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C’era una volta il Pepp. L’Italia sotto il ricatto incrociato di Berlino e Francoforte

“Tempi straordinari richiedono azioni straordinarie”: il 18 marzo con queste parole Christine Lagarde annunciava il “Pandemic Emergency Purchase Program”, il programma straordinario per l’acquisto dei titoli di stato della zona Euro.
Parliamo di quasi tre mesi fa, un periodo di tempo relativamente breve in condizioni “normali” ma in realtà un’era geologica in un mondo fatto di quarantene, blocchi (molto parziali) delle attività produttive, fondi salva stati senza apparenti condizionalità e sentenze delle corte costituzionali.

Tutto però parte da qui, da quei 750 miliardi di acquisti di obbligazioni pubbliche e private che ricalcano il celebre “bazooka” di Draghi ma riescono a spingersi anche oltre il Quantitative Easing, stabilendo il tasso di interesse sul debito pubblico di ciascun Paese europeo in deroga a due criteri rispettati invece dal suo predecessore: il cosiddetto “Capital Key’, che imporrebbe alla Bce di acquistare titoli del debito pubblico in proporzione alla quota detenuta nel capitale della Bce da ogni paese dell’Eurozona, e il divieto di acquisto di titoli “spazzatura”, ovvero di quei paesi con un rating inferiore alla tripla B da parte delle agenzie internazionali.

Il PEPP ha quindi permesso in queste settimane all’Italia di godere di un acquisto di titoli pari al doppio della sua quota nel capitale della BCE, nonché della garanzia del proseguimento del programma anche se il suo rating internazionale scendesse dal preoccupante BBB con outlook negativo appena confermato da Standard and Poor’s.

Ma il merito più importante del programma è stato senza dubbio quello di mostrare all’intero continente che il re è nudo: tutto ciò che finora ci era stato dichiarato come impossibile, dalla stabilizzazione dello spread attraverso l’azione della BCE fino alla messa in campo di centinaia e centinaia di miliardi letteralmente creati “dal nulla”, è venuto infatti meno con  l’esplodere di questa crisi, portando la Lagarde a contraddire se stessa con l’annuncio del PEPP solo pochi giorni dopo aver dichiarato che “non è compito della Banca Centrale Europea tenere sotto controllo lo spread”.

Qualcuno potrebbe essere portato a leggere questa novità come la tanto attesa conferma della sbandierata “riformabilità” dell’Unione Europea, quella che per i sedicenti sovranisti di destra, ma anche secondo tanti compagni di “sinistra”, seppur governata dalla burocrazia e dagli egoismi nazionali ha in nuce tutte le potenzialità per trasformarsi in quel sogno di pace e democrazia teorizzato dai fondatori.

Per queste persone la risposta non si è fatta attendere, non tanto dall’esplicito carattere temporaneo del programma o dall’impietoso confronto con le altre banche centrali in giro per il mondo in ottica sia quantitativa (come la Bank of Japan che annuncia acquisti illimitati di titoli) che qualitativa (come la Bank of England che ha deciso di finanziare direttamente le spese anti-pandemia senza passare per l’acquisto di titoli), quanto da una sentenza della corte costituzionale tedesca nella città di Karlsruhe.

Chiamati ad esprimersi sulla legittimità del Quantitative Easing di Draghi, i giudici hanno assolto solo parzialmente quest’ultimo e, soprattutto, hanno incluso nelle motivazioni tutti quei dubbi di costituzionalità propri invece dell’elefante della stanza, il PEPP della Lagarde.

Se molti si sono concentrati su quei tre mesi di tempo concessi alla BCE per dimostrare il rispetto da parte del QE del principio di proporzionalità scritto nei trattati, più importante ci sembra l’assoluzione del precedente programma per quanto attiene a tutti quei profili che il PEPP invece non rispetta.
Sottolineando la correttezza del QE in relazione ai trattati, i giudici tedeschi stanno di fatto mettendo sotto accusa il PEPP.

Una situazione obiettivamente esplosiva, che ha messo ancor più in dubbio la già opinabile efficacia del nuovo programma di acquisti e innescato ulteriori contrasti all’interno di questa Unione Europea dai piedi di argilla: da una parte la BCE rilancia annunciando il raddoppio del volume di acquisti, che passa così da 750 a 1500 miliardi, dall’altra il governo tedesco ci tiene a precisare che rispetterà la sentenza della propria corte costituzionale.

Nel frattempo Blackrock, il più grande fondo d’investimento al mondo, nel suo report settimanale comunica una revisione sulle obbligazioni periferiche dell’area euro e sui titoli di stato degli paesi del sud, citando proprio la sentenza di Karlsruhe come probabile ostacolo al proseguimento dell’acquisto di obbligazioni da parte della BCE.

In mezzo a questo fuoco incrociato c’è l’Italia, un paese alla vigilia di una recessione senza uguali in un contesto che non l’ha mai vista uscire nemmeno dalla crisi precedente. Una paese continuamente appeso allo spread, al rating delle agenzie internazionali, a quel rapporto debito/PIL pronto a schizzare oltre il 160% non appena il PEPP allenterà la sua presa.

Un paese in cui la propaganda unificata di televisioni e carta stampata ci ripete da settimane che l’unica soluzione è affidarci al fondo salva stati, che il MES ci salverà e non avrà ripercussioni future perché l’Europa dai tempi della Troika in Grecia è diventata buona e ha tolto tutte le condizionalità cattive.

Perché queste sono le due uniche opzioni concesse al nostro paese: da una parte affidarsi al “bazooka” sempre più fragile del PEPP, che tiene sì sotto controllo spread e debito pubblico, ma la cui durata e conseguente affidabilità sono oggi messe ancor più in discussione dalla sentenza di Karlsruhe; dall’altra cedere al canto delle sirene del MES, ottenendo un prestito di 36 miliardi vincolato alle spese sanitarie con la sola agevolazione di non trovarci la Troika in casa oggi ma probabilmente solo quando l’emergenza Coronavirus sarà finita.

Una bel ventaglio di scelte, non c’è che dire, nonché l’ennesimo motivo per ripensare la nostra permanenza in quel progetto dichiaratamente neoliberale che si chiama Unione Europea.
Perché fuori da questa gabbia fatta di debito e austerità non sappiamo ancora cosa potremo trovare, ma all’interno di essa è chiaro ogni giorno di più il supplizio senza fine che ci aspetta.

*Piattaforma Eurostop, Parma

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