Ripubblichiamo il ritratto della “signora della Vigilanza” scritto da Lorenzo Dilena.
La Tarantola è molto ammanicata con la Curia romana. E non le mancano i rapporti pesanti, e anche qualche zavorra: dall’antica consuetudine con il banchiere Gianpiero Fiorani e il governatore Antonio Fazio allo scatto di carriera all’ombra di Draghi.
«Mentre i grilli e i draghi si fanno la guerra, la tarantola tesse la tela». La battuta di un funzionario generale della Banca d’Italia in vena di ironie apre uno squarcio sulle trame sottili che si intrecciano attorno alla nomina del prossimo governatore. Quando tutto sembrava pronto per l’indicazione dell’attuale direttore generale Fabrizio Saccomanni, sostenuto dal governatore uscente Mario Draghi e dal Quirinale, il ministro Giulio Tremonti si è impuntato sul nome di Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro.
Un’impasse provvidenziale per Anna Maria Tarantola, vicedirettore di Via Nazionale e componente nel direttorio, l’organo collegiale di vertice della Banca d’Italia. Nell’ipotesi di Saccomanni governatore, infatti, rimarrebbe scoperta la direzione generale: un traguardo che la dirigente di Bankitalia avrebbe già accarezzato, anche se a contendergli la promozione c’è Ignazio Visco, 62 anni, anche lui vicedirettore generale, con un curriculum denso di studi e pubblicazioni scientifiche, nonché un percorso di incarichi internazionali più che brillante (è stato direttore del dipartimento di economia dell’Ocse e chief economist dal 1997 al 2002). Il braccio di ferro sulla scelta del successore a Draghi, e il conseguente possibile accantonamento delle opposte candidature di Grilli e di Saccomanni, avrebbe però l’effetto di lasciare occupata la poltrona di direttore generale.
Ma non tutto il male viene per nuocere. La rosa di nomi si è allargata, si cerca il “terzo uomo” che metta d’accordo tutti o, perché no, la terza donna. E qui la tela di rapporti e consuetudini tessuti negli anni dalla Tarantola può tornare utile. La stima e la gratitudine nei confronti della donna che, assunta nella banca centrale nel 1971, a 26 anni, ha scalato la gerarchia della Vigilanza bancaria, fino alla nomina a vicedirettore generale, sono trasversali. «Sarebbe il candidato giusto a governatore della Banca d’Italia. Se competenza e autonomia sono i criteri che devono certamente guidare la scelta, la sua candidatura li soddisferebbe tutti, con il valore aggiunto in termini di pari opportunità che non guasta mai in un Paese democratico», ha detto ieri la deputata del Pdl Lella Golfo. La complicità di genere è assicurata: l’onorevole Golfo è anche fondatrice e attuale presidente della Fondazione Bellisario, il sancta sanctorum italiano che promuove l’avanzamento delle donne mondo del lavoro, dell’impresa e nelle istituzioni. «Vogliamo essere – ha chiesto – alla pari di una Francia che ha mandato Cristine Lagarde a dirigere prima il Fondo monetario internazionale e di una Germania in cui la Merkel detta le regole in Europa?».
A proposito di simpatie nei sancta sanctorum, Anna Maria Tarantola vola oltre le lobby di genere. Vola alto. Le alte gerarchie cattoliche la vedono benissimo, si dice, il Vaticano la appoggia, si mormora, e il Corriere della Sera lo ha anche scritto. C’è del vero o sono solo suggestioni su una laurea in Economia conseguita all’Università cattolica di Milano, con una tesi sui problemi monetari internazionali?
Oltretevere non è facile capire chi appoggia chi, ma il mondo è piccolo, e chi si conosce prima o poi si ritrova. Perciò, quella parte di Vaticano che un tempo andava in visibilio per il governatore Antonio Fazio – uscito in modo tempestoso da Via Nazionale sei anni fa, causa scandali bancari – oggi ha trovato un nuovo punto di riferimento. A che pro non è dato sapere: è noto invece che nemmeno la berretta cardinalizia metta al riparo dalle tentazioni del potere. Un cattolico, meglio una donna cattolica, sposata, madre di due figlie, sarebbe un’ottima occasione per “riscattare” la caduta di Fazio, telefonicamente marchiato dal quel “Tonino, ti bacerei in fronte” pronunciato da Gianpiero Fiorani quando era il dominus della Popolare di Lodi.
Prima ancora che le simpatie cardinalizie, il filo che lega l’ex governatore e l’aspirante governatrice è proprio il banchiere di Codogno, il paese dove è cresciuto Fiorani. Il mondo è piccolo: giusto a cinque chilometri da lì, a Casalpusterlengo, è nata invece la Tarantola, 66 anni fa, come informa la nota biografica disponibile sul sito della Banca d’Italia. Ma è Milano, la capitale morale d’Italia, che li fa incontrare.
