Il 31 agosto del 2018 il Nasdaq Composite fissava il suo record annuale a 8.109 punti. Ieri mattina, 23 novembre 2021, dopo due anni di pandemia, l’indice segnava 16.410 punti.
La famosa bolla dot-com, in tempi record, lo aveva sollevato a vette importanti: 4.720 punti. Nel 1993, anno di apertura di Internet (www), stazionava intorno a 720 punti.
Ci sono titoli che hanno realizzato guadagni superiori alla media. Tesla, per esempio, ad agosto 2018 valeva appena 60 USD, il 5 novembre 2021 era quotata a 1.222 USD.
Per avere qualche termine di paragone, è sufficiente guardare General Motors che vale 62, Ford 274, Microsoft 335, IBM 117.
Rivian Automotive, che ha una storia brevissima, l’11 luglio valeva 70, il 14 luglio valeva 130.
Sono i miracoli della tecnica – e della speculazione di borsa.
Nel 1998 John Cassidy chiese a Paul Samuelson, decano degli economisti made in Usa, cosa pensasse dell’ascesa dei prezzi del Nasdaq.
“Si tratta di profezie che si auto-avverano“, rispose il vecchio professore del MIT. “Gli investitori pensano che i prezzi saliranno e comprano, dunque i prezzi continuano a salire“.
“Bene“, disse John Cassidy, “ma qual è il punto in cui l’ascesa si ferma e la bolla scoppia?”
“Non abbiamo alcuna teoria sulla durata delle bolle. Niente. Non abbiamo nessuno strumento in grado di prevedere la catastrofe“. (newyorker.com)
In effetti, gli ingredienti che entrano in gioco nelle bolle sono molti. Ma quello che conta di più è la schifosa cupidigia.
A luglio 2021, punto una decina di miliardi su Rivian Automotive. Ad agosto vendo e incasso il capitale – più una plusvalenza di 8 miliardi e mezzo.
Mica male in un mese!
Da dove arrivano gli 8 miliardi di guadagno? E da dove arrivano i 10 miliardi investiti?
Nel bel mondo che abbiamo conosciuto sino a ieri, nessuno aveva denari sufficienti per passare da Tesla 60 a Tesla 1.222. Nemmeno il signor Ford, o il Signor IBM, o il signor GM, il Signor Microsoft; nemmeno tutti quanti messi insieme.
I fantastiliardi necessari per gonfiare la bolla li manovra solo Zio Paperone, e zio Paperone è la Banca centrale (la Federal Reserve, in questo caso).
Circola la favola che Zio Paperone potrebbe affidare i soldi agli industriali, anziché metterli nelle mani degli speculatori di borsa.
“Gli industriali sanno come investire il denaro e farlo fruttare, sanno creare ricchezze per se stessi e per tutto il popolo”. Ma si tratta di una favola, perché i signori dell’impresa, di giorno vestono i panni degli industriali, e di notte indossano la mantella degli speculatori di borsa, e smanettano sulle borse di mezzo mondo, e lo fanno perché, bontà loro, gli investimenti non rendono una mazza, e a guardare bene, magari c’è una persino sovra-capacità produttiva di chip.
Sta di fatto che la zecca stampa soldi, e i soldi non vengono dati a chi li spenderebbe in cibo, vestiti, mobili e vacanze per la famiglia, ma vengono dati alle banche, e le banche li distribuiscono equamente tra gli imprenditori di fiducia, e questi se li giocano in borsa, nel tentativo di sottrarseli a vicenda.
Non si tratta di un gioco a somma zero. Perché intanto le fabbriche lavorano a regimi ridotti, la gente non va in vacanza e al cinema, non compra l’ultimo modello di smartphone, e i figli non possono sfoggiare le Adidas e iscriversi al corso di Inglese certificato TOEFL.
Non siamo ancora alla potenza mitopoietica dell’apocalittica Wardenclyffe Tower di Nikola Tesla. Ma è come buttare benzina sul fuoco.
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