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Ssst… Le banche Usa vanno a rotoli

Zitto zitto – si fa per dire – il sistema bancario statunitense perde pezzi. Che valgono centinaia di miliardi, non spiccioli.

Ieri è toccato di nuovo a First Repubblic, istituto di medie dimensioni, travolto dalla fuga dei depositi. Tradotto: correntisti che ritirano I propri soldi per investirli o “difenderli” altrove.

In pochi giorni se ne sono andati 104 miliardi, pari al 40% circa di tutti i depositi. Inevitabile il rovescio anche in borsa, dove il titolo ha perso – non per caso – un altro 40% in un solo giorno, portando le perdite da inizio anno al -93%.

Oggi First Republic capitalizza – “vale” – meno di un miliardo di dollari. Praticamente niente.

Ad aggravare il tracollo hanno contribuito la stessa Federale Reserve, e l’amministrazione Biden, che hanno fatto sapere più volte che non avrebbero messo in cantiere operazioni di salavataggio.

Il quasi-fallimento di First Republic segue quelli già avvenuti di Silicon Valley Bank e Signature Bank. E se tre punti fanno un cerchio questa è la dimostrazione della fragilità complessiva del sistema bancario Usa alla prova dell’aumento dei tassi di interesse, deciso dalla banca centrale per contrastare l’inflazione.

Ma il problema, come si dice, è decisamente più complesso. Anni di quantitative easing da parte della Fed – e della Bce in Europa – avevano fatto gonfiare non solo le quotazioni azionarie ma anche i depositi bancari, seppure in tempi diversi ma in brevissima successione.

L’esplodere della pandemia aveva infatti stimolato la fuga da Wall Street e quindi gonfiato la bolla dei depositi (alla ricerca di “sicurezza”), anche sotto la spinta dell’aumento improvviso della spesa pubblica Usa per far fronte all’emergenza.

Ma appena un anno e mezzo dopo – sotto la spinta opposta dell’aumento dei tassi di interesse – è iniziata la fuga verso altri lidi. Ma stavolta non verso la borsa, ritenuta a ragione “sovra-prezzata” e a forte rischio di improvvisi crolli.

A fare concorrenza alle banche, infatti, si moltiplicano le iniziative delle big dell’informatica, che stanno a loro volta “diversificando” il proprio business proponendosi come mediatori finanziari.

Apple, proprio in questi giorni, sta offrendo il 4,15% di interesse sui conti deposito aperti presso la sua banca (Apple Bank). Un livello che, con l’inflazione in calo e la recessione alle viste, risulta abbastanza appetibile rispetto ai micragnosi interessi offerti dalle banche classiche.

Un quadro, come si vede, tutt’altro che lineare, assai diverso da quello previsto dai manuali del neoliberismo monetarista che regolano le mosse dei banchieri centrali (“sale l’inflazione, aumento i tassi di interesse”).

Un quadro che diventa ancora più interessante – dal punto di vista dei critici del capitalismo finanziario – perché qui in Europa la Bce sta seguendo la stessa strada, con qualche mese di ritardo rispettto alle mosse della Fed.

E dunque diventa prevedibile che gli stessi problemi, che stanno covando sotto il sistema bancario europeo, non tarderanno a manifestarsi in tutta la loro forza. Credit Suisse non è certamente l’unico caso. E gli occhi di tutti sono sempre rivolti al gigantesco zombie che si aggira per l’Europa: Deutsche Bank

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3 Commenti


  • Salvatore Michele De Marco

    Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire
    E’ assurdo come i Vostri articoli, in questo caso alludo a quelli riguardanti la fragilità delle banche commerciali, si ripetono adducendo cause contingenti e peggio ideologizzate, senza tenere conto di interventi che pure ci sono stati, come quello del sottoscritto a proposito dell’articolo “Zombie che si aggira per l’Europa: Deutsche Bank”, 25 marzo 2023, il quale offre una spiegazione strutturale scientifica dei crolli bancari che i più esigenti possono trovare ampiamente esposta nel mio libro “Il credito nell’ordine critico capitalistico” Esi, Napoli 2017. Evidentemente, oggi impegnarsi per portare a conoscenza la realtà supportata dalla scienza, per il bene della collettività intera e non di parte della collettività schierata, è un esercizio ormai diventato inutile. Contenti Voi!
    Salvatore Michele De Marco


  • Lollo73

    Ma non scherziamo con le teorie scientifiche. queste cose succedono per due banali motivi. le banche creano liquidità in maniera creativa in quanto, la plebe in banca ci mette solo pensione e stipendio intoccabili. I veri investitori bancari la classe media e stata ormai distrutta, estinta. i ricchi forse sempre più ricchi ma sempre meno, non si fidano a ragion veduta degl’ istituti di credito e dei mercati finanziari e sono tornati ad investire da tempo nei beni rifugio. Oro, terreo comunque fuggono dal capitalismo puro e selvaggio. Ad esempio scegliendo paesi con forme di governo più stabili e potenziale economico ancora in parte inespresso e quindi in continua crescita. Su tutti la Cina, ma non solo. Le teorie scientifiche non c’ entrano niente.


  • Salvatore Michele De Marco

    Chiarimento sulla scientificità della fragilità delle banche commerciali
    Ringrazio il gentile lettore per il suo intervento contrario. Se posso, però, non a titolo di polemica, ma a titolo di interlocuzione costruttiva, riprendo il mio intervento all’articolo “Zombie che si aggira per l’Europa: Deutsche Bank”, 25 marzo 2023. In esso, preciso che esiste una “tendenza alla caduta della redditività delle banche commerciali”, non per la scarsità di depositi bancari come afferma il lettore (anzi, le banche commerciali sono “piene” di depositi dei risparmiatori provenienti da qualsiasi estrazione sociale – come confermano le statistiche che vedono i depositi bancari in crescita – e di liquidità offerta delle banche centrali a costo zero nelle ultime operazioni di allentamento monetario), ma per i crediti concessi e non restituiti dai finanziati a causa del loro indebitamento e insolvenza da cui le svalutazione crediti, le perdite e il fallimento bancario. Dunque, il problema non sono i depositi, ma sono i prestiti non onorati, ed ecco che giungiamo all’aspetto scientifico del problema che evidenzio nei miei libri e in particolare nel libro citato “Il credito nell’ordine critico capitalistico”, Esi, Napoli, 2017, su cui davvero invito il lettore “a non scherzare”. MI riferisco al perché della causa ultima che genera le difficoltà degli istituti di credito, ossia il perché dell’indebitamento e dell’insolvenza dei finanziati (che non possono essere negati, tanto che il tema del debito privato e pubblico ed estero sicuramente non rimborsabile dai debitori è la vera “bomba” che taciterà i paesi capitalistici, dall’America all’Europa, compreso un poco più tardi la Cina) che hanno radici nel circuito capitalistico analizzato con gli strumenti messi a disposizione dell’economia politica (dalla scienza economica) e non certo da opinionisti e altre categorie di soggetti dalla dubbia cultura.
    Salvatore Michele De Marco

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