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Il cerchio infernale che lega Usa, Ue e “emergenti”

Spezzate le reni alla Grecia, ora il capitale multinazionale “europeo” – l’unico che conti qualcosa, finanziario o industriale che sia – deve affrontare problemi davvero più grandi. È noto che il modello che si va imponendo, attraverso l’Unione Europea e i trattati sempre più vincolanti (dal Fiscal Compact al Two Pack), è di tipo mercantilista. Ovvero basato sulla compressione dei salari interni e sulla competitività delle esportazioni.

Bene. Un modello simile, che non ha funzionato per il complesso dell’eurozona, finora, Germania a parte, ha un disperato bisogno di clienti solvibili, in grado di assorbire la propria produzione. Aggiungiamoci anche che i prodotti europei da esportazione sono ad alto valore aggiunto, fondamentalmente macchinari industriali (non fatevi deviare dai difensori del made in Italy, le percentuali coperte rispetto all’export europeo complessivo sono poca cosa, anche se importanti per chi ne beneficia). Quindi è necessario che ci siano imprese straniere obbligate ad acquistarli.

Negli ultimi venti anni questo ruolo fondamentale è stato assunto dai “paesi emergenti”, Cina su tutti, che si sono rapidamente trasformati nella manifattura del mondo, tirando fuori quei prodotti a basso costo che non era più conveniente produrre in un paese avanzato. Il circuito è stato per qualche anno, dunque, apparentemente virtuoso: qui facciamo i macchinari che servono laggiù per produrre roba che compreremo noi, oltre che il loro merato interno in rapida espansione.

Ma nulla è per sempre. Lo sviluppo impetuoso dei Brics e altri paesi emergenti è stato reso possibile anche da una liquidità facile da ottenere, a bassi tassi di interesse, e sostenuta ad libitum dalle banche centrali principali (Federal Reserve su tutti). Ovvero grazie a debito privato, soprattutto in dollari.

Le ultime settimane hanno consegnato agli analisti due notizie contemporanee, emìntrambe molto negative. La Fed sta per alzare i tassi di interesse (attualmente a zero, da quasi sette anni) e gli “emergenti” vanno rallentando.

La prima decisione è di politica monetaria, la seconda una tendenza spontanea del mercato. Ma insieme preparano un altro scenario: il dollaro ritorna ad apprezzarsi (grazie a tassi di interesse più alti) i i debitori in dollari vedono si ritrovano a dover pgare di più per il servizio sul debito (gli interessi) proprio nel momento in cui raccolgono meno profitti per la contrazione economica sui mercati.

Siccome nel mercato globale nessuno è da solo, la conseguenza diretta è che gli ordinativi di macchinari dai paesi emergenti subiranno (stanno già subendo) una prevedibile contrazione. Il che mette in difficoltà il modello “mercantilista” che tanto piace all’ordoliberalismo teutonico.

La domanda riguarda a questo punto la possibile reazione alla difficoltà.

Si seguirà la strada della compensazione delle minori esportazioni con una spinta al mercato interno europeo? Questo richiederebbe un’inversione drastica delle politiche economiche improntate all’austerità, perché per espandere il mercato interno si devono aumentare i salari (sennò, chi compra?), allargare a borsa della spesa pubblica (magari per invstimenti diretti in alcuni settori economici da cui i privati sono già fuggiti), favorire un’uscita dal lavoro in età meno senile.

Oppure si seguirà la strada del tossicodipendente, ovvero una dose maggiore della stessa droga? In questo caso bisognerebbe aspettarsi una più drastica stretta sui conti pubblici, sui salari (anche nei paesi più forti della Ue), un allungamento ulteriore dell’età pensionabile fino ad arrivare ad eliminare quasi del tutto la previdenza sociale (come sta meditando di fare la Gran Bretagna), ecc. Insomma un’austerità al quadrato per incrementare il più possibile l’austerità, nella speranza che gli emergenti si riprendano presto e ricomincino ad acquistare i nostri prodotti. Che però, essendo soprattutto macchinari industriali, sono necessari solo se qualcuno (noi, oppure il loro mercato interno) è in grado di acquistarli e se l’indebitamento in dollari non diventa strangolante per i tassi più alti.

Non abbiamo molti dubbi su quale sarà la scelta dell’eurozona: “più Grecia per tutti”. Quindi, prepariamoci a ballare…

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