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La Francia viola i trattati, l’Unione traballa

Un colpo durissimo all’Unione Europea, e viene da Parigi, da uno dei due paesi che costituiscono il nucleo centrale della costruzione.

Il governo francese – che sta preparando come tutti gli altri la “legge di stabilità” per il 2015, che la Commissione dovrà esaminare, correggere e approvare entro metà novembre – ha deciso di non rispettare buona parte dei vincoli previst dai trattati. Prevede infatti un deficit al 4,4% del Pil per l’anno in corso, e che nemmeno l’anno prossimi scenderà in modo significativo (il 4,3%, invece che sotto il 3). Soltanto nel 2017 – proprio come il governicchio renziano – prevede di tornare in regola, ovvero sotto il 3%, ma comunque ben lontano da quel “pareggio” previsto dai trattati. Soltanto pochi mesi fa Parigi assicurava che avrebbe rispettato “senza problemi” il limite del 3%.

Non è finita. La Francia chiede esplicitamente che la Ue dica “basta con l’austerità”, i tagli e le altre politiche che stanno distruggendo l’economia reale e – non secondariamente – la credibilità residua di un governo già affossato dalle corbellerie di François Hollande.
“Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del deficit – ha detto in conferenza stampa il ministro delle Finanze, Michel Sapin – alla situazione economica del paese. La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche”. Il linguagio diplomatico copre a fatica la realtà dura dello strappo, perché accompagnato dall’affermazione che “nessun ulteriore sforzo sarà richiesto alla Francia, perché il governo – assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese – respinge l’austerità”. Del resto era stato lo stesso primo ministro, Valls, a spiegare che «Abbiamo fatto una scelta chiara, una scelta politica, non ci saranno aumenti delle tasse e neppure tagli supplementari alla spesa pubblica».
Parigi sa bene che “la crescita” è molto lontana dal poter essere almeno intravista. La stima – ottimistica – per l’anno prossimo è di  +1%, con la speranza che possa raddoppiare nel 2016.

Non che il governo non ci abbia provato. Ha proceduto a tagli di spesa per quasi 50 miliardi, uno sforzo “senza precedenti”; ma la spesa pubblica aumenterà comunque dello 0,2%.
Molti osservatori, da tempo, spiegano che la Francia sta anche pegio dell’Italia. Anche il suo debito pubblico ha superato la soglia dei 2.000 miliardi di euro, appena meno del nostro paese, ma comunque raggiungendo il 95,1% del Pil. E anche prevedendo una drastica riduzione della spesa per il pubblico impiego, in tutti i settori, la situazione dei conti non migliorerà a breve termine. Quindi Sapin, a nome della Francia, si sente nel pieno dirito di indirizzare all’Unioe (e a Berlino) un monito preciso: «Abbiamo fatto e stiamo facendo quello che ci è stato chiesto. La Francia si assume le proprie responsabilità, spetta ora all’Europa assumere le proprie. E penso in particolare ai Paesi con un bilancio in surplus».

Ora si dovrà vedere la reazione dell’Unione, ovvero della Germania. Se le due economie più grandi dell’eurozona, dopo quella di Berlino, crollano, la “casa comune” difficilmente potrà restare intatta. ANche per Schauble e Weidmann, insomma, arriva l’ora di fare i conti con il disastro continentale che hanno – se non provocato – certamente aggravato.

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