Se voleva essere un test per quel che potrà avvenire sul mercato delle monete dopo il 22 gennaio – quando Draghi deciderà a maggioranza di iniettare liquidità “sostanziosa” nel sistema finanziario – è sicuramente molto chiaro.
La banca centrale svizzera, dopo tre anni di “difesa” del cambio alla quota di 1,20 contro l’euro, ha deciso di smettere. Immediatamente la moneta unica europea ha subito una svalutazione così drastica da poter essere paragonata a una rivoluzione: -32% in poche ore, col cambio che passa da 1,20 a 0,85 (per poi risalire a 1,02). Nello stesso momento, ha deciso anche di ridurre ulteriormente i tassi, già negativi, di mezzo punto percentuale, a -0,75%. Un doppio colpo che ha fatto saltare in aria la borsa di Zurigo e tutti i titoli elvetici, portando scompiglio anche nelle altre piazze europee.
Una buona notizia per i frontalieri che lavorano in Svizzera (vengono pagati in franchi svizzeri, ma la maggior parte delle loro spese avvengono in euro) e pessima per quelli che andavano a fare il pieno di benzina oltre confine. Una battuta? Certo, ma è anche la misura “micro” degli sconvolgimenti che si produrranno sul fronte import-export tra Unione e Zurigo. Che non rappresentano certo una quantità sconvolgente, ma danno appunto la temperatura di quel che potrebbe avvenire se le mosse della Bce fossero di importanza tale da generare uno sconquasso paragonabile anche nel cambio col dollaro, la sterlina e lo yen (per non parlare dello yuan cinese).
Diciamo subito che è bene (per i filo-export) non farsi troppe illusioni. La discesa brusca nei confronti del franco è una conseguenza di tre anni di blocco del cambio, operata dalla banca centrale di Zurigo; mentre i valori nei confronti della altre monete sono regolati da meccanismi meno politici, quindi più allineati con ragioni reali. Una ualche variazione si potrebbbe comunque verificare, perché una mossa “importante” della Bce comincerebbe colmare il gap che si è creato ain questi stessi anni rispetto a yen e dollaro (immessi sui mercati in quantità sconsiderata, con relativo deprezzamento del valore di cambio).
La “soglia minima” nel tasso di cambio con l’euro era stata decisa dalla banca centrale svizzera come misura contro la fuga precipitosa di capitali verso la Svizzera, nel pieno della crisi dei “debiti sovrani”, nel 2011. Nell’estate del 2011 i mercati temevano l’implosione dell’euro (al punto che Draghi e Trichet scrissero la famosa “lettera” al governo Berlusconi per indicare nero su bianco quel che l’Italia avrebbe dovuto fare). E gli svizzeri erano preoccupati che questa “fuga” avrebbe spinto la loro moneta ad un apprezzamento altrettanto eccessivo, quindi dannoso e pericoloso (si era già arrivati a 1,04, quasi alla parità). Da questo punto di vista, il deprezzamento di stamattina testimonia di mercati parecchio nervosi, perché la quotazione raggiunta dal franco è ben al di là delle più nere aspettative.
Nel comunicato che ha accompagnato la decisione, la banca centrale spiegale prospettive di politica monetaria tra le diverse aree economiche sono divergenti e tenderanno a divergere ulteriormente, perché la “guerra delle monete” è partita e nessuno sembra più in grado di fermarla. Dopo tre anni di cambio fisso (e costoso per la stesa banca nazionale, visto che ha dovuto vendere quantità importanti di franchi per “tenere” la quotazione al livello desiderato), «per quanto la valutazione del franco sia sempre alta, l’euro si è deprezzato in modo considerevole rispetto al dollaro con il conseguente indebolimento del franco rispetto alla moneta Usa». E continuare a restare agganciati alla valuta europea avrebbe comportato perdite e problemi maggiori.
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