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Guerra intercapitalista, dominio imperiale e apparato industriale-militare

La novità della cosiddetta “società della comunicazione conoscenza” funzionale alla economia di guerra, consiste nel fatto che essa accelera la velocità della sua diffusione e la sua portata globale di dominio tramite l’apparato militare industriale ma anche attraverso cultura, scuola, formazione.

Si va così realizzando una espansione globale che comporta anche, in una nuova centralità della comunicazione a tutti i livelli della società, un ambito di dominio sociale complessivo e non limitato alla sola sfera della produzione.

È qui che si pone la questione della comunicazione di guerra come risorsa strategica nella produzione ma allo stesso tempo proiettata nella totalità del corpo sociale, per l’imposizione di un modello di conformismo funzionale alle esigenze della cultura imperialista e di impresa, in particolare funzionale all’apparato militare industriale, e quindi “deviante” e determinante del terrorismo comunicazionale e quindi perno del keynesismo militare.

Questo fenomeno lo analizziamo da molti anni con metodo di studio serio e attento richiamandoci alla filosofia della prassi in quanto intellettuali militanti organici all’Internazionalismo di classe e socialista, ma sempre più dobbiamo prestare grande attenzione e usare adeguati strumenti analitico – progettuali orientati agli interessi dei lavoratori , quando nel linguaggio sinistrese guerrafondaio veicolante ideologia e pratica del keynesismo bellico, sentiamo teorizzare la fase attuale della mondializzazione capitalista come caratterizzazione della ‘società della conoscenza’ ma noi ben sappiamo associarla al terrorismo mass mediatico per la economia di guerra.

Certo, gli intellettuali sinistresi punta di diamante della cultura e dell‘agire occidentalcentrico asserviti alla NATO e quindi propagandisti e resisto del sistema di dominio imperialista, sembrano convincerci che si tratta di una qualità irrinunciabile dello sviluppo, qualcosa che riguarda l‘intero evolvere dell’umanità, quasi per diritto di civiltà.

Esistono, in ogni caso, alcuni elementi che possono definire sinteticamente le caratteristiche di una economia imperialista di e per la guerra, basata sulla messa diretta a produzione della conoscenza- comunicazione deviata e deviante come fattore valorizzante il keynesismo militare.

Per esempio, il lavoro mentale, come quello materiale, è assoggettato a continue ondate di innovazioni tecnologiche e ristrutturazioni dei settori dell’ indotto dell‘apparato industriale militare, colonna vertebrale del keynesismo bellico, e sono proprio tali settori ‘innovativi‘ che, tendenzialmente, usano a fini di dominio – controllo e dequalificano le mansioni dei lavoratori mentali.

Ciò è molto distante dalla decantata libertà d’impresa e di merocratizzazione decantata dal pensiero unico dell‘ideologia di democrazia borghese per la cosiddetta ‘realizzazione di se stessi attraverso il lavoro’, che sarebbe una prerogativa del lavoro mentale.

La cosiddetta ‘Società dell’Informazione’, o meglio detto la fabbrica del falso di questa nuova fase del capitalismo maturo , è ben lontana dall’aver reso obsolete le relazioni di produzione capitalistiche e le leggi del modo di produzione capitalistico.

È la stessa concorrenza spietata tra i capitali a rendere necessaria la competizione intercapitalista per la conquista di possibili segmenti di mercato per rilanciare su ampia scala l’accumulazione tentare di frenare la caduta del saggio di profitto.

Ed è tale conflittualità competitiva per cercare di uscire dallo strozzamento atroce della crisi sistemica che genera la GUERRA E CON QUESTA SI SVILUPPA LA VARIANTE SEMPRE PIÙ DETERMINANTE DELL’ECONOMIA DI GUERRA, con la continua ricerca di nuove tecniche di produzione, di meccanismi di ottimizzazione dell’organizzazione del processo lavorativo e in generale di innovazione tecnologica, in modo da aumentare la produttività del lavoro e abbassare i costi di produzione per potenziare le proprie abilità concorrenziali.

Ci sembra utile ricordare qui che un amico, un compagno, studioso marxista attento e di grandi capacità analitiche e coerenza di metodo, come Mino Carchedi, notava già nel 2004 in un saggio pubblicato sulla rivista Proteo che:

Contrariamente a quanto proposto dai sostenitori di nozioni quali ‘La Nuova Economia’, o ‘La Società dell’Informazione’ o la ‘Società dei Servizi’, che presumibilmente sarebbero basate sul potere e sulla creatività del lavoro mentale, la stragrande maggioranza dei lavoratori mentali non sono produttori indipendenti, liberi di creare teorie, scienze, tecniche ecc”.

Piuttosto, noi da decenni evidenziamo nei nostri libri e trattati di critica della politica economica, che essi sono soggetti al dominio del capitale.

Più precisamente, sono i capitalisti che decidono quale creazioni immateriali devono essere prodotte dai lavoratori mentali che non solo devono produrre quanto loro richiesto ma sono anche assoggettati a farsi strumento del controllo sociale generalizzato orientato alla economia di guerra per la competizione globale intercapitalista e alla sorveglianza dei blocchi imperialisti (o chi per loro) e quindi alle nuove e vecchie forme di dominazione.

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1 Commento


  • Oigroig

    Questo testo è scritto in un linguaggio contorto e irto di refusi, anzi in un gergo elitario e incoerente, e poi la nozione di “lavoro mentale” (non “lavoro intellettuale”), cioè il sapore del caffè il barista che mi sorride lo sguardo sul giornale il ricordo improvviso di mia nonna Renata… è una nozione che ostacola l’analisi e l’inchiesta sulle forme attuali (e poco visibili) della lotta di classe che è quello che bisognerebbe fare e che anche qui latita… My two cents.

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