Ore 23. Il recupero di New York è stato solo momentaneo. Il Dow Jones perde il 3,55% (inizialmente addirittura il 6%), il Nasdaq cede il 3,82% mentre lo S&P 500 lascia sul terreno il 3,9%.
Ore 19.15. Giornata tragica. QUeste le chiusure delle principali piazze finanziarie del pianeta:
Francoforte -4,7, Parigi -5,35, Londra -4,67, Milano -6, Madrid -5, Atene -12,5. Nella mattinata Shangai aveva chiuso a -8,4%, Tokyo a -5,86, Hong Kong a -5,26.
New York, dopo aver distrutto l’Europea aprendo da tragedia, si è ripresa buona parte delle perdite (e dei capitali fuggiti da Europa ed Asia) ed entrambi gli indici principali (Dow Jones e Nasdaq) perdono ora meno dell’1%.
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Non ha retto la prima diga alzata dalla Banca centrale cinese contro l’esplosione della bolla speculativa cresciuta nelle piazze finanziarie del paese nel corso dell’ultimo anno e mezzo. E la centralità ormai assunta dall’economia di Pechino nel sistema globale, e soprattutto su quello asiatico, trascina con sé tutto il continente.
Shanghai crolla dell’8,45% e l’indice di Shenzhen lo imita prontamente, perdendo il 7,02%. Neanche la libertà concessa dallo State Council ai fondi pensione statali – acquistare titoli azionari era fin qui proibito – ha frenato la caduta. Di fatto, le piazze cinesi hanno a questo punto azzerato i guadagni realizzati nell’ultimo, folle, anno. Sembra a questo punto più che evidente come vaste quote di capitali stiano lasciando il sistema cinese, convinte che non sia più tempo per guadagni mostruosi come quelli degli ultimi venti anni.
L’Hang Seng di Hong Kong – piazza più internazionale, quindi tradizionalmente meno sensibile alle pressioni speculative interne, è questa volta crollata del 6,7%.
Istantanee come le contrattazioni informatiche le conseguenze per le altre borse del continente. Taiwan si allinea alle dinamiche dell’ex “madrepatria” perdendo il 7,5%, così come Tokyo (-4,61%).
Ma sarebbe sbagliato credere che si tratti di una tempesta soltanto asiatica. Venerdì a New York l’indice Dow Jones aveva perso il 3,12%, mentre l’indice tecnologico Nasdaq era crollato del 4,28. E lo stesso avevano fatto ovviamente le piazze europee, con perdite medie intorno al 3%.
Il prezzo del petrolio, di conseguenza, è caduto ancora oltre i minimi degli ultimi mesi. La qualità Wti (West Texas Intermediate) è caduta sotto la soglia dei 40 dollari al barile (39,85), dopo aver toccato il minimo a 39,71, il livello più basso da marzo 2009. Il Brent è sceso invece a 45,02 dollari al barile, come non avveniva da 6 anni; ovvero poco dopo l’esplosione della crisi finanziaria globale che ancora non si è affatto chiusa.
Sui mercati pesano non soltanto le preoccupazioni per la tenuta della crescita cinese – nell’ultimo decennio l’unico fattore di “tranquillità” in una tendenza negativa globale – ma anche, e forse soprattutto, quelle per le mosse della Federal Reserve statunitense, che aveva di fatto annunciato un rialzo dei tassi di interesse dopo quasi sei anni a quota zero. Non ultima, però, c’è anche la crisi greca. Le dimissioni di Tsipras e le le elezioni da indire per la fine di settembre, anche se si tratta di mosse sotto controllo da parte dell’Unione Europea, mettono infatti in qualche misura a rischio la stabilità del paese (i risultati non sono affatto scontati), ingigantendo i dubbi già stratosferici sull’efficacia del cosiddetto “terzo piano di salvataggio”.
Com’era logico attendersi, le borse europee hanno seguito il trend fin dall’apertura, con cadute violente dei valori azionari. Francoforte ha perso subito il 3,4%, Londra il 2,5% e Parigi il 3,07%. Come sempre più nevrotica (quando va bene e quando va male) Milano, con il Ftse Mib crollato del 4,1%. Un botto che ha costretto le autorità di borsa a sospendere dalle contrattazioni 14 dei 40 titoli principali.
Ma le cose sono rapidamente peggiorate nel rpimo pomeriggio, quando anche la borse statunitensi hanno aperto conc rolli drammatici. Il Dow Jones scende del 3%, mentre il Nasdaq fa anche peggio: -3,7.
A quel punto le piazze del vecchio continente hanno perso ogni ritegno. Parigi è arrivata a perdere l’8% (azzerando i guadagni dall’inizio dell’anno), per poi risalire un po’, intorno alle 16.30, fino al -6,3%. Londra e fRancoforte, alla stessa ra, segnavano oltre il -5%. Più o meno allo stesso livello la borsa di Madrid, mentre Atene – a conferma dei fortissimi dubbi sulla praticabilitàdel nuovo “piano di salvataggio”, nonché, ovviamente, sulla accertata insolvibilità del debito ellenico, sfiora il -13%.
In modo apparentemente assurdo, l’euro è risalito a 1,16 dollari (era a 1,13 venerdì sera). Ma un senso perverso c’è: gli speculatori finanziari globali si aspettano, a questo punto, che la Fed rinunci ad aumentare i tassi di interesse, perlomeno nel brevissimo periodo (si attendava la mossa per settembre-ottobre); quindi il dollaro cessa per il momento di essere nuovamente un “bene rifugio”.
Naturalmente, lo spread tra i titoli pubblici dei paesi “forti” (leggi Germania( e quello dei paesi deboli ha preso a risalire velocemene. Il differenziale di rendimento tra Btp italiani a dieci anni e i Bund tedeschi è balzato a 138 punti base dai 129 punti di venerdì.
Non lo dite subito a Renzi, né ai 200 finanzieri o imprenditori che hanno usato il Corriere per ribadire il loro apprezzamento per il loro uomo a palazzo Chigi. Non c’è da cavalcare una mini-ripresa, ma la tempesta del secolo.
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