Il tracollo del neoliberismo come sistema di regolazione dell’economia capitalistica appare ormai alla luce del sole.
Avevamo scritto qualche giorno fa, a proposito della prima mossa della neo-premier britannica Liz Truss (un taglio mostruoso alle tasse per i super-ricchi): “La mannaia thatcheriana mirava a una quantità di “grasso” disponibile per una ben diversa ripartizione sociale. Oggi siamo alla fine di quel ciclo. Le società – le classi – sono piuttosto ‘magre’ e la crisi in atto è il risultato obbligato di 40 anni di neoliberismo. Ma, come tutti i tossicodipendenti, Liz Truss pensa che la soluzione stia in una dose maggiore della stessa droga.”
In poche ore abbiamo avuto un oceano di conferme. Persino il Fondo Monetario Internazionale ha stroncato questa mossa (150 miliardi di sterline in meno per le finanze pubbliche britanniche), mentre “i mercati” hanno messo immediatamente sotto tiro sia la moneta che i titoli di stato, i mitici Gilt, evidentemente ritenendo improbabile che in futuro la Gran Bretagna possa onorare le scadenze sul debito.
A quel punto si è mossa la Bank of England secondo la più classica metodologia keynesiana: l’acquisto di titoli di stato propri. Una vera eresia da quattro decenni a questa parte…
Ricordiamo che in Italia, per esempio, questa mossa è impedita per legge da quando Beniamino Andreatta – il maestro economico di Romano Prodi e tutta la genia di “tecnici” amati dal Pd – sancì il “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
Era il 1981, da allora Palazzo Koch non può più comprare in sede d’asta i Btp e altri titoli emessi dal tesoro. E, da quando esiste la Bce, neanche sul “mercato secondario” (cioè dopo l’asta di emessione), per non influenzare gli andamenti del prezzo e dei rendimenti. Ossia, in pratica, per limitare gli esborsi di denaro pubblico (del tesoro…) per ripagare il debito.
Una regola aurea del neoliberismo trionfante era del resto proprio questa: gli Stati dovevano essere ricondotti a forza sotto la sferza dei “mercati”, limitando la propria spesa sociale e il debito pubblico.
Il risultato, ovunque nel mondo, dagli Stati Uniti a noi, è stato esattamente l’opposto. Nel 1981 il debito pubblico italiano in confronto al Pil era intorno al 60% (come sarà poi prescritto dagli accordi di Maastricht), ora viaggia verso il 160% nonostante Monti e Draghi. Negli Usa idem…
Così, mostrando di non tenere in alcun conto l’ideologia liberista ma solo l’interesse immediato, i mercati hanno festeggiato la mossa della banca centrale inglese.
Per poche ore, però, perché la minaccia più grave è ancora il probabile rialzo dei tassi di interesse anche da parte della Bce: un +0,75% che renderà praticamene certa la recessione economica in tutto il mondo euro-atlantico.
Nonostante questo qualcosa di buono può accadere: in Gran Bretagna si stanno interrogando se non sia il caso di togliersi dai piedi quella pazza furiosa della Truss, prima che arrivi al punto di premere il bottone nucleare…
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