Aggiornamento ore 17.30. Milano chiude in modo quasi drammatico, a -4,83%, ed è la peggiore d’Europa, trascinata a fondo da tutto il comparto bancario, nonostante Padoan e altri si siano sbracciati per tutta la giornata a garantire che “il nostro sistema bancario è più solido di altri”, o almeno “nella media” (secondo le versioni piuù prudenti.
Anche Parigi lascia sul terreno però quasi il 4%, seguita da Madrid e Londra (-3,6) mentre il Dax di Francoforte perde “appena” il 3,25%. Le piazze americane, che ieri avevano perso cifre simili, oggi sono rimaste chiuse per la festività del Martin Luther King day.
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Le borse tremano, tutte insieme. Le paure solo sempre le stesse, si sommano e si moltiplicano come i boatos nel passaggio di bocca in bocca: Cina, petrolio, rialzo dei tassi, crisi degli “emergenti”, crescita inesistente…
L’ultimo sassolino ce l’ha messo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che ha rivisto al ribasso – per la terza volta consecutiva – le stime sulla crescita globale per l’anno in corso: +3,4%,uno 0,2 in meno rispetto a tre mesi fa. Sembra poco, ma è appunto la terza riduzione, che somma così a oltre mezzo punto complessivamente. Non basta. Quel +3 è in fondo quasi tutto merito della Cina (+6,9%, noostante il rallentamento in corso), dell’India e di pochi altri. Ex emergenti (a cominciare da Brasile e Turchia), Russia, Usa, Unione Europea presentano tutti previsioni in ribasso o stabili, ma in negativo.
La domanda è sempre la stessa: se neanche sei anni di denaro a costo zero e due di petrolio in calo sono riusciti a rivitalizzare l’economia mondiale, cosa sta succedendo al “nostro sistema di vita”?
Gli operatori sui mercati finanziari si pongono la domanda in modo più prosaico e immediato: come faccio a tutelare quel che ho accumulato e non perdere tutto? Flight to liquidity, recita il consiglio dei vecchi guru. E quindi tutti vendono – contemporaneamente – e portano i soldi sulle monete più sicure (dollaro, yen, sterlina, ma anche l’euro, nonostante i patimenti di questo inizio anno), o sull’oro.
Da inizio anni Piazza Affari ha perso oltre il 10%, così come il Dax di Francoforte (quasi il 15%), Parigi (idem). Appena meno peggio Londra (-8%), che guarda più agli Stati Uniti (-10% il Dow Jones, -14% il Nasdaq). Sulla stessa falsariga il Nikkei giapponese (-14%). Ce n’è abbastanza per dare ragione a chi vede un anno di “bear market”, con perdite medie intorno al 20% (in alcune piazze inori questo limite è già stato superato, in quelle principali è molto vicino).
Non c’è in genere nulla di più stucchevole delle speculazioni geometriche degli “analisti” che studiano le curve per trarne conclusioni quasi mai azzeccate. Fa eccezione, per una volta, Marko Kolanovic, soprannominato ormai “Gandalf” per aver previsto il crollo estivo delle brse cinesi (ripreso anch’esso in questi giorni), il quale ci dà almeno alcune cifre su cui ragionare, riprese da IlSole24Ore:
L’analisi di “Gandalf” parte dagli ultimi cinquant’anni di analisi sull’indice S&P500. Dei 19 cicli identificati, i dieci al rialzo sono durati in media 4,3 anni regalando ritorni del 90%, mentre le nove fasi di ribasso hanno avuto una vita media di 1,1 anni con perdite del 33%. «L’attuale fase di rialzo ha ormai 6,5 anni di vita e ha portato a ritorni pari al 205% circa», nota Kolanovic, aggiungendo che solo una volta nell’ultimo mezzo secolo si è assistito a un ciclo più lungo. E’ stato quello verificatosi tra il 1990 e il 1998: una lunga fase “toro” terminata, guarda caso, con una crisi di Asia e Paesi emergenti e un drastico calo dei prezzi del petrolio.
Veniamo insomma da una “fase “rialzista” straordinariamente lunga (il 50% in più della media) e straordinariamene profittevole per i grandi manovratori di borsa (profitti pari al 205%, invece del “normale” 90%. Una fase immotivata, a guardare le cifre dell’economia reale (una lunga alternanza di recessione, deflazione, piccoli rimbalzi, ecc), ma spiegabilissima con i sei anni di tassi di interesse a zero garantiti dalla Federal Reserve statunitense e dall’abbondante innaffiata di quantitative easing. Denaro fresco di stampa in cambio di titoli dal valore dubbio o inesistente, che però non ha preso – come sperato dai banchieri centrali – la via del finanziamento degli investimenti e dei consumi, ma quella tutta speculativa delle borse e dei titoli di debito, statali o privati. Unica eccezione, tragica in prospettiva, la bolla dello shale oil, ormai prossima all’esplosione violenta.
Non samo dei maghi delle curve statistiche, ma se di esce da una fase “toro” insolitamente lunga e redditizia, ne deriva logicamente l’ingresso in una fase “orso” altrettanto insolitamente lunga e disastrosa. La velocità con cui, in appena 20 giorni, è volato via dai mercati un 10-15% di capitali sembra qualcosa più di un segnale di sofferenza. E sembra quindi confermare appieno l’allarme lanciato alcuni giorni fa da Bank of Scotland ai propri operatori: “vendete tutto, meno i titoli di stato sicuri” (tradotto: bond Usa e Bund tedeschi).
Il -3%, all’incirca, che stamattina penalizza le piazze europee (dopo il disatro anche più ampio delle borse asiatiche nella notte) è dovuto in primo luogo alle perdite del settore petrolifero e di quello bancario, sempre strettamente intrecciati. Per quanto riguarda il piccolo teatrino italiano, va aggiunto il “faro” acceso dalla Bce sui crediti deteriorati delle banche italiane (come sempre, grandi assicurazioni sul fatto che “stiamo meglio degli altri”, ma non ci crede nessuno). E qualche schifezza commessa in proprio. MontePaschi, per esempio, “non riesce a fare prezzo”. Un modo algido di dire che le sue azioni, ormai, non se le compra più nessuno…
Ah, già, dimenticavamo: è una banca toscana, nel cuore del potere Pd, come quell’altra… Etruria, no?
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