo governo Prodi e tesa alla progressiva scomparsa della compagnia di bandiera, in omaggio agli accordi europei che limitavano e tre i futuri vettori continentali – della “regionalizzazione”, che soffre pesantemente la conocrrenza low cost, anche questa operazione sarà soltanto in perdita. Di denaro pubblico, naturalmente.
Altra cosa sarebbe la ri-nazionalizzazione, con un piano industriale all’altezza della concorrenza europea e non subordinata alle scelte strategiche altrui. Ma non è certo il “governo della Troika” quello che può procedere in questo senso… E quindi avanti con “toppe” di denaro pubblico, in attesa di un ridimensionamento e dei conseguenti licenziamenti, fino alla prossima – identica – crisi industriale e finanziaria. Ma su scala ancora minore…
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Le tappe della breve vita dell’Alitalia “privatizzata” nella ricostruzione de IlSole24Ore.
Salvataggio Alitalia, dal Piano Fenice a oggi: cronaca di 5 anni difficili
Dal Piano Fenice al soccorso di Poste annunciato oggi i cinque anni di Alitalia privata sono costellati da continui stop and go e soprattutto dal ricorrente bisogno di liquidità e piani industriali credibili.
Nel 2008 parte il progetto italiano. Ad un passo dall’accordo definitivo con Air France monta la protesta contro la vendita ai francesi. Il pericolo transalpino è il cavallo di battaglia della campagna elettorale di Berlusconi e per fine anno la società a capitale tricolore disegnata da Intesa Sanpaolo è pronta. Il timone viene preso da Roberto Colaninno e Rocco Sabelli, il primo di tre amministratori delegati rapidamente succedutesi al vertice della compagnia: dopo Sabelli nel 2012 arriva Andrea Ragnetti e pochi mesi fa Gabriele Del Torchio. Il nuovo vettore, che unisce Alitalia ed Airone, sotto il sigillo Cai e con Air France Klm partner strategico con il 25% del capitale decolla ufficialmente il 13 gennaio 2009 ma la navigazione non sarà mai tranquilla con piani industriali aggiornati di continuo e di continuo superati, complica anche la crisi e il rincaro del prezzo del petrolio e quindi del carburante. La situazione precipita nel corso dell’ultimo anno. Subito dopo l’arrivo di Del Torchio non si nasconde più la gravità della situazione. I manager si tagliano lo stipendio del 20% (giugno 2013) e si parla prima di 600 e poi di 2.400 esuberi dopo che soltanto nel maggio precedente Colaninno aveva negato una crisi di liquidità per l’azienda e la necessità di ridare vita alla fusione con AF: «su allenze e conti solo illazioni» ripeterà a inizio luglio.
Ma la drammaticità della situazione inizia a trasparire. Viene archiviato l’ennesimo anno in rosso e l’arrivo dell’utile posticipato al 2016. Dopo l’estate diventa ancora più affannosa la ricerca di una soluzione. Il 19 settembre da Parigi indiscrezioni stampa indicano il cda Air France pronto a fare un’offerta per rilevare la maggioranza della compagnia. Di nuovo sale la polemica sulla italianità da proteggere anche perché parallelamente il Paese sta perdendo Telecom, diretta verso la spagnola Telefonica. L’opinione pubblica e gli stessi politici si spaccano sulla decisione da prendere. Il ministro Maurizio Lupi rompe gli indugi e si reca a Parigi per chiedere ai soci francesi garanzie sui posti di lavoro e chiarezza sulle strategie. Ma le polemiche infuriano soprattutto per un ventilato piano lacrime e sangue che Air France imporrebbe come condizione per sottoscrivere un aumento di capitale. Circostanza che sembrerebbe avvalorata anche alla luce del no dei francesi all’aumento di capitale da 100 milioni deciso dalla compagnia il 26 settembre. Una mossa da tutti considerata insufficiente visto che il rosso degli ultimi sei mesi è peggiorato a 294 milioni e la liquidità si ferma a 128 milioni. Troppo poca.
Nell’ultima settimana il Governo, rinfrancato dalla fiducia ottenuta dalle Camere, si muove con più determinazione, non pronunciandosi a favore o contro la presenza di Air France ma con un pressing deciso sui soci italiani. Si torna a parlare (dopo alcuni rumors dei mesi precedenti) di un intervento di Ferrovie. Che però non si concretizza anche per le difficoltà di sviluppare sinergie treno-aereo sulla tratta Roma-Milano.
Il tempo stringe sempre di più vista la mancanza di liquidità e diventa reale il rischio di un ritiro della licenza di volo con gli aerei a terra per mancanza di rifornimenti. Domenica il premier Letta ribadisce la necessità di inserire Alitalia in una aggregazione più grande (“da sola non può stare”) ma è evidente la volontà del governo di procedere ad un eventuale unione con un partner straniero su posizioni di parità. Per questo inizia una girandola di incontri degli ultimi giorni con possibili partner pubblici e alla fine dal cilindro spunta Poste Italiane con tutte le sinergie possibili sul settore cargo come avviene in altri paesi paesi europei come Francia e Germania.
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