Ora che la resistenza del governo greco è stata piegata, obbligando il parlamento di Atene a sfornare una nuova maggioranza sotto il controllo della Troika, tutte le “istituzioni” dei creditori sono obbligate a darsi da fare intorno al moribndo per tentare di rianimarlo quanto basta per metterlo al lavoro.
La più pronta ed efficace, come sempre, è stata la Bce, che casualmente riuniva ieri il suo direttivo per confermare o meno le linee di politica monetaria e dunque il livello dei passi di interesse. Nessuna modifica, figuriamoci. I tassi sono a zero e non si possono abbassare; ma di rialzi non si deve neppure sospettare la possibilità, altrimenti crolla tutto. Il quantitative easing è ovviamente confermato e addirittura – stroncate le velleità riformiste – potrebbe a breve termine riguardare anche i titoli greci, dando così fiato alle banche elleniche (che sono piene di quei bond). E sempre alle banche è rivolta la misura, decisa nelle riunione di ieri, di alzare di 900 milioni il livelllo della liquidità di emergenza.
In vista c’è infatti la riapertura degli sportelli, dopo quindici giorni di serrande abbassate. Ma resteranno in vigore tutte le misure di emergenza, come il limite dei prelievi a 60 euro al giorno, il controllo dei capitali, ecc. Ma le operazioni legate all’economia reale potranno dunque a breve riprendere con qualche regolarità.
Il problema è che tutti sanno benissimo quanto assurde e inefficaci siano le misure imposte ad Atene con l’”accordo” di lunedì. Persino un filosofo ultra-europeista come Jurgen Habermas può dire che quel memorandum “non ha senso dal punto di vista economico, a causa della miscela tossica di necessarie riforme strutturali dello stato e l’economia assieme a imposizioni neoliberali che scoraggeranno un’esausta popolazione greca e uccideranno ogni crescita”. E soprattutto sul piano politico, di temere che “Il governo tedesco, compresa la sua fazione social democratica, si sia giocato in una notte tutto il capitale politico che la migliore Germania aveva accumulato in mezzo secolo”.
Su un piano tecnico, invece, è ora Mario Draghi a spiegare che il debito greco va ridotto. Ma le convenzioni e i trattati obbligano il presidente della Bce a non dire – come sarebbe conseguente – che quel debito sia percio insostenibile. Se lo facesse, infatti, dichiarerebbe che la Grecia è insolvente e quindi, automaticamente, dovrebbe chiudere i rubinetti della liquidità di emergenza accentando al tempo stesso una drastica svalutazione dei bond greci che la Bce stessa detiene.
La partita si gioca dunque, a livello della Troika, su un mix esasperato di ipocrisia, prepotenza e impotenza. Le situazioni reali non possono essere chiamate col loro nome, quindi si procede “come se” il moribondo avesse soltanto una febbricciola che si ostina a non curare. Per questo, però, bisogna obbligarlo a prendere rimedi definiti ottimi nonostante siano gli stessi che l’hanno portato in punto di morte, anche a costo di invedere le istituzioni elleniche con schiere di funzionari incaricati da vagliare qualsiasi decisione, su quelsiasi tema economicamente significativo. E infine si adottano soluzioni che non possono affatto migliorare la salute del malato ma servono a mantenere le apparenze di una Unione “solida” e di un euro “irreversibile”.
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