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La Cina svaluta per il terzo giorno consecutivo

E tre. Con la terza svalutazione dello yuan in tre giorni – meno 1%, che si va ad aggiungere al 3,5% dei due giorni precedenti – la Cina chiarisce ancor meglio l’intenzione di non farsi schiacchiare nella “guerra delle monete” aperta da ormai otto anni. Tutto è infatti iniziato quando, per far fronte all’esplosione della “bolla dei subprime” (2007) e alla successiva catena di salvataggi bancari, interrotta dal drammatico fallimento di Lehmann Brothers (2008), la Federal Reserve statunitense ha aperto la lunghissima fase di tassi di interesse a zero e di iniezioni di liquidità (quantitative easing). Poi imitata dlla Banca d’Inghiterra, da quella del Giappone e in ultimo anche dalla Bce, oltre cha da una serie di banche centrali meno importanti.

Tutte queste mosse di politica monetaria sono state di fatto “svalutazioni competitive”. La Cina, per tutto questo periodo, ha risposto mantenendo a livelli alti il suo tasso di crescita economica (diventando di fatto l’unica o principale “locomotiva” della crescita globale) e lasciando sostanzialmente apprezzare lo yuan nei confronti del dollaro.

Una delle tante conseguenze di questa asimmetria nella politica monetaria è stata – ma se ne parla pochissimo – la drastica riduzione di differenziale tra i salari cinesi e quelli delle economie avanzate. Mentre i primi salivano velocemente anche sul piano nominale (+15% annuo, in media), contemporaneamente in Occidente veniva congelata la dinamica salariale al di sotto del tasso di inflazione. La rivalutazione dello yuan faceva il resto, riducendo altrettanto velocemente la “competitività” dellexport cinese. Il che, in fondo, facilitava l’obiettivo fissato negli ultimi due piani quinquennali, ovvero favorire la crescita “qualitativa” al posto di quella “quantitativa” e quindi il mercato interno rispetto alle esportazioni.

L’annunciato – ma più volte rinviato – rialzo dei tassi di interesse americani però sta per aprire la “solita” stagione di corsa al dollaro e quindi di fuga dei capitali dai paesi emergenti verso gli Stati Uniti. Stagione che normalmente prepara il ritorno di quegli stessi capitali nei paesi sapientemente “svuotati”, a caccia di asset (patrimoniali o produttivi) a prezzi stracciati.

Giusto o sbagliato che sia, la Cina si sente obiettivo della prossima ondata di marea dei capitali (nel doppio movimento qui illustrato). E quindi si muove in anticipo, svalutando lo yuan per favorirne la formazione del valore secondo gli standard del mercato. Il che pare una grande vittoria occidentale contro il “dirigismo statale” cinese. Ma in realtà prepara anche l’internazionalizzazione dello yuan come credibile “moneta di riserva” e di “scambio”. In alternativa al dollaro.

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