Nella sede milanese della banca centrale, in prossimità di Piazza Cordusio, comincia infatti a lavorare la Tarantola, sotto l’ala del mitico Alfio Noto. Il salto arriva nel 1993 con la nomina a responsabile della Vigilanza. È da qui che Fiorani deve passare, acquisizione dopo acquisizione, per far crescere una piccola banca popolare di provincia con una clientela fatta soprattutto di agricoltori, quale era la Popolare di Lodi. Ma nel 1995, la Tarantola viene trasferita a Varese per poi tornare nel capoluogo lombardo quattro anni dopo. Ormai Fiorani è lanciato. Nessuno della Vigilanza lo ferma più: né a Milano né a Roma. Ci dovrà pensare, nel 2005, uno sbarramento di fuoco che va dagli olandesi di Abn Amro, con i loro consulenti Rothschild, Kroll e Guido Rossi, alle manette della Procura di Milano.
Le acquisizioni della banca lodigiana si susseguono come pure i piani di apertura di nuovi sportelli. Con il placet della Vigilanza bancaria. Nel 2000 va finalmente in porto l’acquisizione della Banca popolare di Crema, che più tardi Fiorani dirà essere stata «coperta e voluta da Bankitalia». «La Bpl era di casa e Gianpiero era il pupillo della Tarantola», riferisce uno che con Fiorani ci ha lavorato per anni, fianco a fianco. Fiorani cerca di comportarsi da gran signore. E a Natale di ogni anno non dimentica di mandare gli auguri e un regalino. Un vassoio risottiera in argento nel 1985, una ciotola ovale inglese in argento l’anno dopo, poi a seguire un vassoio in argento con manici, un servizio da tè, fino all’orologio Cartier (1995), un oggetto Pomellato (1996) e a una sveglia in argento, stando alla ricostruzione pubblicata da Panorama il 29 dicembre 2005. Nel 1998, l’anno in cui entrò in vigore la legge Draghi, è la volta di un portafrutta in argento. Seguono confezioni di Rovida Special, un bracciale di Tiffany e poi di Pomellato, e di nuovo, nel 2001, un orologio Cartier da donna a fondo nero. Tutti scrupolosamente annotati – insieme con i doni per tanti altri funzionari della banca centrale – in un’agendina poi scovata dalla Procura di Milano. Chissà che fine hanno fatto. Erano altri tempi, allora. Oggi ci sono regole precise al riguardo. Dalla fine del 2006 per il direttorio, e dall’ottobre 2010 per tutto il personale, la Banca d’Italia ha adottato un codice etico che vieta di accettare vantaggi o altre utilità di valore superiore a 200 euro. «Regali di valore superiore – spiega l’articolo 4 – sono restituiti ovvero devoluti alla Banca».
A questo punto il banchiere lodigiano è abbastanza grande da proseguire da solo, e cerca contatti più in alto. L’ottimo rapporto con la Tarantola è un eccellente biglietto da visita in quel di Roma. Il passaggio di consegne viene suggellato nel convegno Forex del 2002, con la famosa passeggiata per il centro di Lodi a cui partecipa il governatore Fazio con Fiorani, Geronzi e il finanziere Emilio Gnutti. Ma chi aveva tessuto la tela fra un oscuro banchiere di provincia, che sembrava fatto apposta per risolvere i problemi della Vigilanza, comprando banchette in difficoltà, e uno stimato governatore che si rilassava con la teologia di san Tommaso d’Aquino?
La stessa funzionaria che, lasciata la sede di Milano, dal 2002 al 2005 è direttrice della filiale di Brescia, chiamata a gestire la delicata partita di Bipop-Carire dopo l’incorporazione in Capitalia. Nella ricca piazza bresciana la Tarantola stringe i rapporti con due banchieri che più di altri forse si possono annoverare fra i suoi sostenitori: Alessandro Azzi, presidente della Bcc del Garda, e Corrado Faissola, all’epoca amministratore delegato della Banca Lombarda. Tutti e due destinati a luminosa carriera: il primo è numero uno della Federcasse, l’associazione delle Banche di credito cooperativo; l’altro è presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca ed è stato presidente dell’Abi. Fra gli estimatori storici, peraltro, c’è anche il banchiere Cesare Geronzi, e più di recente i vertici di Mediobanca.
La caduta di Fazio e Fiorani non provoca conseguenze sulla carriera della Tarantola. Così, a settembre 2005, passa a Bologna, ma ci resta sei mesi. Troppo poco per riuscire a disinnescare la bomba finanziaria che cova sotto le torri degli Asinelli: il gruppo finanziario Delta che fa capo alla Cassa di risparmio di San Marino, uno scandalo che scoppierà solo nel 2009. Non per merito della Vigilanza di Bankitalia ma grazie alle indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura di Forlì. A questo punto, l’ascesa al vertice di Via Nazionale subisce un’accelerazione: Fazio non c’è più ma con Draghi va anche meglio, fra lo stupore dei funzionari di Via Nazionale, a cui sfugge la logica delle promozioni in corso. Nell’aprile 2006 la Tarantola è nominata funzionario generale dell’area Bilancio e controllo, un anno dopo è a capo della Vigilanza bancaria. Insomma, uno dei pilastri del governatorato Draghi. Da lì darà il beneplacito alle fusioni Intesa-Sanpaolo, Unicredit-Capitalia e poi all’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps. La folgorante ascesa diventa oggetto di un’interrogazione al ministro dell’Economia da parte del senatore Elio Lanutti. Ma tutto ciò non ne ferma, fra il plauso generale, la consacrazione a vicedirettore generale nel gennaio 2009, prima donna nella storia della Banca d’Italia.
* linkiesta.it
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