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Il turismo è veramente “l’oro” di Roma? (prima parte)

Inchiesta. Come la città pubblica e gli abitanti della Capitale sono stati privati della loro maggiore risorsa.

Un luogo comune, solo in parte corrispondente a verità, sostiene che il “turismo è l’oro o il petrolio di Roma”. Una sorta di risorsa naturale dovuta alla sua storia millenaria e al suo impagabile patrimonio archeologico e artistico, sul quale poter magari vivere di rendita come i petromonarchi del Golfo che nella Capitale vengono a fare shopping.

Questo luogo comune deve e può essere sfatato dalla realtà. La risorsa turismo a Roma ha un impatto assai relativo e asimmetrico nella sua  redistribuzione agli abitanti, anzi possiamo affermare che è diventato sempre più una risorsa per pochi e un problema per molti. L’alto livello di appropriazione privata degli introiti del turismo spalma invece sugli abitanti solo i suoi costi economici e sociali (raccolta rifiuti, congestione del centro, organizzazione della mobilità che premia alcune zone e ne desertifica altre, gentrificazione forzata di interi quartieri).

Altro luogo comune da sfatare è il peso del cosiddetto turismo religioso a Roma. Esso, secondo almeno due rapporti (Istituto Piepoli nel 2008 e Zetema nel 2011), rappresenta una bassa percentuale, sia perché i benefici vengono incamerati dai circuiti interni alla strutture religiose, sia perché i “cammini della fede” portano a Roma meno devoti che in passati. Il flop del Giubileo straordinario del 2016 ne è una conferma.

Le ragioni di questa mancata valorizzazione pubblica della risorsa turismo ha diverse ragioni che devono essere indagate, conosciute, denunciate e modificate radicalmente.

Occorre intanto sapere che a livello mondiale le entrate dovute all’industria del turismo sono pari a 1.159 miliardi di dollari (dati 2013), in crescita rispetto al 2012 (1.078) che insieme al settore del trasporto passeggeri (218 miliardi) arrivano alla somma di 1.400 miliardi di dollari all’anno.  Di questo immenso malloppo, a Roma ne arrivano solo 5,6 miliardi (6,9 secondo Confindustria).

In primo luogo occorre conoscere i parametri di ragionamento e di intervento dei gruppi multinazionali che da alcuni anni stanno mettendo le mani su Roma scalzando le rendite di posizione di alcuni dei vecchi poteri forti (vedi i costruttori). Ad esempio i quattro vertici dell’Ibac (International Business Advisory Council) tenutosi in modo semisegreto a Roma, hanno messo in campo una visione di valorizzazione della città in senso capitalistico che va oltre la consueta visione di profitto basato sulla rendita e la speculazione immobiliare che hanno caratterizzato la città dal dopoguerra a oggi.

A questi vertici hanno partecipato i Ceo di una quarantina di multinazionali invitati dal Campidoglio, sia da Veltroni che da Alemanno e Marino. Ma cosa possono volere le multinazionali da una città come Roma? E come pensano di poter valorizzare – da un punto di vista capitalistico – un’area metropolitana con le caratteristiche di Roma Capitale?

Abbiamo così scoperto che gli “abitanti” di Roma (circa 2milioni e ottocentomila) non sono il centro di questa valorizzazione. Lo sono invece i circa 13 milioni di turisti che vengono ogni anno nella città eterna. I turisti, soprattutto se tanti (e lo verifichiamo con la congestione e l’occupazione del centro storico), vengono valutati come “travel  detailer” cioè consumatori dinamici. I turisti hanno maggiore propensione alla spesa dei residenti ma soprattutto il target interessante sono i turisti della “gamma alta” più che quelli intruppati nei grupponi che intasano strade, musei, ristorantini con il menù “very cheaper”.

I “travel detailer” di gamma alta, rappresentano tra il 50 e il 60% del fatturato del turismo. Secondo l’Ebit  (Ente Bilaterale per l’Industria turistica) i viaggi di lusso sono passati dal 35 al 51%. La Confindustria sostiene che occorre guardare e lavorare in questa direzione arrivando a disporre a Roma di almeno di 11.700 stanze di categoria “luxury”, pari al 18% della ricettività alberghiera della città.

Roma è la prima meta turistica in Italia per presenze turistiche (seguita da Venezia e da Milano). Occorre chiarire che le presenze sono di circa 23 milioni all’anno mentre i turisti 13 milioni, questo perché con presenze si indicano le notti passate in albergo o strutture ricettive. I turisti a Roma spendono circa 5,6 miliardi di euro all’anno. A Milano 3,1, Venezia 2,7, a Firenze 2,2. Secondo un apposito rapporto della Confindustria romana le spese per consumi dei turisti a Roma salirebbero invece a 6,9 miliardi di euro. La spesa media di un turista nelle città d’arte è di 129euro, in quelle balneari è di 87 euro, in quelle montane di 101, in quelle gastronomiche o “green” è di 105.

Il “brand” turistico dell’Italia è sceso al 18° posto nel mondo. Prima era al 15° e prima ancora (nel 2009) era al 6 posto. Ma l’Italia è piazzata al 3° posto nel mondo (dopo Usa e Francia) per lo shopping dei turisti. Anche su questo l’immagine di un turismo incantato dalle bellezze artistiche e archeologiche della Capitale si infrange davanti ad una realtà che sembra preferirgli soprattutto  i negozi di borse, scarpe e vestiti. Più che la sindrome di Stendhal si fanno i conti con la sindrome di Battistoni. E non è affatto una consolazione. (fine prima puntata)

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