“Tutelare e valorizzare il risparmio, elemento di forza caratteristico della nostra economia“, prescrive flebilmente Sergio Mattarella dopo l’esplosione dell’affaire del decreto “salvabanche”, che ha scaricato sui correntisti una parte rilevante dei costi.
Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, assicura che “il sistema, nel suo complesso, è risultato solido e che siamo stati capaci di proteggerlo, pur essendo l’Italia un paese economicamente più debole degli altri. Da noi non è stato il sistema finanziario a rendere fragile l’economia, ma il contrario”.
Ilvo Diamanti, sondaggi alla mano, certifica però che il grado di fiducia dei cittadini nelle banche è sceso al 16%. Minimo storico. E intanto, stamattina, circa 200 risparmiatori delle banche coinvolte dal “salva-banche” stanno manifestando a pochi metri dalla sede di Bankitalia. Chiedono il rimborso integrale dei risparmi e le dimissioni del governatore Ignazio Visco per mancato controllo.
Fino a un paio di mesi era luogo comune identificare le banche d’affari – quelle che “fanno soldi con i soldi”, grandi investimenti finanziari in prodotti “derivati” dalle funzioni misteriose e dai rendimenti, quando va bene, favolosi – come un tumore delinquenziale da cui stare alla larga. La crisi esplosa nel 2008, in effetti, aveva al centro una banca di questo genere – Lehmann Brothers, la quarta del pianeta – e sembrava sensato distinguere questa categoria dalle altre.
La retorica dell’italietta felix prese a cantare le lodi delle piccole banche territoriali, quelle “vicine al risparmiatore”, che “valutano il cliente per la sua storia” e non solo in base al quanto di liquidità che deposita presso l’istituto di credito. Banche che dunque possono contemporaneamente difendere il risparmio e assicurare adeguate linee di credito per famiglie e imprese, ovviamente piccole e medie. Il tutto in un clima agreste di fiducia reciproca, facilitata dalla frequentazione paesana tra risparmiatori, impiegati, direttori di filiale e persino, in qualche caso, con gli stessi amministratori.
Un quadretto distrutto dalla truffa organizzata contro i correntisti soprattutto da Banca Etruria (le altre tre coinvolte nel decreto renziano sono rimaste sullo sfondo mediatico), al punto che tutti sono corsi a tracciare una linea di demarcazione presuntamente solida tra “le poche mele marce” e il “sistema che resta solido e affidabile”.
Nemmeno un mese di tempo ed ecco che Veneto Banca si precipita a cambiare il proprio assetto societario, trasformandosi in spa, per non rischiare il commissariamento da parte di Bankitalia. Il contemporaneo aumento di capitale sdraia anche lì gli azionisti piccoli e grandi, con un crollo della quotazione da 39,5 a 7,3 euro. Dalla sera alla mattina, meno 76%.
Altra mela marcia? Sarà… Passano due giorni ed esplode il caso del Credito Emiliano. Qui i vertici della banca sembrano quasi innocenti, perché tutto lo scandalo riguarda una sola funzionaria che curava un parco clienti relativamente ristretto ma di elevata disponibilità finanziaria. Tutti imprenditori della bassa padana, che – in alcuni casi da 17 anni – affidavano la propria liquidità alla signora perché la facesse moltiplicare come i pani e i pesci della bibbia. E lei assicurava di riuscirci, anche in tempo di crisi finanziaria, fornendo di persona tutta la domunetazione relativa alle plusvalenze che andavano accumulandosi nel tempo. Le prime ricostruzioni (si veda per i dettagli http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-12-21/la-bancaria-miracoli-credem-e-caos-100-milioni-filiale-mirandola-204707.shtml?uuid=ACwcIRxB) parlano di “uno strettissimo rapporto personale” tra funzionaria e clienti, fino al prestito di case e ai consigli per gli affari di cuore. Una banca “costruita intorno a te”, dalla culla alla tomba.
Ma come faceva la funzionaria a rendicontare guadagni mai avvenuti? Semplice, stampava una falsa documentazione e impediva ai clienti di accedere direttamente al conto. Eppure si trattava di imprenditori, non di anziane pensionate molto facili da raggirare… Cioè, gente che di “doppia contabilità” se ne intende perché, in buona percentuale, la pratica direttamente. Possibile che andava i “cummenda”, gli “uomini del fare e produrre” (sembra di sentire i “tombini di ghisa” del Salvini-Crozza) cedano così facilmente al sogno rapinatorio di “fare i soldi con i soldi”?
Qui l’”educazione finanziaria” di cui si continua a parlare sui media può fare davvero poco, perché il segreto vero di queste truffe è pre-culturale: consiste nell’affidarsi a qualcuno che risolve i problemi al posto tuo, assicurandoti un guadagno monetario oltre che di tempo e fatica.
A noi, vecchi malfidati, sembra più che probabile il moltiplicarsi di “scoperte” del genere da qui in avanti. È infatti nella natura delle cose che l’allarme di vada diffondendo tra chiunque abbia un conto in banca, una cifra più o meno grande affidata a una sgr o a un fondo pensione.
Quel che ne deriva, però, è qualcosa di più grave del semplice “venir meno della fiducia”. Tutto il sistema finanziario, compresa l’ala classicamente “bancaria”, è fondata su meccanismi tutto sommato simili e su una moltiplicazione esponenziale di “prodotti”, tale da rendere pura utopia un’autodifesa del singolo fondata sulla “conoscenza”. Il tempo di imparare le caratteristiche di un “prodotto” che eccone arrivare altri tre, ancora più complessi e opachi. Un fiume di denaro – “i risparmi” o “i profitti”, i salari come le pensioni – viene così drenati dalla circolazione “virtuosa” (consumi, investimenti, ecc; insomma, riproduzione) e consegnato al gioco speculativo o, all’italiana, al “prendi i soldi e scappa” (è quello che avrebbe fatto la funzionaria del Credem).
È la finanza, bellezza! Mentre l’economia reale ristagna per eccesso di capacità produttiva globale, solo il gran casinò del denaro che cresce sugli alberi riesce a dare l’impressione della “crescita”. Si tratta solo di azzeccare la “narrazione giusta” ogni volta che qualcosa va storto. Sperando che non accada tutti i giorni, sennò anche la fantasia degli spin doctor arriva al limite…
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